Marco Scatarzi e Lorenzo Cafarchio raccontano boicottaggi, accuse grottesche e tentativi di censura tra fiere del libro e festival. Perché il pluralismo diventa un problema solo quando non è di sinistra?
Nuovo giorno, nuovo psicodramma. Poiché il tentativo degli antifascisti (in mancanza) di professione di cacciare l’editore Passaggio al bosco dalla fiera libraria romana Più libri più liberi è stato respinto con pernacchie, ecco subito un altro caso di fascismo incipiente su cui i nostri eroi si stanno buttando a pesce. A Macerata nel fine settimana si tiene la rassegna «Letture maceratesi», che ha la gravissima colpa di ospitare anche autori avvicinabili alla destra (fra cui il nostro Fabio Dragoni). Subito si è innescata la macchina dell’idiozia, con richiesta da parte della sinistra locale, Avs in testa, di cancellare la kermesse. Si è mobilitato il sito Fanpage, che ieri ha scomodato addirittura lo storico dell’arte Tomaso Montanari. Il quale, soltanto osservando il manifesto della rassegna (troppo futurista, pare) è giunto a fenomenali conclusioni. E cioè che «esiste una continuità dimostrabile tra l’ideologia della destra politica italiana di oggi e quella del fascismo storico del Ventennio. Quando dico continuità», spiega Montanari, «non mi riferisco alla nostalgia di parate militari o rituali littori. I leader politici che oggi si definiscono non nostalgici - a partire da Giorgia Meloni - appartengono a generazioni che non hanno vissuto il fascismo e dunque non possono ricordarlo sentimentalmente. Tuttavia, la continuità è ideologica: le idee su nazione, identità, religione, rapporto tra i sessi, uso della forza, guerra, sono sostanzialmente le stesse». Insomma, la destra di oggi è fascista, e lo si deduce da una locandina.
Casomai non bastasse quest’ultima perla a rinfrescare l’allarme per la dittatura di ritorno, giungono in soccorso altri fieri difensori della libertà, a partire dal fascistologo Paolo Berizzi, il quale ha pubblicato una foto di Domenico Furgiuele, deputato leghista, sul balcone della sede del partito a Lamezia Terme. Alle spalle del politico, su una finestra, una scritta temibile: XMas, con tanto di effetto neve. Ovviamente si tratta di una scritta natalizia (Xmas sta per Christmas), ma è persino probabile che Furgiuele abbia giocato con il riferimento alla Decima Mas. In ogni caso, la vicenda è pagliaccesca eppure riesce ad alimentare polemiche.
Altro mezzo delirio a Chiavari, in Liguria, dopo che un gruppo di balordi ha assaltato la sede del Pd locale danneggiandola. Qualcuno li ha sentiti urlare «Duce, Duce», e immediatamente i giornali hanno titolato sull’assalto squadrista. Solo che poi i presunti colpevoli hanno inviato una lettera (firmata «i ragazzi del misfatto») al Secolo XIX confessando di non avere avuto in mente particolari iniziative politiche: erano ubriachi e hanno fatto un gesto idiota. In Liguria siamo per altro al terzo fuoco (nero) di paglia. Prima il sindacalista della Cgil che ha denunciato di essere stato picchiato dai fascisti, salvo poi ammettere di essersi inventato tutto. Poi la scuola assaltata da squadristi che si sono rivelati essere maranza. Adesso gli ubriachi molesti presi per una squadra di manganellatori. Sembra di capire che la situazione sia un po’ sfuggita di mano e che la paranoia abbia preso il sopravvento, tra ignobili tentativi di censura e allarmi farlocchi.
Ancora più surreale quanto accaduto a Bologna il 30 novembre, storia allucinante raccontata da Errico Novi sul Dubbio. Dal convegno «Il diritto alla verità» organizzato dal Movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino è stata cacciata una avvocata di ottimo livello, Ambra Giovene. Motivo? Ha difeso Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, ex Nar. A spiegare l’accaduto è stato l’avvocato Fabio Repici, coordinatore del convegno: «Accanto a me, come vedete, c’è una sedia vuota», ha detto iniziando i lavori. «Avrebbe dovuto occuparla, come relatrice, l’avvocata Ambra Giovene, professionista di altissimo livello. Ci saremmo arricchiti, nel confronto delle idee, anche del suo intervento. Ma persone che consideriamo fratelli, l’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, ci hanno detto che la presenza dell’avvocata Giovene non era gradita, perché la collega ha difeso, tra centinaia se non migliaia di persone, anche due condannati al processo per la strage del 2 agosto 1980. Io e Salvatore Borsellino abbiamo scelto di aderire alla richiesta pur consapevoli che si tratta di un errore». Capito? Poiché la Giovene ha difeso due fascisti (per altro molto particolari), non deve potersi esprimere a una tavola rotonda.
