Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
Undici creditori (di cui il principale è l’Agenzia delle entrate, che vanta ben otto crediti), un passivo da oltre 5 milioni di euro, una liquidazione giudiziale aperta nel 2023 dal tribunale di Catania «nella contumacia» della società.
È l’incredibile storia della Società di servizi Cgil Sicilia srl, nata per organizzare sul territorio siciliano i servizi dei Caf, l’assistenza fiscale, controllata dalla Cgil Sicilia e da una serie di Camere del lavoro del sindacato sparse sul territorio dell’isola, che la trasmissione di Rai 3 Lo Stato delle cose, condotta da Massimo Giletti, racconterà nella puntata in onda stasera alle 21.30.
Nel servizio, realizzato dall’inviato Alessio Lasta, una frase, pronunciata dal commercialista Giannicola Rocca, già presidente della commissione crisi e risanamento di impresa dell’Ordine dei commercialisti di Milano, riassume meglio di tutte la situazione della società controllata dal sindacato guidato da Maurizio Landini. Chiamato dalla trasmissione ad analizzare i bilanci, Rocca ha riassunto così lo stato dei conti della Società di servizi Cgil Sicilia srl: «Se posso sintetizzare, questa è una società che si è finanziata non versando i contributi».
Come detto, il principale creditore della Società di servizi Cgil Sicilia è l’Agenzia delle entrate, che vanta pendenze per circa 3.350.000 euro per mancato versamento di contributi di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia, superstiti e infortuni sul lavoro, ovverosia tutta la parte contributiva e assistenziale che la società deve versare obbligatoriamente per legge a Inps e Agenzia delle entrate per la tutela dei lavoratori. Altri 377.000 euro riguardano crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e contributi degli enti locali non versati. Gli altri creditori sono l’Istituto di case popolari di Enna e due privati, un professionista e un dipendente a tempo determinato.
Secondo quanto ricostruito nel servizio, quest’ultimo, un ex addetto alle pratiche del Caf, deve ricevere 150.000 euro. Per l’ex presidente del consiglio d’amministrazione della società, Giuseppe La Loggia, oggi a capo dell’Inca (Istituto nazionale confederale di assistenza) della Sicilia, però è tutto a posto. Anche se di fronte alle domande dell’inviato Alessio Lasta, che gli chiedeva conto del motivo per cui la società non abbia pagato contributi Inps e Inail ai lavoratori e non abbia versato l’Iva, il sindacalista ha manifestato un notevole nervosismo. I due si incontrano in un centro congressi di Aci Castello, vicino a Catania.
L’occasione è un’assemblea della Cgil siciliana, alla quale partecipa anche il segretario nazionale Landini. L’inviato e La Loggia si sono già conosciuti in occasione di un precedente servizio della trasmissione che, a quanto pare, il sindacalista non ha gradito, tanto che inizialmente cerca di allontanare il giornalista in maniera sbrigativa: «Sei stato stronzo a fare quello che hai fatto, eravamo rimasti che ci dovevamo vedere e tu hai mandato il servizio», dice a Lasta davanti alla telecamera. E quando il giornalista gli fa notare che ci sono più di 3 milioni di debiti per i contributi non versati, il sindacalista risponde sprezzante: «E qual è il problema?». E alla domanda «Lei era presidente del consiglio di amministrazione, questa società è fallita», risponde con una frase che ha quasi dell’incredibile: «Come tante società falliscono in Italia, quindi qual è problema? L’amministravo? Mi assumo le mie responsabilità».
Che, a quanto pare, non sono un ostacolo al ruolo di responsabile regionale dell’Inca in Sicilia, sul cui sito, ironia della sorte, si può leggere la frase: «L’Inca tutela e promuove i diritti riconosciuti a tutte le persone dalle disposizioni normative e contrattuali - italiane, comunitarie e internazionali - riguardanti il lavoro, la salute, la cittadinanza, l’assistenza sociale ed economica, la previdenza pubblica e complementare».
E anche per Landini, la situazione della Società di servizi Cgil Sicilia non sembra essere un grosso problema. «Sono state fatte delle cose non buone, non a caso si è intervenuti, stiamo gestendo la liquidazione». Una risposta che sembra non tenere a mente che a gestire la liquidazione, su richiesta della Procura di Catania, accolta dal tribunale, è un liquidatore giudiziario.
Per Landini, però, «il problema adesso non è guardare se ci sono stai degli errori, il problema è se chi ha visto gli errori si è assunto la responsabilità di intervenire». Ma alla domanda sull’opportunità che La Loggia sia a capo dell’Inca, il segretario confederale replica: «Qui, localmente, noi stiamo gestendo tutto il rapporto con il tribunale, stiamo facendo tutto quello che c’è da fare. Noi stiamo mettendo a posto tutte le cose».
Calci, pugni e sciopero ma non solo. La brutta storia che venerdì ha visto come epicentro Genova e i sindacati, con una ventina di persone riconducibili alla Fiom che hanno inseguito e picchiato 5 colleghi della Uilm colpevoli di non aver partecipato alla serrata per l’ex Ilva, racconta anche altro. Racconta di un Maurizio Landini che oltre a non condannare la violenza ha smarrito il controllo dei suoi in un’azienda e un territorio caldissimi. E dice di un segretario della Cgil che sta perdendo la fiducia dei lavoratori soprattutto lì dove le partite dell’occupazione sono complesse. Nelle fabbriche più ostiche, ma non solo.
