Ha parlato circa due ore e tre quarti. E ha scritto un pezzo di storia di questo Paese. Il procuratore di Caltanissetta Salvo De Luca, in commissione Antimafia, ha ricostruito l’indagine monstre che sta portando avanti con i suoi pm sulle cause della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui persero la vita l’allora procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino e la sua scorta.
E ha confermato ciò che le indiscrezioni giornalistiche (soprattutto di questo giornale) aveva già fatto in parte trapelare: il dossier mafia e appalti dei carabinieri del Ros è stata una concausa delle stragi, dal momento che per la Piovra andava affossato. Chi ci credeva è morto, chi ha alzato «una muraglia cinese» intorno a esso si è salvato. Ma le accuse più gravi sono state rivolte all’ex procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, e all’ex pm Giuseppe Pignatone (successivamente destinato a una folgorante carriera). De Luca ha spiegato che le precondizioni dell’uccisione di Falcone e Borsellino erano state il loro isolamento e la loro sovraesposizione. E come si era arrivati a questa situazione? Semplicemente affidando le leve della Procura a un uomo come Giammanco con parenti mafiosi, compreso un cugino «accoscato» di Bagheria, la terra di Bernardo Provenzano, e un nipote imprenditore che si spartiva gli appalti con le cosche. De Luca contesta a Giammanco anche l’«ostentata» amicizia con il politico in odore di mafia Mario D’Acquisto e la pazza idea di presenziare insieme con i suoi pm ai funerali di Salvo Lima. Non sono mancate le stoccate all’ex fedele collaboratore di Giammanco, Pignatone, che ha vissuto dai 14 ai 27 anni, quando era già entrato in magistratura, in un condominio infestato da mafiosi, la palazzina di via Uditore 7 C. Qui c’erano 14 appartamenti: 8 occupati dalla famiglia di don Vincenzo Piazza e 4 dai Pignatone.
L’ex presidente del Tribunale del Vaticano ha assicurato che i rapporti tra i due gruppi erano solo «formali» per «le differenze sociali e culturali». Ma De Luca ha pescato nei suoi ricordi e ha sostenuto che in quegli anni, nei condomini, i rapporti erano improntati alla massima condivisione. Nella stessa via viveva anche un altro personaggio che è stato condannato definitivamente per mafia, Francesco Bonura, a sua volta cognato dei fratelli Salvatore e Antonino Buscemi, il primo dei quali diventerà capo mandamento.
E proprio Piazza, Bonura e Buscemi costituiranno l’immobiliare Raffaello, da cui, tra il 1978 e il 1983 i Pignatone acquisteranno 26 immobili, tra appartamenti, box, cantine e negozi. Comprano da «un capo mandamento, un capo famiglia e un associato», ha evidenziato De Luca, aggiungendo che poche altre ditte a Palermo avevano una compagine così compromessa: «Una riunione di questa società poteva comportare un arresto in flagranza per associazione mafiosa». Il procuratore ha citato anche un’intercettazione che i nostri lettori già conoscono. Risale al 22 ottobre 2024 e in essa il boss Bonura (tuttora in carcere) afferma: «A Pignatone gli abbiamo venduto le case. Io mi ricordo la madre di Pignatone, mi prendeva a braccetto: andiamo a vedere qua, andiamo là; sì signora, sì signora...».
Quando De Luca gli ha letto queste parole, durante il suo interrogatorio, Pignatone ha protestato: «Mia madre, buonanima, era una persona cordiale». L’audito ha anche ricordato che l’ex procuratore di Roma, quando Bonura viene arrestato per un duplice omicidio di mafia, anziché interrompere gli acquisti dalla Raffaello, si astiene nel procedimento. Ma il capo degli inquirenti nisseni ha rimarcato come Pignatone non abbia fatto la stessa prudente scelta quando c’è stato da indagare, agli arbori del dossier del Ros, sugli affari della Sirap, un ente pubblico chiamato a gestire mille miliardi di lire in appalti, una diligenza assaltata dalla mafia. La Sirap era partecipata dalla Espi presieduta da babbo Pignatone, chiacchierato politico dc e, secondo De Luca, «era probabile» che in quell’indagine, «emergessero fatti sul padre». Ma ciò non avrebbe sconsigliato Pignatone dal trattare quel fascicolo.
Tali intrecci pericolosi, secondo gli inquirenti nisseni, rendevano incompatibile Pignatone con la Procura di Palermo, o «quanto meno avrebbero dovuto impedirgli di avvicinarsi a qualunque procedimento riguardasse mafia e appalti, i Buscemi, Bonura e Piazza». De Luca ha anche ricordato che già nella relazione di opposizione del 1976 in Antimafia erano citati Bonura e Piazza e in quella del 1988 si spiegava che Pignatone senior «avrebbe tenuto un comizio voluto da Calogero dall’onorevole Calogero Vizzini in cui si esaltava la virtù della mafia diversa dalla delinquenza». Di fronte a un simile quadro, De Luca ha scandito: «Questa situazione di assoluta inopportunità in cui hanno esercitato le loro funzioni Giammanco e Pignatone ha contribuito grandemente a sovraesporre Falcone e Borsellino».
Il procuratore è stato tranciante, seppur negando di essere guidato da «mero moralismo», anche sul fatto che Pignatone abbia confessato di avere versato in nero circa 20 milioni per l’acquisto della casa, «rendendosi conto della pochezza del prezzo pagato». Il magistrato siciliano ha sintetizzato il suo lavoro: «Dobbiamo vedere in che situazione di inopportunità si va a ficcare una persona». Un approfondimento che ha portato a queste conclusioni: «Pignatone afferma di avere pagato 20 milioni in nero al capo mandamento Salvatore Buscemi. Non è un reato perché si tratta di un pagamento sottosoglia, è un illecito amministrativo […], ma è un’evasione fiscale fatta con il capo mandamento di Passo di Rigano Boccadifalco».