Quest’ultima vicenda è particolarmente emblematica, e dovrebbe suggerire a tutti di abbassare i toni e di smetterla con le allucinazioni sul fascismo. Il convegno in questione si è svolto a Bologna in un auditorium intitolato a Marco Biagi, ucciso dalle Brigate Rosse. Le stesse Brigate rosse a cui hanno ripetutamente inneggiato i componenti di un gruppo trap/rap chiamato La Gang-P38, finito per questo sotto processo a Torino.
Il primo maggio del 2022 il gruppo si esibì al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia, e un verso di un loro brano suscitò particolare indignazione fra le vittime del terrorismo. Si trattava di un alcune frasi infelici su Aldo Moro: «Presidente mi sembra stanco, la metto dentro una Renault 4». Marco Vicini, allora presidente del Circolo, fu indagato per istigazione al terrorismo, la band anche per diffamazione e vilipendio delle istituzioni. Ebbene, ora la gip del tribunale di Torino, accogliendo la richiesta del pm, ha disposto l’archiviazione per Vicini e per tutto il gruppo. Ed è una buona notizia, in realtà. Non solo per la band (che nel frattempo si era sciolta e ora organizzerà ha in programma una reunion all’Alcatraz di Milano) ma per tutti noi.
Il tribunale stabilisce che «le condotte contestate costituirebbero soltanto un’operazione artistico musicale provocatoria che affonda le sue radici nel genere rap/trap e che costituisce la sua voluta novità nel proporre come modello antisociale il terrorista degli anni ‘70». Significa che, contestabile o meno, quella era una operazione artistico/culturale. E se in Italia è possibile inneggiare alle Br senza essere accusati di apologia del terrorismo o altro, allora deve essere possibile anche pubblicare i libri di Leon Degrelle, parlare ai convegni e nelle università e svolgere ogni tipo di manifestazione. Se cantare brani sulla lotta armata è una operazione culturale (e lo è), allora basta con tutte le stupidaggini sui discorsi di odio e sull’incitamento alla violenza. Chiunque deve essere libero di esprimersi, con buona pace dei censori antifa in servizio permanente. La libertà di pensiero e di espressione è sacra, e vale anche per chi dice idiozie. Se così non fosse, un sacco di gente sarebbe in carcere, a partire da coloro che chiedono censure e mordacchie.
Il giudice Brian Cregan ha deciso che Enoch Burke resterà in carcere fino a quando non avrà fatto ammenda, non si sarà mostrato pentito di avere offeso la Corte e non la smetterà di presentarsi nella sua ex scuola, l’istituto che lo ha cacciato ormai nel 2022. Burke è ancora in carcere e potrebbe dunque restarvi fino a Natale. Si trova nella prigione irlandese di Mountjoy, popolata per lo più da stupratori e persino da un killer, passa il tempo a leggere la Bibbia e partecipa in collegamento alle udienze che lo riguardano. Alle stesse udienze non possono invece partecipare i suoi famigliari, che martedì sono stati allontanati dall’aula dallo stesso Cregan. Martedì il tribunale ha discusso l’ennesimo ricorso di Burke, rispedendolo al mittente. E il giudice Cregan non ha usato parole dolci, anzi. A suo dire, Burke «non è in carcere per le sue opinioni sul transgenderismo, che ha pienamente diritto di avere». È detenuto, aggiunge Cregan, per aver offeso l’Alta Corte e per essere entrato più volte nella sua ex scuola.
