
Accordo Meloni-Rama: spediremo 36.000 stranieri l’anno in due centri d’accoglienza nel Paese balcanico. In cambio, favoriremo l’entrata di Tirana nell’Ue. Il premier socialista: «Se l’Italia chiama, noi ci siamo».Un accordo che in Ue, per certi versi, suona come rivoluzionario, nel quadro della tristemente nota indifferenza che nutrono le cancellerie del Nord del continente nei confronti della pressione migratoria illegale sull’Italia. È quello siglato ieri a Palazzo Chigi dal nostro premier, Giorgia Meloni, e da quello albanese, Edi Rama, che prevede una strettissima cooperazione tra i due Paesi per la gestione dei flussi di migranti, divenuti ormai insostenibili per noi, a maggior ragione in assenza della volontà dei partner comunitari di dare seguito agli accordi sulla redistribuzione, e di procedere a una efficace difesa dei confini esterni dell’Unione. Ecco che allora, come hanno rivelato fonti della presidenza del Consiglio, in piena estate, mentre Meloni soggiornava nel Paese balcanico per una breve vacanza (che poi tale fino in fondo non si è rivelata), è maturata l’idea di dare corpo a questa cooperazione, che ha il suo punto più importante nella messa a disposizione, da parte dello Stato albanese, di alcune delle sue aree costiere che l’Italia potrà utilizzare, a proprie spese, due strutture nelle quali allestire centri per la gestione dei migranti. Per la precisione, una volta a regime le strutture potranno accogliere fino a 36.000 migranti l’anno. Le aree dove saranno allestite tali strutture serviranno ad accogliere migranti soccorsi in mare da mezzi delle autorità italiane (quindi non Ong), e non migranti trasferiti dal territorio italiano. Inoltre, all’interno di queste strutture la giurisdizione sarà italiana, mentre la sicurezza all’esterno sarà nelle mani delle autorità albanesi. Uno status giuridico, dunque, molto simile a quello extraterritoriale delle ambasciate.«Inizialmente», ha affermato il nostro premier nelle dichiarazioni congiunte, rese alla stampa prima della firma dell’accordo , «potrà accogliere fino a 3.000 persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio. L’accordo non riguarda i minori, le donne in gravidanza e gli altri soggetti vulnerabili. Il flusso complessivo», ha aggiunto, «potrebbe arrivare fino a 36.000 persone che si alternano. Il protocollo che firmiamo oggi con l’Albania disegna la cornice politica e giuridica della collaborazione, poi dovranno seguire i provvedimenti normativi e le attività necessarie per predisporre le strutture. Sono centri che contiamo di rendere operativi», ha proseguito Meloni, «per la primavera 2024. È un accordo che arricchisce un’amicizia storica, un partenariato strategico che si sviluppa attraverso rapporti commerciali di assoluta eccellenza. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania e il nostro interscambio vale circa il 20% del Pil albanese, ma anche attraverso scambi tra le nostre comunità presenti in Italia e Albania. Ci sono intensi rapporti culturali e sociali. È una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità. L’accordo di oggi» ha concluso il premier, «arricchisce questa collaborazione con un ulteriore tassello».Molto soddisfatto dell’accordo Rama, anche lui intento a ricordare gli storici legami di amicizia tra i due Paesi, non senza lesinare una punta di veleno per l’Unione europea, insistendo sulla pratica di adesione del suo Paese. Non a caso, Meloni ha enfatizzato molto questo aspetto, spiegando apertamente che la contropartita sarà politica, nella misura in cui l’Italia spingerà per accelerare al massimo il processo di adesione di Tirana all’Ue. Un’Ue che, così com’è, a Rama non garba molto: «Quando l’Italia chiama», ha detto, «l’Albania c’è. Non siamo uno Stato Ue, ma siamo uno Stato europeo. Non avremmo fatto questo accordo con nessun altro Stato Ue, possiamo dare una mano e aiutare a gestire una situazione che, lo vedono tutti, è difficile per l’Italia». Poi, la stoccata a Bruxelles: «Quando si entra in Italia, si entra in Europa, nell’Ue, ma quando si tratta di gestire questa entrata come Ue sappiamo bene come vanno le cose». Il nostro presidente del Consiglio, annuendo platealmente mentre Rama parlava, ha poi parlato di un «una soluzione innovativa che dimostra che dall’amicizia e dalla cooperazione possano nascere idee nuove». «Confido», ha aggiunto, «che domani possa diventare anche un esempio e modello da seguire per altri accordi di collaborazione di questo tipo. Considero questo un accordo di respiro europeo e dimostra che si può collaborare sul fronte della gestione dei flussi migratori a 360 gradi e lo si può fare con quelle nazioni che sono europee. L’immigrazione illegale di massa», ha detto ancora Meloni, «è un fenomeno che l’Ue e gli Stati membri non possono affrontare da soli e da questo punto di vista la collaborazione tra Stati Ue ed extra-Ue può essere decisiva. Nonostante l’Albania non sia ancora formalmente parte dell’Ue si comporta come se lo fosse già. Questa è una delle ragioni per le quali sono fiera del fatto che l’Italia sia da sempre», ha concluso, «uno dei più grandi sostenitori dell’ingresso dell’Albania e dei Balcani occidentali».
