E anche la maschera dell’europeismo cade miseramente. Per anni ci è stato ripetuto incessantemente che non esiste vita fuori dall’Ue, dai tempi di papa Francesco i media e i commentatori cattolici non hanno perso occasione per maledire sovranisti, nazionalisti e chiunque rivendicasse maggiore autonomia nazionale, il tutto in nome del supremo valore dell’unità europea. Ma non appena a Bruxelles si prende mezza decisione in lieve contrasto con il pensiero prevalente, ecco che il castello retorico crolla miseramente.
Il fatto è che i ministri europei hanno dato il via a un percorso che, una volta tanto, potrebbe portare qualche risultato positivo. Il commissario europeo alle Migrazioni, l’austriaco Magnus Brunner (Ppe) ha parlato di una «svolta della nostra politica migratoria e di asilo», e ha qualche ragione. Le regole europee sugli ingressi sono in via di cambiamento, si annuncia una stretta, si apre alla possibilità di creare hub per migranti nei Paesi terzi previa stipula di accordi ad hoc, si pensa di potenziare e velocizzare i rimpatri, verranno previste misure speciali per vietare l’ingresso ai migranti considerati un rischio per la sicurezza. È persino stato stilato un elenco di Paesi sicuri (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldavia, Montenegro, Serbia, Turchia, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia), in modo da accelerare le procedure per l’esame delle domande di accoglienza degli stranieri provenienti da questi luoghi, possibilmente aumentando il numero di rifiuti.
Certo, sono tutti primi passi, ma intanto per la prima volta si disegna uno scenario che non preveda soltanto accoglienza indiscriminata. Per una volta, l’Europa ci chiede di stringere le maglie, non di allentarle. Ed ecco, infatti, pronti via, la reazione indignata di quanti fino a ieri facevano professione di europeismo e ora si scoprono scettici rispetto alla linea di Bruxelles. Avvenire, in prima pagina, pubblica un editoriale di Maurizio Ambrosini per spiegare che la vera forza dell’Europa è l’inclusione. Che dice lo studioso? Che «l’Europa ha un serio problema: manca di manodopera». Secondo Ambrosini, «milioni di cittadini europei e statunitensi appaiono in maggioranza contrari all’immigrazione e tendono a votare per i partiti che promettono di respingerla, ma affidano anziani a bambini a lavoratrici straniere, si fanno portare i pasti a casa dai rider, ricorrono a muratori e decoratori immigrati per le ristrutturazioni, mangiano frutta e bevono vino prodotto con il lavoro di quelli che dovrebbero tornare o starsene a casa loro. Si potrebbe continuare a lungo, provando a immaginare come potrebbe funzionare la vita quotidiana senza questi apporti: in Italia, 2,5 milioni di occupati regolari, oltre il 10% del totale». Davvero una strepitosa argomentazione: l’Europa deve accogliere perché ha bisogno di braccia. Molto cristiana, come idea.
Ad Avvenire sembrano un po’ confusi. A tratti parlano come Ilaria Salis (che ha annunciato una mobilitazione del suo gruppo europeo contro le nuove norme migratorie), in altri frangenti, invece, si esprimono come i colossi confindustriali bisognosi di forza lavoro a basso prezzo. Ma poco cambia, in fondo, il punto è che bisogna tifare accoglienza, soprattutto ora che l’Ue sembra mostrare tiepidi segni di cambiamento.
A dare manforte su questa linea compensa la fondazione Migrantes, altra emanazione vescovile. Il nuovo rapporto sui rifugiati, presentato ieri, prende di petto il cosiddetto «modello Albania». Un attacco che capita a fagiolo, visto che proprio ora si inizia a parlare di hub nei Paesi terzi. Il modello albanese, dice Migrantes «si configura come il paradigma delle nuove strategie di controllo migratorio esternalizzato adottate in Europa».
L’agenzia Agi ben sintetizza i contenuti del rapporto. Secondo Migrantes, il modello albanese «prevede la detenzione amministrativa e la gestione dei flussi migratori al di fuori dei confini nazionali italiani. Fin dalle sue fasi iniziali, l’opacità sistemica, alimentata dall’esclusione di media e società civile, hanno reso il trasferimento in Albania (anche se di pochissime persone) uno strumento di governance del fenomeno migratorio. Nonostante si dimostri inefficace in termini di rimpatri effettivi, il modello venne percepito come politicamente vincente e disciplinarmente efficace ed evidenzia il chiaro orientamento della politica migratoria europea verso la gestione extraterritoriale dei confini. Il progetto diventa un cruciale banco di prova per la tenuta dei principi democratici e giuridici dell’Unione europea».