A partire appunto dall’ex Ilva, dove negli scorsi anni è andato in scena un clamoroso sorpasso. Nel sito di Taranto, che per mille motivi (storia imprenditoriale, giudiziaria e politica) può essere considerato l’emblema delle difficoltà del lavoro soprattutto nel Mezzogiorno, la Uilm è il primo sindacato. E passi. Il problema è che la Fiom è scivolata via via nelle posizioni di retroguardia diventando nel 2023 (su una platea elettorale di 8.100 dipendenti ha votato circa il 70% della forza lavoro) la quarta forza di rappresentanza, dietro anche alla Fim (i metalmeccanici della Cisl) e all’Usb.
Storia nota che non ha insegnato molto alla leadership di Landini. Perché a furia di fare opposizione a prescindere al governo e di pensare a referendum, talk show e interviste sui giornali (con una smaccata preferenza per quelli del gruppo Gedi) si finisce per non avere più il polso di quanto succede sul territorio. Prendiamo Stellantis, Cnh, Iveco e Ferrari, dove la Fiom dal 2011 non firma il contratto (Ccsl) ad hoc dei vari gruppi e si è praticamente ritirata dalla competizione elettorale aziendale. Insomma, il primo sindacato italiano che rinuncia ai delegati in pezzi fondanti di un settore industriale, automotive e dintorni, che sta vivendo una delle peggiori crisi di sempre. Paradossale.
Oppure l’edilizia, dove nella conta degli iscritti certificati dal sistema delle casse edili la Filca Cisl da due anni ha superato la Fillea Cgil. Che è costantemente indietro anche per numero di rappresentanti nei cantieri delle grandi opere. Dai lavori per l’alta velocità Bari-Napoli (Webuild-Pizzarotti) per arrivare a quelli sulla A1 Barberino/Variante di Valico fino al Tunnel del Brennero (consorzio Dolomiti).
Sono solo esempi. Perché la diaspora di rappresentanti dal sindacato rosso riguarda a macchia di leopardo tutto il Paese. Ancora nel Mezzogiorno, dove la questione lavoro è più sentita, pochi mesi fa si sono svolte le elezioni per le Rsu (rappresentanze sindacali) delle Acciaierie di Sicilia. Secondo sito siderurgico del Sud. Qui è stato abbastanza clamoroso il successo dell’Ugl, con la Cgil finita solo terza, un unico delegato.
Anche nel bolognese, roccaforte rossa per eccellenza, le elezioni del 2025 per le Rsu hanno portato alla Cgil sorprese spiacevoli, con la Cisl che è diventata maggioranza in tre aziende. Alla Ghibson di Zola Predosa, storica fabbrica che produce da oltre quarant’anni valvole per uso industriali, acquisita nel 2022 dal Gruppo Bonomi, le urne hanno rovesciato completamente gli equilibri sindacali: la Fim che ha ottenuto tre delegati e la Fiom è rimasta a bocca asciutta. Alla Zarri di Castello d’Argile, attiva nel settore della produzione di componenti metallici e fissaggi, dove il confronto tra Cisl e Fiom si è chiuso 2 a 1, stesso risultato alla Corradi di Castelmaggiore, che produce pergolati in alluminio.
Anche in Friuli-Venezia Giulia, in provincia di Pordenone, il sindacato «rosso» perde terreno. Fino a poco tempo fa nello stabilimento della Bertoja, produttrice di semirimorchi per trasporti speciali, la Fiom poteva contare su tre rappresentanti. Quest’anno gli equilibri sono cambiati, e la Fim ha ottenuto due delegati, mentre la Fiom ne ha portato a casa solo uno. Alla Brovedani, dove prima gli uomini della Fiom erano la maggioranza, oggi ci sono tre Fim, 2 Fiom e uno Uilm. Alla Terex, produttrice di gru, la Fim si è confermata come prima forza, con due delegati contro uno della Fiom.
In Toscana il caso forse più eclatante è quello della Hitachi Rail di Pistoia, l’ex AnsaldoBreda (ceduta nel 2015 dall’allora Finmeccanica ai giapponesi), dove vengono prodotti una parte dei nuovi Frecciarossa 1000 utilizzati da Trenitalia. Dopo la privatizzazione all’interno dello stabilimento di Pistoia, per anni roccaforte della Fiom, gli equilibri sindacali sono progressivamente mutati. Da circa cinque anni la Fim fa incetta di delegati, seguita dalla Uilm.
Nel settore delle aziende elettriche ormai la Flaei Cisl è il principale sindacato, forte soprattutto di una rappresentanza in Enel arrivata al 48% e al 50% in A2A. «Dentro Enel abbiamo superato la Cgil già nel 2009», spiega alla Verità Amedeo Testa, segretario generale Flaei, che poi aggiunge: «Oggi nel comparto rappresentiamo sostanzialmente un lavoratore su due». Comparto che sta seguendo le orme tracciate da Poste Italiane, dove oggi il 54% dei rappresentanti è nelle mani della Cisl, che all’interno di Fondoposte, il fondo previdenziale dei dipendenti, arriva addirittura al 61%. Percentuali che, in linea puramente teorica, potrebbero consentire perfino di chiudere accordi senza gli altri sindacati.




