Dietro alla decisione degli inquirenti di diffondere ieri il video che ritrae il diciannovenne ecuadoriano, arrestato il 13 dicembre a Milano perché ritenuto responsabile di due episodi di violenza sessuale in danno di altrettante minorenni, potrebbe celarsi il timore che lo straniero finito ai domiciliari abbia commesso altre aggressioni non denunciate. A farlo pensare, oltre al filmato di quasi due minuti che ritrae il diciannovenne mentre segue una delle due presunte vittime mentre esce da una fermata della linea M2 della metropolitana, c’è la diffusione dei dettagli sul monopattino che il giovane usava per seguire le ragazze e il cappellino che indossava in entrambi gli episodi denunciati.
L’attività investigativa, condotta dal Nucleo Operativo Milano Porta Monforte dei carabinieri ha permesso di mettere a sistema i dati investigativi delle violenze sessuali commesse a Bussero il 12 agosto 2025, ai danni di una quindicenne, e a Milano il 19 settembre 2025, ai danni di un’altra adolescente di 16 anni. I dettagli di quanto denunciato dalle due adolescenti non sono stati resi noti. Come detto, le due vittime sono entrambe minorenni, e la tutela della loro identità è comprensibilmente stata messa al primo posto. Quello che è noto è che attirare l’attenzione degli inquirenti è stato l’identico modus operandi: l’indagato individuava la «preda», una minorenne da sola in una stazione della Metropolitana della M2 (Gorgonzola e Crescenzago) e da lì dava inizio a un pedinamento discreto delle vittime, che seguiva attentamente sino all’arrivo presso la loro abitazione, dove le ragazzine, una volta aperto il portone di casa, venivano assaltate dall’aggressore.
È grazie a dettagli presenti in entrambe le violenze che è stato possibile riconoscerlo: il giovane straniero si muoveva a bordo di un monopattino elettrico con elementi di colore arancione brillante e con indosso un cappellino da baseball verde che, è poi emerso dall’attività investigativa, indossava comunemente, anche per andare al lavoro. Particolarità che hanno permesso agli inquirenti di identificarne con certezza l’ecuadoriano come l’autore.
Inoltre, il diciannovenne, andava al lavoro con gli stessi abiti descritti dalle giovani vittime delle aggressioni, indumenti che sono stati trovati in casa. Nel filmato diffuso ieri si vede il diciannovenne fermo con un piede sul monopattino. Resta così per diverso tempo fino a quando, come emerge dalle immagini catturate da una telecamera di sicurezza acquisite dagli investigatori dell’Arma, qualcosa non attira la sua attenzione. È la quindicenne vittima della violenza del 12 agosto. L’adolescente è appena scesa dalla metropolitana, passa casualmente davanti all’ecuadoriano fermo sul suo monopattino. Tra i due non c’è nessuna interazione, circostanza che sembra confermare che i due non si fossero mai visti prima e che la scelta delle vittime sia casuale. La ragazzina si dirige verso l’uscita e cammina verso casa. Lui poco dopo sale sul monopattino e la segue. Le immagini lo immortalano prima mentre esce dalla stazione della M2, poi mentre, in pieno giorno, la segue a distanza lungo un vialetto alberato che costeggia i binari della metropolitana, che in quel tratto sono in superficie. Poi, a distanza, la pedina fino a casa. E qui, appena lei entra nel condominio, inizia l’incubo.
La vicenda dello stupratore del metrò rilancia l’allarme sulla sicurezza per le donne sui trasporti pubblici di Milano e del suo hinterland.
Nella notte tra il 30 e il 31 agosto, infatti, a cavallo tra le due aggressioni sulla M2, una diciottenne era stata stuprata alla stazione di San Zenone al Lambro, tra Milano e Lodi. In manette era poi finito un venticinquenne originario del Mali, incastrato dopo che i carabinieri del Ris di Parma hanno trovato una corrispondenza con le tracce biologiche lasciate dall’aggressore sui vestiti della ragazza. La giovane, dopo una serata trascorsa con la sorella, stava andando a prendere il treno per rientrare a casa. La ragazza, sotto choc, aveva subito raccontato ai carabinieri che «un uomo, di carnagione scura e con i capelli ricci», l’aveva afferrata e trascinata oltre un sottopassaggio, e là, nascosto dalla vegetazione, l’aveva immobilizzata, picchiata e stuprata. La diciottenne era rimasta in balia dell’aggressore per circa un’ora prima di riuscire a chiamare, in lacrime, il 112.