Messaggio chiarissimo: i prelati dicono no alle strette, no alle esternalizzazioni, no alla difesa dei confini. Sono europeisti, come no. Ma a patto che l’Ue resti progressista. Se dice no ai migranti, si scomunica pure Bruxelles.
Dopo giorni di polemiche, attacchi, insulti e qualche aggressione verbale (ma anche tanti libri venduti, enorme pubblicità e non poche soddisfazioni), Passaggio al bosco - che per tutta la durata della tempesta ha mantenuto un silenzio pressoché totale - si concede giusto qualche punzecchiatura e si leva un paio di sassolini delle scarpe, con eleganza. «Abbiamo assistito», dice la casa editrice in una nota, «allo psicodramma collettivo di una sinistra in fase terminale: proposte di censura in nome della libertà, diserzioni fisiche con gli stand aperti e stucchevoli proteste cadute nel vuoto. Hanno fatto tutto da soli: si sono indignati, poi organizzati e infine divisi. Il risultato è lampante: il cortocircuito di un’egemonia culturale che si è ridotta al solo business, che si definisce per antitesi, che innalza recinti morali, che elargisce scomuniche preventive e che pretende di stabilire arbitrariamente che cosa sia lecito scrivere, leggere e persino pensare».
Marco Scatarzi, dal 2017 direttore di Passaggio al bosco, è stanco ma tranquillo, di sicuro soddisfatto nonostante i momenti di tensione. Con La Verità ripercorre i passaggi che hanno portato il suo marchio ad avere uno stand alla fiera romana «Più libri più liberi». «Da anni facevamo domanda di partecipazione con la regolare modulistica e per anni siamo stati sempre avvisati che gli spazi non erano disponibili», spiega. «Anche quest’anno in realtà avevamo ricevuto l’email che appunto ci avvisava della mancanza di spazi disponibili, poi però siamo stati ripescati a settembre e ci è stato concesso uno stand».
Come mai?
«Perché lo scorso anno, in polemica con l’organizzazione, molte case editrici di sinistra avevano disdetto la prenotazione e quindi hanno liberato spazi».
Dunque esiste una polemica interna fra la direzione della fiera e le case editrici?
«Mi sembra di aver colto questa polemica che si protrae da anni, per le più svariate motivazioni che ogni anno cambiano. Quest’anno è stata Passaggio al bosco l’oggetto del contendere, ma una dialettica accesa esiste da tempo».
Che cosa vi è stato richiesto per partecipare?
«C’è un regolamento da sottoscrivere con varie clausole, che per altro molti hanno citato nei giorni scorsi. Si chiede il rispetto della Costituzione, dei diritti umani... E poi ovviamente c’è la quota di pagamento che attesta appunto l’affitto dello spazio».
Fate richiesta da anni. Nessuno vi aveva mai detto nulla?
«No, assolutamente no».
Poi è arrivato l’appello, la richiesta di cacciarvi da parte di un centinaio tra autori e case editrici. Come ne siete venuti a conoscenza?
«Lo abbiamo appreso dai social network dopo che l’onorevole Fiano, con un post, ha chiesto il nostro allontanamento dalla fiera. Quel post ha generato nei giorni seguenti l’appello di Zerocalcare e degli altri intellettuali, se così possiamo definirli, che appunto chiedevano di mandarci via».
Vi hanno accusato di essere fascisti e neonazisti. Cosa rispondete?
«Che abbiamo un catalogo vastissimo, con parecchie di collane, 300 titoli e un pluriverso di autori che spaziano geograficamente in tutto il mondo e in tutte le anime della cosiddetta “destra”. Abbiamo un orientamento identitario e cerchiamo di rappresentare le varie anime del pensiero della destra, dando corpo ad un approfondimento che abbraccia storia, filosofia, società, geopolitica, sport, viaggi e molto altro. Ovviamente, come da prassi, il tutto viene sistematicamente strumentalizzato attraverso i soliti spauracchi caricaturali: ciò che disturba, senza dubbio, è la diffusione di un pensiero non allineato, soprattutto sui temi di stretta attualità. Le voci libere dal coro unanime del progressismo, si sa, sono sempre oggetto di demonizzazione».
