Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
«No, no! Vai via… vai via! Aiuto! Aiuto!». Sono le urla strazianti di due bambini, di 4 e 8 anni, mentre vengono strappati via con la forza da mamma e papà. Sono le immagini scioccanti riprese dalle telecamere di sorveglianza della casa. Decine di agenti in tenuta antisommossa, armati, con giubbotto antiproiettile, che spuntano all’improvviso dal bosco. E con gli assistenti sociali portano via i due bambini. Come fossero pericolosi terroristi. Il più piccolo addirittura senza scarpe, in pigiama.
Unica colpa dei genitori, aver scelto di vivere una vita diversa. Un caso che somiglia tanto a quanto accaduto alla famiglia del bosco. Un caso che ha spaccato l’Italia. E purtroppo, non isolato. Perché il sistema Bibbiano esiste. Non è stato archiviato da una sentenza. Il sistema Bibbiano esiste ancora in tutt’Italia.
Questa è una storia che non è finita sotto i riflettori, qui non sono arrivati i tg e neppure le telecamere. Ad eccezione delle nostre, quelle di Fuori dal coro, il programma di Mario Giordano. Per denunciare, ancora una volta, la violenza con cui troppo spesso vengono portati via i bambini alle loro famiglie. Bambini che non sono in pericolo di vita. Ma che subiscono un trauma che li segnerà per sempre.
Anche qui ci sono due genitori che hanno deciso di vivere in un bosco. Anche qui ci sono due genitori, Harald perito elettronico di Bolzano e Nadia della Bielorussia, che hanno scelto per i loro figli la scuola parentale a casa. Anche qui ci sono due genitori che non hanno eseguito tutti gli obblighi vaccinali. E proprio per aver scelto di vivere una vita fuori dal sistema, sono finiti prima sotto la lente dei servizi sociali. Poi del giudice del tribunale dei minori di Firenze, Nadia Todeschini, che ha firmato il decreto di allontanamento. Secondo il Tribunale i genitori non avrebbero eseguito correttamente la procedura per l’insegnamento parentale. Inoltre, avrebbero impedito ai servizi sociali di fare i controlli sanitari sui bambini. Ma basta questo per portare via i figli a mamma e papà?
«Ci hanno ucciso», racconta Nadia tra le lacrime, mentre ci mostra i letti vuoti dei suoi bimbi, «sono 47 giorni che non abbiamo notizie di loro. Neppure una telefonata. Neppure per i compleanni che ci sono stati il mese scorso. Siamo distrutti. Perché tutto questo? Che male abbiamo fatto?».
È il 16 ottobre scorso. C’è una bella casa immersa in un bosco a Caprese Michelangelo, tra le colline toscane, in provincia di Arezzo.
Sono le 11 del mattino. A raccontare è papà Harald: «Ci hanno suonato al cancello. Io sono uscito per andare ad aprire. Due carabinieri mi hanno chiesto di far venire anche mia moglie, perché dovevano notificarci un atto importante. Era una trappola. Dal bosco sono spuntati oltre dieci agenti in tenuta antisommossa, mentre un’altra decina ci ha circondato per impedirci di tornare in casa. A quel punto ho capito. Ho cominciato a urlare a mio figlio più grande di non aprire. Di tutta risposta, l’ispettore capo mi ha minacciato: “Se non gli fai aprire la porta, noi tanto la sfondiamo!”. E me lo ha ripetuto: “Se non ci fai aprire la porta noi la sfondiamo”».
«I nostri bimbi erano in casa. Mio figlio ha pensato che fossi io. Ed ha aperto. Il carabiniere, come si vede chiaramente nel video, ha spinto con forza la porta. E loro sono entrati».
A questo punto le immagini delle telecamere di sorveglianza sono scioccanti. Un pugno nello stomaco. C’è un carabiniere che grida al collega: «Pigliali, pigliali tutti e due. Non farli scappare!».
