2023-09-17
Dai soldi alle leggi: le incognite sui nuovi Cpr
Il piano del governo prevede la creazione di altri 10 Centri di permanenza per il rimpatrio, oltre ai 10 già esistenti, e l’estensione del tempo massimo di soggiorno. Il funzionamento di queste strutture, tuttavia, presenta dei problemi che vanno risolti.Il giro di vite promesso da Giorgia Meloni per fronteggiare l’immigrazione clandestina ha tra i suoi pilastri l’ampliamento dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e l’allungamento del tempo massimo di permanenza all’interno di queste strutture da 12 a 18 mesi. Chi finisce nei Cpr dopo essere sbarcato illegalmente in Italia? La norma è chiara: gli stranieri irregolarmente presenti sul territorio sono destinatari di provvedimenti di respingimento o espulsione immediatamente esecutivi, anche se sottoposti a gravame o impugnativa. Ai fini della loro esecuzione, il questore procede all’accompagnamento immediato dei migranti da allontanare alla frontiera a mezzo della forza pubblica, previa convalida giurisdizionale. Il questore può disporre il trattenimento in un centro di permanenza per i rimpatri in alcuni casi precisi: nelle more della convalida; ai fini della identificazione del migrante o del rilascio del lasciapassare da parte delle autorità diplomatiche del Paese di rimpatrio; per ogni altro caso che renda impossibile l’allontanamento immediato del migrante. Il trattenimento nei Cpr è soggetto a convalida dell’autorità giudiziaria, che però di consueto non si oppone alla decisione del questore. I ministeri competenti, Interni e Difesa, fanno sapere che si sta lavorando per trovare nuove strutture nelle quali organizzare almeno altri 10 Cpr, che si aggiungeranno ai 10 già esistenti. I 10 Cpr attualmente presenti in Italia si trovano a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino (al momento chiuso), Palazzo S. Gervasio (Pz), Trapani, Gradisca d’Isonzo (Go). Macomer (Nu) e Milano. La capienza varia da 50 a 200 posti circa, per un totale di poche migliaia di persone in tutto, circa 5.000. I tunisini sono la maggioranza degli immigrati irregolari presenti nei Cpr, seguiti da marocchini e algerini. I rimpatri effettuati nel 2023, al 13 settembre, sono stati 3.193, rispetto ai 2.663 di tutto il 2022. I dati degli ultimi anni raccontano che, in sostanza, sul totale degli immigrati transitati nei Cpr, la metà viene rimpatriata e l’altra metà torna libera di circolare alla fine del periodo massimo di detenzione. Già, detenzione: per essere molto chiari, i Cpr sono una sorta di penitenziari per immigrati in attesa di giudizio. Il potenziamento annunciato dalla Meloni pone una serie di perplessità in termini di efficacia operativa. Il primo: la premier ha citato la Difesa, quindi è assai probabile che per individuare le strutture da trasformare in Cpr si tenterà di ricorrere anche alle ormai famigerate caserme dismesse delle forze armate, chiamate in causa ogni volta che c’è bisogno di edifici da riconvertire per destinarle a qualche utilizzo. Di caserme dismesse ce ne sono tantissime in Italia, ma occorrerebbe ristrutturarle, installare cucine e bagni, insomma renderle di nuovo funzionanti. Si può fare? Certo: è solo e soltanto una questione di soldi. La legge di Bilancio 2022 ha aumentato lo stanziamento per i Cpr da 27 a 32 milioni di euro, quella 2023 da 32 a 46. La burocrazia non è un problema: il decreto Cutro ha snellito le procedure per realizzare nuovi Cpr, ma in ogni caso la dichiarazione di stato di emergenza consente allo Stato di agire in deroga alle leggi sugli appalti. Il dubbio riguarda il numero di immigrati che sarebbero ospitati nei nuovi Cpr, considerato che quelli esistenti riescono ad ospitarne in totale meno di quelli sbarcati in due giorni a Lampedusa. Altro problema: la Meloni ha detto che questi nuovi Cpr saranno realizzati «in località a bassissima densità abitativa». Il governo teme infatti l’effetto-boomerang: già immaginiamo i Comitati di Lotta contro il Cpr spuntare in poche ore dopo la notizia della realizzazione di una nuova struttura in una certa città, con manifestazioni al grido di «Portateli da un’altra parte!», telecamere, taccuini, scontri con la polizia e via protestando. La Meloni dunque sceglie di individuare le località dove realizzare i nuovi Cpr nei territori dei paesini meno popolati, il più possibile lontani dai centri abitati. Inoltre i Cpr sonno gestiti da privati, e molto spesso ispezioni di deputati o organizzazioni internazionali portano alla luce condizioni di vita dure, con annesse polemiche e denunce pubbliche. Inoltre: spesso l’immigrato che arriva nel Cpr sostiene di aver smarrito il documento di identità, e autodichiara generalità e nazione di provenienza. A quel punto, l’Italia chiede a questa nazione di riconoscerne la cittadinanza, ma le risposte o arrivano dopo molte settimane o non arrivano proprio, e quindi il rimpatrio non avviene. Non mancano i casi in cui le persone detenute nei Cpr pur di uscirne compiono atti di autolesionismo, fino al tentativo di suicidio, o danno vita a delle rivolte. Infine, c’è l’aspetto sociale: nei Cpr finiscono persone che non hanno commesso reati, che si trovano a contatto con criminali e delinquenti, e quando escono (se il rimpatrio non avviene) sono diventati tossicodipendenti o potenziali criminali a loro volta. In sostanza: il potenziamento dei Cpr è sicuramente un passo in avanti, ma su una strada lunga chilometri. Il rimpatrio dell’immigrato irregolare, infatti, ha come condizione la collaborazione del Paese di provenienza, e per ottenere questa collaborazione bisogna sborsare soldi, tanti soldi. Se non si riesce ad aumentare il numero di rimpatri, ogni nuovo Cpr altro non sarà che una prigione a tempo per immigrati, molti dei quali tra l’altro in Italia neanche ci vorrebbero restare.
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