L’immigrato, che lavorava come aiuto cuoco in una onlus di Milano, era arrivato in Italia da poco più di un anno, grazie allo status di protezione sussidiaria concesso dalla commissione territoriale.
Anche in quel caso, a rivelarsi fondamentali erano state le immagini delle telecamere di sicurezza. All’arresto, nella notte tra martedì 9 e mercoledì 10 settembre, gli investigatori sono arrivati incrociando i filmati delle telecamere di videosorveglianza della zona della stazione e quella della onlus «Fratelli di San Francesco» dove la sera della violenza l’aiuto cuoco Sangare sostituiva un collega assente. Una vita all’apparenza irreprensibile, come quella del presunto stupratore in monopattino della M2.
Sulla revoca dell’immunità ad Alessandra Moretti il capodelegazione del Pd al Parlamento europeo Nicola Zingaretti ostenta apparente tranquillità: «Sono certo che Alessandra Moretti dimostrerà la sua correttezza e trasparenza rispetto ai fatti contestati. Continuo a pensare che già ora, dopo i chiarimenti prodotti, c’erano tutte le condizioni per tutelare di più le prerogative dei parlamentari ma ora nella fase che si apre ci sarà l’opportunità per verificare la sua estraneità. Intanto ora il suo impegno continuerà nel lavoro parlamentare». Ma la realtà è che la posizione dell’ex governatore del Lazio, numeri alla mano, trova spazio solo tra i dem italiani. E spacca il campo largo, visto che la Moretti non è stata «protetta» dagli alleati del Movimento 5 stelle. A favore della revoca, che si inserisce nel quadro dell’inchiesta sul cosiddetto Qatargate, esplosa a dicembre 2022, hanno infatti votato 497 europarlamentari, mentre 139 hanno votato contro e 15 si sono astenuti.
Salva invece, come già avvenuto durante il voto in commissione Juri, Elisabetta Gualmini, con la cui immunità è stata confermata con 382 voti a favore, 254 contrari e 19 astenuti.
Un finale che si poteva intuire già dalle macroscopiche differenze che emergono dalla lettura delle due relazioni sottoposte al Parlamento.
Nel documento ratificato ieri in seduta plenaria si legge infatti che «l’indagine tenderebbe a dimostrare che diversi vantaggi specifici sarebbero stati proposti, accettati e persino richiesti dall’onorevole Alessandra Moretti». Inoltre, «secondo le informazioni fornite dal procuratore federale belga, presso i coimputati e altri indagati oggetto di indagine giudiziaria sarebbero stati raccolti diversi tipi di prove concernenti una serie di vantaggi specifici che Alessandra Moretti ha cercato e/o ottenuto; che tali prove sarebbero corroborate dai molteplici accertamenti effettuati dai servizi di polizia». «In cambio di tali vantaggi specifici», prosegue il documento, l’eurodeputata «avrebbe partecipato a eventi o incontri in cui avrebbe parlato a favore del Qatar dopo aver presumibilmente non solo ricevuto passivamente istruzioni, ma anche attivamente chiesto consigli su quali azioni intraprendere e cosa dire nei suoi interventi, dove e quando; che avrebbe contattato proattivamente anche altri deputati, offrendosi di sostituirli durante determinate votazioni relative al Qatar».
La relazione sulla Gualmini, aveva invece toni ben diversi: «Secondo la richiesta, nel corso di tale indagine sarebbe emerso che Elisabetta Gualmini potrebbe essere stata coinvolta in atti di corruzione, in quanto avrebbe accettato che la presunta organizzazione criminale esercitasse la propria influenza per ottenere la carica di vicepresidente del suo gruppo politico nell’ottobre 2022 e, in cambio, avrebbe esercitato l’influenza derivante da tale carica all’interno del suo gruppo politico per assecondare gli interessi della presunta organizzazione criminale». Ma, si legge, «il processo di nomina di un vicepresidente del gruppo politico in questione si basa, di fatto, su una procedura dettagliata e consolidata che si conclude con una decisione adottata dalla plenaria del gruppo in modo aperto e trasparente». Inoltre, «il presunto leader dell’asserita organizzazione criminale non ricopriva alcuna carica in seno al Parlamento a partire dal 1º luglio 2019 e, inoltre, apparteneva a un partito politico nazionale diverso da quello di Elisabetta Gualmini, ma, secondo quanto insinuato nella richiesta senza alcuna spiegazione ulteriore, avrebbe esercitato un’ampia influenza sull’intero processo di nomina di un vicepresidente di tale gruppo politico».