Si precipitano in casa, correndo, più di sei uomini. Sono tutti armati e con i giubbotti anti proiettile. Portano fuori i bambini. Il più grande viene messo in un angolo, controllato da un agente. Il più piccolo lo fanno sedere sulle scale. Ha ancora addosso il pigiamino e i calzettoni. Quando arrivano le tre assistenti sociali rientrano tutti in casa. Cosa avvenga lì dentro non lo sappiamo.
Sappiamo solo che alle ore 12.06, come indicano le telecamere di sorveglianza, si odono da fuori le urla disperate del più piccolo. Continua a gridare: «Aiuto, aiuto… Lasciatemi!». Ma i genitori sono tenuti fermi, al cancello, circondati da uomini armati.
Dalla porta si vede uscire l’assistente sociale con il piccolo in braccio, tenuto come fosse un pacco postale, mentre lui continua urlare e scalciare disperato. Sono urla strazianti. Il bambino perde anche le scarpe. Ma la donna lo infila comunque in macchina, mentre il più grande viene fatto entrare in auto da un’altra assistente, che lo tiene per un braccio. Poi solo il silenzio.
Da allora sono passati 47 giorni. I bimbi, portati in una comunità protetta, sembrano svaniti nel nulla.
Mamma Nadia ancora non riesce a crederci. E si dispera. Continua a ripete: «Ma come è possibile, siamo in Italia. In Italia la famiglia è tutto».
Papà Harald senza mezzi termini parla di «rapimento» di Stato. «Ho denunciato tutti», dice, «il decreto che mi hanno mostrato, e che mi sono rifiutato di ritirare, non aveva la firma in calce del giudice. Con quale diritto ci hanno portato via i nostri bambini? E dire che c’eravamo trasferiti qui un anno e mezzo fa, dalla Val Badia, dopo aver gestito per dieci anni un albergo… Cercavamo solo un po’ di tranquillità. E invece ci hanno distrutto la vita».
Per gentile concessione dell’editore Arianna e dell’autrice, pubblichiamo un estratto dell’ultimo libro di Raffaella Regoli, giornalista di Fuori dal coro (Rete 4), I padroni dell’Oms. Emergenze, trattati pandemici, vaccini, green pass globale. Una rassegna critica sul modo in cui interessi economici e politici superiori stanno condizionando le politiche sanitarie mondiali, minacciando di comprimere le nostre libertà e di trasformare nella «nuova normalità» lo stato d’eccezione sperimentato in pandemia.
Correva l’anno 2014 e l’Italia veniva designata quale capofila delle campagne vaccinali nel mondo.
A ricevere questo incarico alla Casa Bianca a Washington, alla presenza di Barack Obama, ci sono il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, Ranieri Guerra, consigliere scientifico all’ambasciata di Washington e l’allora presidente di Aifa, Sergio Pecorelli. Nel 2014 quindi, al vertice del Global health security agenda, cioè dell’Agenda globale della salute, si decide che l’Italia guiderà nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo. Il ministro Lorenzin in conferenza stampa dichiara: «È necessario rafforzare la sorveglianza a livello globale […]. Gli Stati membri devono garantire risorse, personale, laboratori e un coordinamento dell’attività sul campo». Oggi, quelle parole lucide e precise ci dicono chiaramente dove ci stavano portando.
Tre anni dopo, il 19 maggio del 2017, il Consiglio dei ministri approva un decreto urgente per rendere obbligatorie le vaccinazioni da 0 a 6 anni, per l’iscrizione agli asili nido e alle scuole materne. Un piano di 12 vaccini che prevede anche tutta una serie di misure coercitive. L’allora presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, specifica che le sanzioni diverranno «dalle 10 alle 30 volte maggiori di quelle esistenti», allo scopo di essere più convincenti. Le proteste si levano da più parti. Il ministro della Salute, Lorenzin, conferma tutto nel corso di una conferenza stampa. Al suo fianco ci sono tre figure che torneranno di continuo nella scena sanitaria italiana fino a ricoprire ruoli chiave nella gestione della pandemia da Covid-19: Ranieri Guerra, direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero, Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità e Gianni Rezza.
