
L’ostacolato e imbrogliato non si è sentito né ostacolato né imbrogliato. L’inchiesta della Procura di Milano per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza nella scalata a Mediobanca riserva un colpo di scena davvero incredibile. La Consob, in un documento della divisione vigilanza, sostiene che «non sussiste il patto occulto» fra i soci Delfin e Caltagirone e neppure «sussiste il concerto» con Siena. Un’unità di intenti con la quale gli indagati avrebbero invece dovuto lanciare una costosa Opa obbligatoria su Piazzetta Cuccia. Il documento in cui la Consob esclude di essere vittima dei «concertisti» porta la data del 15 settembre scorso. Visto che il decreto di perquisizione degli indagati è del 15 novembre, ci sono due ipotesi: o la Procura ha in mano elementi di prova molto forti e che le sono «entrati» dopo il 15 settembre, oppure questi due pezzi dello Stato non si sono molto parlati, nonostante le norme sui reati finanziari prevedano ampia collaborazione.
Il documento della Consob è uscito ieri sul Sole 24 Ore e sembra, almeno per il momento, ribaltare il senso delle prime carte dell’inchiesta, è costata al Monte dei Paschi di Siena una perdita di 3,5 miliardi in Borsa in soli dieci giorni. Anche se in serata Consob e Procura hanno fatto trapelare sulle agenzie di stampa che continuano a collaborare, ciascuna nei propri ambiti di competenza.
Tutto inizia il 5 marzo, quando l’allora amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, firma una serie di esposti contro l’Ops lanciata da Monte Paschi su Piazzetta Cuccia. Nagel sottolineava quello che in fondo già era uscito su larga parte dei media come retroscena, ovvero che Delfin e Caltagirone «non essendo riusciti a mutare gli assetti di controllo e di governance né di Mediobanca né di Generali (controllata con solo il 13%, ndr) negli ultimi tre anni», aveva messo in campo «un’azione concertata con e su Mps». È appena il caso di ricordare che il Tesoro, che non è indagato a Milano, è ancora il primo azionista di Rocca Salimbeni dopo che per risanare l’ex banca dei «compagni» sono stati spesi oltre 10 miliardi dei contribuenti.
Consob si prende sei mesi per fare le sue verifiche e alla fine mette nero su bianco che non ci sono anomalie o violazioni di legge. In un passaggio del documento finale, si legge che «nessuna delle condotte riferite da Mediobanca - per altro non supportate da evidenze probatorie di alcun genere - è parsa essere caratterizzata da profili di criticità o allarme». E in assenza di indizi «gravi, precisi e concordanti» che possano provare un’azione di concerto tra Delfin, Caltagirone e il Mef «attuata anche tramite Mps», Consob respinge l’accusa di Mediobanca che gli sfidanti abbiano operato in pieno accordo. Se, appunto, alla Consob non è sfuggito qualcosa che invece la Procura sa, come potrebbero essere testimonianze dirette e intercettazioni telefoniche dei manager coinvolti ancora coperte da segreto, risulta complicato andare a un processo in cui la stessa Consob oggi faticherebbe a considerarsi parte lesa. Oltre al fatto che al 15 settembre Consob non avesse in mano tutte le notizie che aveva la Guardia di finanza, non si può neppure escludere, almeno astrattamente, che la Consob in questi due mesi e mezzo abbia cambiato idea.
Certo, dopo le rivelazioni apparse sul Sole 24 Ore si apre anche un piccolo giallo sui tempi dell’inchiesta penale. Per quel che è noto, l’indagine che ha colpito Mps e i presunti «concertisti» sarebbe nata da un editoriale di Osvaldo De Paolini pubblicato sul Giornale del 23 gennaio 2025 intitolato Il voto di scambio in Mediobanca, schierato sulle posizioni di Francesco Gaetano Caltagirone e degli eredi Del Vecchio. Nelle settimane seguenti, Nagel presenta denuncia per diffamazione aggravata contro quell’articolo. È il cavallo di Troia atteso da mesi per portare la difesa di Piazzetta Cuccia in mano ai pm. Solo che i tempi della giustizia sono più lenti di quelli del mercato.
L’offerta su Mediobanca si conclude a settembre con l’86,3% di adesioni. Siamo ben oltre le quote possedute dagli odierni indagati ed evidentemente il famoso mercato non deve essersi commosso più di tanto per l’improvvisa battaglia «di libertà» di chi aveva comandato per anni su mezza Piazza Affari con patti di sindacato bizantini, costruiti su pacchetti dello zero virgola.
Il calendario della disfida intorno a Piazzetta Cuccia va quindi riscritto: a febbraio inizia l’inchiesta dei pm milanesi (il 25 febbraio ricevono la prima informativa della Finanza); il 5 marzo la Consob indaga sull’esposto di Mediobanca; il 14 luglio inizia regolarmente l’Ops di Monte Paschi, che si conclude il 15 settembre; quello stesso giorno la Consob esclude che ci siano irregolarità; il 22 settembre, dopo una settimana supplementare di adesioni, si conclude l’Ops. Due mesi dopo, arrivano le perquisizioni e il sequestro di computer e telefoni cellulari.
In realtà, forse un po’ tutta la storia del risiko bancario andrebbe riscritta, cominciando dalla variabile Unicredit.
Nel documento della Consob c’è un passaggio in cui si sposano le spiegazioni offerte da Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Mps, che racconta come la prima opzione della sua banca fosse l’alleanza con Banco Bpm. Solo che a fine novembre 2024, quando l’Unicredit di Andrea Orcel tagliò la strada alla nascita del terzo polo bancario, come ricorda Lovaglio, «divenne praticamente obbligata, in quel contesto, la scelta di perseguire l’unica opzione alternativa possibile, ossia l’integrazione con Mediobanca». Insomma, ognuno aveva le sue motivazioni, per marciare su Piazzetta Cuccia.
Non a caso, la Consob ha ricostruito i desiderata di Mps nel corso del tempo. Prima, ha pensato all’opzione stand alone, con vendite progressive di quote sul mercato da parte del Tesoro (che partiva dal 64%). Poi ha pensato a fusioni tra simili come Bper o Bpm. Quindi ha ripiegato su Mediobanca, nonostante fosse una banca molto diversa. Lovaglio ha rivelato alla Consob che quest’ultima operazione è stata prospettata allo stesso Nagel già nell’estate del 2024, a riprova che era un’operazione «industriale».