Se il difensore della Gualmini, il professor Vittorio Manes, ha espresso «forti perplessità su un procedimento penale che mai avrebbe dovuto nascere, su basi così inconsistenti ed evanescenti», la Moretti ha reagito alla decisione della plenaria facendone una questione politica : «Sono amareggiata, come ho già avuto modo di dire, perché gli elementi su cui era basata la richiesta erano stati da me già smentiti su base documentale e continuo a sostenere che il voto non abbia guardato tanto agli effettivi contenuti della richiesta, ma sia stato condizionato da strategie e convenienze politico-elettorali». Parole che, alla luce dei numeri emersi dalla votazione di ieri, sembrano molto una stoccata agli alleati del M5s. Ma il caso delle due europarlamentari del Pd segna anche una spaccatura nella sinistra europea. La co-presidente del gruppo The Left al Parlamento europeo, Manon Aubry, in conferenza stampa alla plenaria di Strasburgo, rispondendo a una domanda sulla possibile revoca dell’immunità parlamentare alle due colleghe italiane ha dichiarato: «Se i deputati al Parlamento europeo non sono colpevoli, allora lasciamo che la giustizia faccia il suo lavoro. Non saranno dimostrati colpevoli con un sistema giudiziario adeguato». Aggiungendo poi una stoccata che richiama il caso dell’immunità garantita a Ilaria Salis: «Non credo che si possa paragonare il sistema giudiziario belga a quello ungherese, per esempio. Per quanto ne so, non ci sono state questioni di Stato di diritto per quanto riguarda il Belgio». La Aubry ha anche polemizzato con i colleghi, chiedendo riforme «etiche»: «Quello che vedo è che gli eurodeputati cercano di proteggersi a vicenda, ma non sono disposti a fare le riforme necessarie, a partire da un organismo etico indipendente che chiediamo da anni, e da un vero e proprio divieto di viaggi pagati da qualsiasi tipo di entità, che il nostro gruppo ha di norma».
La Corte dei Conti sta ancora indagando sulla gestione dell’emergenza Covid. Compresi gli acquisti e gli sdoganamenti delle mascherine. A rivelarlo nero su bianco un documento che il presiedente della Corte, Guido Carlino, ha depositato (e letto) ieri in occasione della sua audizione in Commissione Covid. «Nei limitati ambiti entro i quali il presidio della Corte dei Conti è stato sostanzialmente circoscritto», si legge nel documento, «ovvero al solo controllo successivo al termine della gestione commissariale, è stata programmata una indagine dalla competente Sezione centrale di controllo, con deliberazione n. 60/2024/G, avente ad oggetto la gestione delle risorse finanziarie assegnate al commissario, nonché i risultati conseguiti per effetto delle attività svolte fino al termine dello stato d’emergenza e che risulta tuttora in corso».
È mancato quindi, grazie al «salvacondotto» approvato dal governo Conte nel 2020, quel controllo preventivo che ha portato i magistrati contabili a bocciare il progetto per la realizzazione del Ponte di Messina. Un paradosso in parte comprensibile, visto che l’emergenza per definizione richiede una certa flessibilità, ma che da quello che è emerso nel corso dell’audizione non viene applicata ad altre strutture commissariali che gestiscono emergenze. Come quella che gestisce la ricostruzione post terremoto del Centro Italia e quella che ha in carico le alluvioni dell’Emilia-Romagna.
In particolare, si legge ancora nel documento, «il perimetro stesso del controllo è stato delimitato attraverso la sottrazione al sindacato preventivo dei contratti relativi all’acquisto di dispositivi e, più in generale, di ogni altro atto negoziale posto in essere dal dipartimento della Protezione civile della presidenza del consiglio dei ministri e dai soggetti attuatori, in quanto conseguente all’urgente necessità di far fronte all’emergenza. A ciò si è accompagnata la limitazione della responsabilità amministrativo-contabile per tali atti “ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione”». «Ne è derivata», è la lapidaria conclusione, «una significativa compressione delle funzioni di controllo e di quelle giurisdizionali che ha coinvolto anche l’attività del commissario straordinario».