«Non si limita a violare i locali», ha detto Cregan, «ma entra direttamente nel cuore della scuola, aggirandosi per i corridoi anche quando non ne ha il diritto. È una presenza maligna e minacciosa, un intruso che perseguita la scuola, i suoi insegnanti e i suoi alunni. Ma questa è una strategia deliberata: una strategia di confronto. Confrontarsi con il preside, confrontarsi con il vescovo, confrontarsi con la scuola, confrontarsi con le guardie di sicurezza; confrontarsi con i tribunali». Secondo il giudice, l’insegnante irlandese è in cerca di celebrità, ha addirittura qualcosa da nascondere sulle sue entrate, mente ed è pericoloso.
Probabilmente una affermazione è vera: quella di Enoch Burke è una strategia deliberata, utile a far discutere del suo caso. Una vicenda che ha dell’incredibile e avviene in Europa nel silenzio pressoché totale dei nostri media. Burke è stato sospeso dalla Wilson’s Hospital School nell’Irlanda centrale nell’agosto 2022 perché si è rifiutato di usare i pronomi richiesti da uno studente transgender. L’insegnante ha rifiutato di scusarsi, così la scuola lo ha licenziato e ha ottenuto un’ingiunzione del tribunale che gli impediva di entrare nell’edificio. Che si possa perdere il posto di lavoro perché ci si rifiuta di usare un pronome è decisamente assurdo, oltre che lievemente autoritario. Ma in Europa cose del genere non suscitano scandalo.
Ci si preoccupa e ci si indigna molto, anche in Italia, per la sorte di Géza Buzás-Hábel, attivista omosessuale rom fra gli organizzatori del gay pride svoltosi il 4 ottobre a Pecs, in Ungheria. Géza ha deliberatamente violato la legge ungherese che proibisce le parate dell’orgoglio, e per questo motivo rischia un anno di carcere. Ed è comprensibile che si ritenga ingiusto che qualcuno, nel Vecchio continente, possa rischiare il carcere per avere messo in piedi una manifestazione. Purtroppo la stessa enfasi non è posta sul caso di Burke. Anzi, nei suoi riguardi si scrive di tutto allo scopo di denigrarlo, di farlo passare come un pazzo che si ostina a violare la legge. E non ci si scandalizza se lo portano in tribunale con una catena che pare un guinzaglio, né per questo lo si candida alle elezioni.
A dirla tutta, le cose stanno in po’ diversamente da come vengono di solito raccontate. È vero, nonostante il divieto l’insegnante irlandese ha continuato a presentarsi nella sua ex scuola. Per questo motivo è stato incarcerato per la prima volta per oltraggio alla corte nel settembre 2022, dato che aveva ignorato l’ordinanza del tribunale. Altre tre incarcerazioni sono seguite, l’ultima di recente. Dal 2024, poi, Enoch viene condannato a pagare 700 euro ogni volta che si presenta a scuola. Ad ora deve allo Stato irlandese circa 225.000 euro.
La sua, con tutta evidenza, è una protesta politica e umanitaria. Una incredibile e caparbia dimostrazione di tenacia nella lotta contro il politicamente corretto fattosi regime che lo ha costretto a perdere il lavoro, lo stipendio e i diritti. Presentandosi davanti alla Wilson’s School lo scorso agosto, Burke ha dichiarato: «Ecco dove dovrei essere oggi. Non solo devo stare in corridoio e non posso insegnare e fare il mio dovere, ma mi stanno anche togliendo lo stipendio. Vengo ancora pagato, ho qui in tasca la mia busta paga, sono ancora in busta paga. Questo è il mio stipendio, questo è ciò a cui ho diritto, ogni centesimo viene dirottato dal mio conto a causa del Procuratore generale di questo governo».
In realtà, a differenza di ciò che afferma il giudice che continua a rimandarlo in prigione, Burke è punito per le sue idee. Se viola le ordinanze del tribunale è per disobbedienza civile nei riguardi di chi lo ha messo alla gogna proprio in virtù delle sue posizioni sul tema trans. Se Burke manifestasse per una causa diversa magari opposta, sarebbe trattato da eroe. Ma è soltanto un cristiano un po’ conservatore, e sappiamo come vanno queste cose. Come del resto accade anche in Italia, la libertà di pensiero vale soltanto per i pochi eletti, per i presunti buoni, non per gli altri. Burke resta in carcere, l’Europa liberale per lui non ha tempo: deve occuparsi di altri attivisti.