Non solo i water d’oro: dettagli choc nell’inchiesta che scuote i vertici del Paese. I media locali: la gente è senza luce e quelli se la spassano. La Corte dei Conti Ue già nel 2021 parlava di corruzione insanabile.
Con lo scandalo nel settore energetico è iniziato il momento più buio per il presidente Zelensky. I vertici di Kiev tentano di prendere le distanze dai protagonisti dell’inchiesta sulla corruzione. Ma con scarsi risultati. Il popolo è ben consapevole che chi conduceva una vita agiata faceva parte della cerchia ristretta del leader.
Toghe (Ansa)
Invece di preoccuparsi delle separazioni delle carriere, l’Associazione magistrati farebbe bene a porsi il problema dei tanti, troppi, errori giudiziari che affliggono la macchina della giustizia.
Non penso a quel pastore sardo che ha trascorso più di 30 anni dietro le sbarre prima di essere dichiarato innocente. Né alludo al giallo di Garlasco, dove a 18 anni di distanza dall’omicidio e a dieci di carcerazione del presunto colpevole, la parola fine sull’assassinio di Chiara Poggi non è ancora stata pronunciata. No, se invito l’Anm a mettere da parte la battaglia sul referendum e a pensare di più a come le decisioni di un magistrato incidono sulla vita delle persone che non hanno colpe è perché mi ha molto impressionato la vicenda di quel bambino di nove anni che la magistratura ha consegnato alla sua assassina.
Non penso a quel pastore sardo che ha trascorso più di 30 anni dietro le sbarre prima di essere dichiarato innocente. Né alludo al giallo di Garlasco, dove a 18 anni di distanza dall’omicidio e a dieci di carcerazione del presunto colpevole, la parola fine sull’assassinio di Chiara Poggi non è ancora stata pronunciata. No, se invito l’Anm a mettere da parte la battaglia sul referendum e a pensare di più a come le decisioni di un magistrato incidono sulla vita delle persone che non hanno colpe è perché mi ha molto impressionato la vicenda di quel bambino di nove anni che la magistratura ha consegnato alla sua assassina.
Il primo ministro nipponico Sanae Takaichi (Ansa)
Le recenti tensioni tra Tokyo e Pechino per la questione Taiwan ci riguardano. Se vuole avere un’influenza globale, l’Italia consideri il Sol Levante come vicino.
Poiché gli interessi geoeconomici dell’Italia - export ed internazionalizzazione delle nostre imprese - sono globali mi sembra ovvio che l’attenzione e l’azione geopolitica di Roma debbano esserlo altrettanto. Cioè tutto il mondo è un’area viciniore dell’Italia e non solo quella geograficamente contigua (si faccia riferimento per l’argomentazione al mio Italia Globale, Rubbettino, 2023). Con questo in mente, che per altro è criterio antico della politica estera italiana ora intensificato dal governo corrente, va annotata la crescente divergenza tra Giappone e Cina con linguaggi inusualmente minacciosi e bellicisti da parte della seconda. Una parte della stampa italiana ha commentato questo episodio come un evento esotico lontano da noi. Qui cerco di argomentare perché, invece, è un fatto vicino, che ci coinvolge imponendo una riflessione strategica.
Donald Trump (Ansa)
Il presidente Usa prende pubblicamente le distanze dalla deputata anti sistema Marjorie Taylor Greene. Per ora si tratta di frizioni sotto controllo, ma in vista delle primarie del 2028 la lotta si annuncia feroce.
Terremoto nel mondo Maga. Venerdì, Donald Trump ha platealmente revocato il proprio endorsement a colei che, un tempo, era uno dei suoi più ferrei alleati: la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene. «Ritiro il mio sostegno e il mio endorsement alla “deputata” Marjorie Taylor Greene, del Grande Stato della Georgia», ha dichiarato il presidente americano su Truth. «Tutto ciò che vedo fare alla stravagante Marjorie è lamentarsi, lamentarsi, lamentarsi!», ha proseguito, sostenendo che la Greene si sarebbe offesa per non riuscire più a parlare al telefono con lui. «Non posso rispondere ogni giorno alla chiamata di una pazza che si lamenta», ha continuato il presidente, che ha anche accusato la deputata di essersi spostata su posizioni di «estrema sinistra».