Sta di fatto che gli approfondimenti svolti dai magistrati contabili sembrano essere importanti: «Ad oggi, particolarmente intensa è stata l’istruttoria svolta nei confronti della presidenza del consiglio dei ministri, del dipartimento della Protezione civile, del ministero della Salute, del ministero dell’Economia e delle finanze nonché dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, con riferimento ai flussi finanziari, ai costi della struttura commissariale, alle procedure negoziali, alle eventuali criticità gestionali rilevate e alle conseguenti azioni correttive, agli eventuali contenziosi, nonché alle attività di monitoraggio poste in essere, anche a seguito della chiusura dello stato di emergenza.
Oggetto di approfondimento è stato altresì lo sdoganamento dei dispositivi di protezione individuale e dei beni mobili di qualsiasi genere occorrenti per fronteggiare l’emergenza pandemica». I risultati delle attività in corso però sono ancora top secret: «Della conclusione dell’indagine si darà atto al momento della sua approvazione e pubblicazione».
Per Carlino l’argomento delle emergenze è delicato: «Non può tuttavia non richiamarsi sin d’ora la rilevanza di una particolare attenzione alle modalità di gestione attraverso strutture commissariali, alla luce di quanto è stato osservato dalla Corte dei Conti rispetto a fattispecie analoghe. È evidente che situazioni emergenziali impongono risposte rapide, capaci di superare l’ordinario assetto delle competenze e le regole che governano il normale svolgimento dell’azione amministrativa».
Una riflessione che ha portato la capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Covid, Alice Buonguerrieri a chiedere a Carlino: «Esistono delle limitazioni ad oggi di controlli preventivi concomitanti pari a quelle che abbiamo letto nel Cura Italia per la struttura commissariale, anche su altre strutture emergenziali?». La risposta del magistrato contabile è netta: «Per quanto riguarda i controlli concomitanti, non abbiamo avuto altre limitazioni nelle attività di controllo. L’unica limitazione avuta è quella che riguarda i controlli sulle gestioni del Pnrr e del piano nazionale complementare».
Più diplomatica, ma altrettanto chiara, la risposta alla domanda della parlamentare di Fdi che chiedeva se quello messo in piedi da Giuseppe Conte fosse un modello da replicare. «Io ritengo», spiega Carlino, «che l’obiettivo non solo della Corte dei Conti ma del legislatore debba essere quello di garantire il buon andamento dell’azione amministrativa allora il buon andamento dell’azione amministrativa va garantito attraverso l’introduzione, attraverso il mantenimento di controlli seri, efficaci, esterni quali sono i controlli svolti dalla Corte dei Conti, siano essi controlli preventivi di legittimità, ovvero i controlli successivi».
Ma non basta. Nel documento c’è anche una frase che mette in discussione il modello sanitario sviluppato nel corso degli anni dai governi precedenti, in larga misura a trazione progressista, con un esplicito riferimento ai tagli, più volte minimizzati dagli esponenti del centrosinistra: «Dagli esami svolti dalla Corte è emerso come il biennio dell’emergenza pandemica abbia evidenziato criticità strutturali, quali le carenze nella rete dei servizi territoriali e il sottodimensionamento delle risorse umane, particolarmente incise dalle misure di contenimento della spesa operate nel decennio precedente».
L’audizione della toga ha portato a una dura presa di posizione di Fratelli d’Italia. «Il presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino, ha confermato in commissione Covid che, durante la prima fase della pandemia, si è consumato un fatto gravissimo: soltanto la struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri ha goduto, grazie alle norme del governo Conte, di un annullamento dei controlli da parte della Corte dei Conti. Nessun controllo, né preventivo né concomitante». A dirlo sono i capigruppo FdI a Camera e Senato, Galeazzo Bignami e Lucio Malan. «Questo fatto», prosegue la nota, «è stato aggravato da uno scudo penale, previsto dallo stesso esecutivo, che ha determinato una vera e propria immunità totale, poiché danni erariali ingenti venivano archiviati restando dunque impuniti». «Tutte le spese», concludono i due esponenti di Fdi, «erano giustamente attenzionate, tranne quelle di Arcuri e della sua struttura. I risultati di questo trattamento di favore, li abbiamo visiti: sperperi, mascherine inidonee cinesi e mediatori occulti amici».