Diversi collaboratori di giustizia hanno citato Giammanco e Pignatone come magistrati vicini alle cosche, se non addirittura a disposizione. Lo stragista pentito Giovanni Brusca, a giugno ha detto ai magistrati nisseni: «Ho sentito della famiglia Pignatone, Salvatore Riina diceva che erano vicini ai Buscemi... ho saputo da Pino Lipari o da Totò Riina che i Buscemi avevano a disposizione il magistrato Pignatone, si diceva anche che il dottor Pignatone fosse stato trattato bene dai Buscemi in occasione di un acquisto di un appartamento».
Pignatone ha liquidato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia come semplice «chiacchiericcio». Ma De Luca ha deciso di scoprire se lui e Giammanco «abbiano offerto un’immagine all’esterno che ha dato luogo a queste v sa nostra».E in commissione ha illustrato quanto certi comportamenti disinvolti di magistrati come Pignatone e Giammanco potrebbero avere danneggiato Falcone e Borsellino: se qualcuno si è «posto in una posizione assolutamente inopportuna», dando alla mafia l’impressione che in Procura ci fosse «una dirigenza debole, malleabile o addirittura corrotta», ebbene, quelle persone avrebbero, come detto, sovraesposto «enormemente chi, invece, veniva ritenuto incorruttibile, inflessibile». De Luca ha riportato quello che potrebbero avere pensato i boss: «Con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non c’è niente da fare. Fermiamoli, tanto con gli altri non abbiamo problemi».
A questo punto De Luca ha passato in rassegna le posizioni di Giammanco (morto nel 2017), Pignatone (indagato) e di Guido Lo Forte, che, però, nonostante abbia comperato casa dalla Raffaello e lavorato gomito a gomito con Pignatone non è stato iscritto sul registro delle notizie di reato perché non è stato chiamato in causa dai collaboratori di giustizia e, dopo l’addio di Giammanco, ha chiesto l’arresto di Antonino Buscemi. Una mossa che a giudizio del procuratore dimostrerebbe che «non aveva interesse personale a proteggerlo».
Diversa la gestione, sotto la regia di Pignatone, di fascicoli fondamentali sugli affari dei Buscemi con il gruppo Ferruzzi nelle cave di marmo di Carrara.
De Luca ha ricordato un dogma di Falcone (mega indagini, piccoli processi), completamente tradito da queste inchieste, in cui le investigazioni procedevano a compartimenti stagni e non c’era reale condivisione delle informazioni. De Luca non si spiega come il fascicolo «doppione» sui Buscemi, aperto grazie alle carte arrivate dalla Procura di Massa Carrara, sia rimasto praticamente «occulto». Il titolare ufficiale era Gioacchino Natoli, il quale, pur appartenendo a una corrente progressista, era perfettamente allineato con il moderato Pignatone e avrebbe nascosto al Csm quanto di sua conoscenza sui rapporti conflittuali tra Giammanco e Falcone, da quest’ultimo denunciati anche in una riunione di corrente.
Quanto alla sottovalutazione del dossier mafia appalti e all’archiviazione del filone principale, chiesta da Roberto Scarpinato e Lo Forte, De Luca non è stato tenero: «In due anni non è stata fatta una sola indagine su Antonino Buscemi».
Il procuratore ha giudicato «singolare» il fatto che l’attuale senatore del Movimento 5 stelle e membro della commissione Antimafia «si sia rimesso alle valutazioni di Lo Forte» su Buscemi e alla sua decisione di chiedere l’archiviazione asserendo che sul boss «non c’era assolutamente nulla» (una motivazione bollata da De Luca come «inaccettabile»), mentre contemporaneamente portava avanti una richiesta di misura di prevenzione nei confronti dello stesso soggetto e in tale fascicolo «diligentemente» aveva raccolto le carte di Massa e le dichiarazioni dei pentiti nei suoi confronti. Ma con quel tipo di proscioglimento «come puoi portare avanti la misura di prevenzione?», si è chiesto l’audito. «Un’affermazione del genere fatta dalla Procura rende inidonea la prosecuzione di un procedimento per una misura di prevenzione». Per De Luca, Scarpinato o doveva mandare in archivio entrambi i procedimenti o, viste le sue conoscenze, portare avanti anche il fascicolo penale. «La diligenza del senatore Scarpinato è molto apprezzabile in sede di misura di prevenzione, però, è in contraddizione con l'atteggiamento mantenuto in sede penale».
Il procuratore ha bocciato anche la pista nera seguita dal parlamentare grillino quando era pg di Palermo. Lo ha accusato di «essersi fatto un’indagine sulle stragi» alla vigilia del congedo per pensionamento, senza coordinarsi con Caltanissetta («l’unica procura che aveva la competenza sulle stragi»), violando così l’articolo 11 del codice di procedura penale.
Ma al contrario di quanto accaduto per mafia e appalti, quando Scarpinato «ha prospettato questo filone», De Luca & c. avrebbero iniziato a indagare con entusiasmo, salvo «rendersi conto» che quell’indagine «valeva zero tagliato», come ha confermato un gip non appiattito sulle posizioni della Procura. Ma questo non significa che «Stefano Delle Chiaie (l’estremista chiamato in causa da Scarpinato, ndr) non possa avere avuto un ruolo […] visto che uno stragismo di destra storicamente in Italia c’è stato», ha concesso De Luca, annunciando che c’è «un’ulteriore pista nera che stiamo approfondendo e che potrebbe dare esiti».