«Obiettivo di questo decreto», si affretta a spiegare la Lorenzin ai giornalisti, «è raggiungere il livello di immunizzazione raccomandato da Oms, pari al 95% della popolazione, in modo da mettere in sicurezza il Paese». Ma 12 vaccini obbligatori servivano davvero a mettere in sicurezza il Paese?
Ed ecco che entra in gioco la «politica delle emergenze». Un’improvvisa epidemia di morbillo. Un’epidemia di morbillo che, guarda caso, colpisce come una maledizione l’Europa. Ma non tutta l’Europa. Il focolaio è concentrato solo in casa nostra. L’Oms dà la colpa alla vaccinazione stagnante nel nostro Paese. Che è pari nel 2016 al 93,3%.
Nel 2017 l’Oms pubblica infatti un rapporto sulla «salute sostenibile», come da Agenda 2030. Nel rapporto si riconosce la vaccinazione «come uno degli interventi di sanità pubblica di maggior costo-beneficio». Ma dove sono i dati? E soprattutto, se aumentano i danni da vaccino nei bambini, dov’è il risparmio per il sistema sanitario?
Secondo i dati del Cdc di Atlanta, se nel 2014 in 11 stati Usa si registrava un bambino autistico ogni 59, nel 2023 il rapporto è diventato di 1 bambino autistico ogni 36. Secondo l’Angsa, l’associazione dei genitori delle persone con autismo, nelle scuole italiane si conferma un costante aumento degli alunni con disabilità. Nell’anno scolastico 2018-2019 sono stati il 3,3% sugli iscritti. Ricordo solo una sentenza storica, nel 2014, del tribunale di Milano che riconobbe l’autismo di un bimbo come effetto avverso del vaccino esavalente. Il ministero della Salute fu condannato a versare un assegno a vita a un bimbo di 9 anni ipotizzando una correlazione proprio con il vaccino. La relazione del medico legale nominato dal Tribunale di Milano, il dottor Alberto Tornatore, faceva riferimento a un documento «confidenziale rivolto agli enti regolatori», della Glaxo. Il perito parlò di ben «5 casi di autismo segnalati durante i trial, ma poi omessi dall’elenco degli effetti avversi».
Nonostante le polemiche, l’obbligo vaccinale diviene legge, la n. 119, il 31 luglio del 2017. I vaccini da 12 diventano 10 obbligatori, più 4 «consigliati attivamente». Ma la domanda resta. Basta una presunta epidemia di morbillo per imporre 10 vaccini obbligatori? E solo in Italia?
Sono 15 i Paesi in Europa, infatti, che oggi non hanno vaccinazioni obbligatorie: Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Perché?
Fatto sta che tempo due mesi dalla legge Lorenzin, e il 3 ottobre 2017, l’Italia riceve un «premio». Ranieri Guerra diventa director assistant del direttore generale dell’Oms. Quella mattina la Lorenzin sfoggia tutto l’orgoglio italiano: «È un grande riconoscimento per tutto il nostro sistema sanitario», dice. E sarà proprio Ranieri Guerra nel 2020, in piena emergenza pandemica, nonostante fosse in Oms, a sedere al tavolo tecnico scientifico del Cts. Un’evidente anomalia.
Walter Ricciardi andrà invece nell’executive board sempre dell’Oms. È quello stesso Walter Ricciardi che, appena esplosa la pandemia, viene chiamato come consulente scientifico dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza. È quel Walter Ricciardi che parlava di «epidemia fuori controllo», auspicava «zone rosse» e reclamava «sanzioni contro gli irresponsabili». È quel Walter Ricciardi che il Codacons denuncia nel 2018, per «presunti» conflitti d’interesse con le Big pharma. Ad aprile 2021 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Codacons contro Ricciardi, per aver ricevuto finanziamenti e sponsorizzazioni da aziende farmaceutiche produttrici di quei vaccini divenuti obbligatori.
Quel Walter Ricciardi di cui parlava anche la deputata Eva Reali, che già nel 2014 diceva: «Non si capiscono i vaccini se non si capisce chi c’è dietro».