Vi hanno rimproverato di aver pubblicato Léon Degrelle.
«Rispondo citando ciò che Roberto Saviano ha detto a Più libri più liberi, quando ha risposto alle polemiche alzate dai firmatari della petizione: tutti i libri hanno il diritto di essere letti e di esistere. Non abbiamo bisogno di badanti ideologiche… Ebbene, noi cerchiamo di offrire uno sguardo diverso, un punto di vista anche radicale, perché riteniamo che sia importante conoscere tutto. E non ci sentiamo di dover prendere lezioni di morale da chi magari nei propri cataloghi - del tutto legittimamente, perché io per primo li leggo - ha libri altrettanto radicali, benché di orientamento opposto a quello che viene rimproverato a noi».
Come è stata la permanenza alla fiera?
«Ci sono state molte contestazioni, diverse aggressioni verbali, cortei improvvisati, cori con “Bella ciao” e tentativi di boicottaggio che hanno cercato di minare la nostra partecipazione. Non ce ne lamentiamo: abbiamo risposto con la forza tranquilla del nostro sorriso, svolgendo il nostro lavoro».
E i vertici della fiera? È venuto qualcuno a parlare con voi?
«Sì, naturalmente. Hanno apprezzato il nostro profilo asciutto e professionale. Qualcuno ha scambiato la fiera per un centro sociale, ma non ci siamo mai fatti intimorire o provocare. Abbiamo evitato in ogni modo possibile di alimentare la polemica e non ci siamo prestati alla ribalta mediatica provocazioni anzi le abbiamo anche accolte col sorriso e non abbiamo neanche cercato la ribalta mediatica: il nostro - appunto - è un lavoro editoriale di approfondimento. Può non piacere, ma ha diritto di esprimersi».
Zerocalcare dice che avete organizzato un’operazione politica, che siete organici al partito di governo.
«Ovviamente non esiste alcuna operazione politica: esiste soltanto una casa editrice che partecipa ad una fiera dedicata ai libri. L’operazione politica - semmai - è quella della sinistra radicale che si organizza per montare una polemica, cercando di censurare chi la pensa diversamente. Hanno montato una polemica politica stucchevole, che molti hanno condannato anche da sinistra. Peraltro, sottolineo ancora una volta che Passaggio al bosco contiene in sé un pluriverso enorme di autori, di esperienze, di persone e di realtà: alcune sono impegnate politicamente, molte altre no. Di certo, non può essere ritenuta organica ad alcunché, se non alla propria attività di divulgazione culturale. Ma poi, con quale coraggio una sinistra radicale che fa sistema da anni, spesso con la logica della “cupola”, si permette di avanzare simili obiezioni?»
Chiederete di partecipare a Più libri più liberi anche l’anno prossimo?
«Certamente. Chiederemo di partecipare - come quest’anno - ad un festival che ospita gli editori. Saremo felici di esserci con i nostri testi, con i nostri autori e con la nostra attività. Sicuramente, anche al di là delle contestazioni, quella appena conclusa è stata un’esperienza importante, in una fiera ben organizzata e molto bella. Avremmo piacere di ripeterla».
Avete venduto bene?
«Abbiamo venduto benissimo, terminando tutti i nostri libri. Per quattro volte siamo dovuti tornare a rifornirci in Toscana e il nostro è stato certamente uno degli stand più visitati della fiera. Il boicottaggio ha sortito l’effetto contrario: ci hanno contattato già centinaia di autori, di distributori, di traduttori, di agenti pubblicitari e di addetti ai lavori. Ogni tipo di figura operante nel campo dell’editoria non solo ci ha mostrato solidarietà, ma è venuta da noi a conoscerci e a proporci nuove collaborazioni. Quindi, se prima eravamo una casa editrice emergente, adesso abbiamo accesso ad un pubblico più ampio e a canali che ci permetteranno di arrivare là dove non eravamo mai arrivati».
Torniamo sul Delitto di Garlasco e con il genetista Matteo Fabbri analizziamo la perizia Albani: sulle unghie di Chiara compare un DNA compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio, e non con quella di Stasi. Un dato che non chiude il caso, ma che impone finalmente un confronto serio, lontano da pettegolezzi e semplificazioni.





