Mentre gli europei si svenano pur di rinunciare al gas di Mosca, un’azienda francese si allea con una russa per fabbricare combustibile nucleare in Germania. Intanto il ministro Pistorius getta acqua sugli ardori bellicisti.
Prima ancora di parlare con Putin, Macron già ricomincia a fare affari con lui. La duplice intesa si va consumando sul terreno dell’energia nucleare: la francese Framatome e la controllata della russa Rosatom, Tvel fuel company, sono in lizza per fabbricare combustibile nucleare in uno stabilimento a Lingen, nella Bassa Sassonia. Sulla Verità, ne avevamo scritto già a marzo 2024. Ieri, Politico ha ricordato che le autorità tedesche dovranno decidere entro poche settimane sul destino della joint venture.
Framatome, sussidiaria dell’azienda di Stato transalpina Edf, utilizzerebbe componenti fornite da Tvel, che non sarebbe direttamente coinvolta nelle operazioni ma, appunto, consegnerebbe elementi essenziali alla produzione del combustibile. Il materiale fissile verrebbe impiegato da ben 19 reattori di era sovietica, sparsi in cinque Paesi membri dell’Ue in Europa orientale, oltre che da 15 reattori in Ucraina. Il tutto avviene proprio mentre Bruxelles, che ha rinnovato le sanzioni contro Mosca fino a luglio 2026, benché non abbia mai colpito il settore dell’atomo, si impegna a eliminare tutto il gas dello zar entro il 2027.
È proprio all’intento di rendere indipendente il Vecchio continente, che si stanno aggrappando i socialdemocratici tedeschi, alla guida del Länder interessato dal progetto, per frenare il sodalizio francorusso. «Un tempo, la Germania ha dato a Gazprom l’accesso a un’infrastruttura energetica critica nel sito di stoccaggio di Rehden», ha detto a Politico il ministro dell’Ambiente della Bassa Sassonia, Christian Meyer, dei Verdi. Berlino, in quel modo, «è diventata vulnerabile al ricatto, quando Putin ha chiuso il gasdotto durante la crisi» del 2021, allorché la società russa ridusse le forniture e il Cremlino spinse per la realizzazione del Nord Stream 2. Il timore è che, stavolta, Rosatom si impossessi di tecnologie sensibili e porti avanti attività di spionaggio. Framatome, invece, a Politico ha spiegato che solo con la collaborazione di Tvel si riuscirà ad arrivare a una «soluzione europea che sia al 100% sovrana». Utilizzare materiali russi per rendersi autonomi dal prodotto finito, che è sempre russo: per i francesi, non c’è alcun paradosso.
Lunedì, Gianluigi Paragone ha già illustrato, su queste colonne, la strategia di Emmanuel Macron, che dopo aver minacciato l’invio di truppe, ora vuol dialogare con Vladimir Putin. L’Ue, spiazzata, si è ritrovata pure costretta ad applaudire. Il punto è che in Europa continua ad arrivare petrolio russo attraverso le navi fantasma, ancorché bersagliate da Kiev; e a conflitto terminato, nel quadro dell’accordo sulle sfere di influenza tra Donald Trump e Vladimir Putin, congegnato dagli Usa anche per allentare i legami tra la Federazione e la Cina, potrebbero essere direttamente gli americani a rivenderci il greggio di Mosca, al triplo del prezzo di prima. Addirittura, ignorando i desiderata europei, la prima bozza di intesa con Washington prevedeva persino il ritorno del gas russo nel Vecchio continente.
L’inquilino dell’Eliseo - che ieri ha difeso la Groenlandia dalle mire della Casa Bianca - constata un dato di realtà. E con la spregiudicatezza che lo contraddistingue, prova a riprendere il filo del discorso con l’autocrate là dove si era interrotto: all’ultima visita al Cremlino, due settimane prima che cominciasse l’«operazione speciale», con i due presidenti seduti agli antipodi del tavolo lungo sei metri, realizzato da un’azienda di Cantù.
Che nell’intreccio sul nucleare sia coinvolta la Germania è un dato doppiamente interessante. Lo è perché il Paese è molto esposto sul fronte energetico, tanto che gli stoccaggi italiani hanno ormai superato quelli tedeschi: 77,3% di riempimento contro 61,1%, a fronte di un indice di riferimento Ue del 66,9%. E lo è perché la mossa del cavallo del leader più politicamente decotto d’Europa, attuata nel momento in cui i negoziati di Miami sono in stallo e il viceministro degli Esteri di Mosca ha rimandato a primavera il patto con gli Stati Uniti, scompagina il fronte dei volenterosi. All’indomani della frattura, in seno al Consiglio, sull’uso degli asset, favorita dalla rinnovata convergenza di Parigi con l’Italia di Giorgia Meloni.
Non è un mistero che Friederich Merz fosse, insieme a Ursula von der Leyen, il principale fautore della confisca dei fondi detenuti dalla belga Euroclear. E sulla stampa internazionale, dal Financial Times in giù, fioccano i retroscena sul fastidio del cancelliere per il «tradimento» di Macron, anche se, ufficialmente, Berlino si è trincerata dietro il no comment, come Roma e Londra. In Germania, poi, dev’esserci qualche amarezza per un’occasione sfumata: quella dei colloqui di pace nella capitale tra Usa, Unione europea, Nato, Ucraina e Russia, non più di dieci giorni fa.
Guarda caso, il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, in un’intervista a Die Zeit, ha rovesciato la retorica apocalittico-bellicista, tanto di moda nel continente. A novembre, sosteneva che quella del 2025 sarebbe stata, probabilmente, «l’ultima estate di pace». Oggi sembra aver cambiato idea. Al segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, il quale ha invitato i cittadini a prepararsi a un conflitto simile «a quelli di cui fecero esperienza i nostri nonni e i nostri bisnonni», Pistorius ha replicato: «Non credo in uno scenario del genere. A mio avviso, Putin non ha intenzione di iniziare una guerra mondiale contro la Nato». Eliminare il pathos, certo, non è abbastanza per rinunciare al riarmo. A parte quello, alla Germania rischia di rimanere poco altro.
Guai ad audire i danneggiati dai vaccini anti Covid, perché sono «no vax». È la stravagante logica che la sinistra ha illustrato ieri, durante la riunione dell’Ufficio di presidenza della commissione parlamentare sulla pandemia. «Esponenti del Pd e del M5s», riferiva una nota dei meloniani,«si sono opposti alla proposta di Fratelli d’Italia di audire associazioni di danneggiati da vaccino anti Covid. In uno slancio di surrealismo, sono arrivati a definire sdegnosamente queste persone “no vax”. Ma come? Cittadini che si sono fidati del governo di allora e sono andati a vaccinarsi vengono ora etichettati come contrari al vaccino?».
La teoria dei rappresentanti dem e pentastellati, in particolare la senatrice Ylenia Zambito (Pd) e il deputato Alfonso Colucci (Movimento 5 stelle), sarebbe questa: gli ammalati hanno maturato le loro convinzioni - antiscientifiche, laddove il punto di riferimento della scienza forse sono i tweet di Roberto Burioni - dopo essere stati colpiti dagli effetti avversi delle iniezioni. Significherebbe che alle opposizioni non manca solamente il senso della realtà: uno che va a vaccinarsi non può essere contrario ai vaccini. Alla sinistra sembrerebbe fare difetto anche l’umana comprensione per i sofferenti. Voi come reagireste? Se doveste rimanere invalidi a causa di un farmaco, pensereste di avere il diritto di essere almeno un po’ incazzati? E non vi incazzereste ancora di più se i vostri rappresentanti vi negassero l’ascolto? I danneggiati da vaccini Covid non saranno mica stati tutti sostenitori del centrodestra. Ma se anche i medicinali di Astrazeneca, Pfizer e Moderna avessero selezionato politicamente le loro vittime, gli onorevoli della Repubblica, ai sensi dell’articolo 67 della Costituzione, sarebbero lo stesso chiamati a rappresentare la nazione. Cioè, tutto il popolo e non solo gli elettori di riferimento.
«Nonostante l’ostruzionismo», hanno promesso gli esponenti del partito del premier, «andremo avanti per dare risposte ai cittadini che attendono comprensione, protezione e giustizia dallo Stato». Raggiunto dalla Verità, il senatore di Fdi, Marco Lisei, presidente della commissione sull’emergenza Covid, ha ricordato che «la verifica su effetti avversi e danni da vaccino contro Sars-Cov-2 rientra nella legge istitutiva» dell’organismo parlamentare. «Quindi, era doveroso aprire questa indagine. Inizieremo con un breve ciclo di audizioni di soggetti istituzionali e associazioni maggiormente rappresentative di danneggiati. È una premessa», ha precisato, «perché poi ci sarà sicuramente bisogno di approfondire ulteriormente il tema». È plausibile che, mentre Pd e 5 stelle spingeranno per invitare membri di Aifa, Inail o Ema, la cui litania dovrebbe ruotare attorno al ridimensionamento del fenomeno degli effetti collaterali e alla rapida evasione dei risarcimenti, il centrodestra chiami a testimoniare quanti hanno patito sulla propria pelle le conseguenze di un trattamento sanitario che, semmai, avrebbe dovuto salvarli. «Maggioranza e opposizione», ha continuato Lisei, «hanno manifestato sensibilità diverse. Era mio dovere raccoglierle entrambe. D’altronde, credo sia giusto anche dar voce alle associazioni di danneggiati, che sono appunto persone che hanno rispettato quanto imposto dallo Stato, ma che stanno soffrendo danni e meritano tutele adeguate».
È un aspetto che non bisogna dimenticare: è vero che chi si recò negli hub vaccinali lo fece fidandosi delle indicazioni del governo e degli esperti; ma è vero pure che, in una escalation giuridica e dialettica di repressione, l’esecutivo di Mario Draghi e Roberto Speranza introdusse la «spinta gentile» del green pass, della sospensione dal lavoro e dallo stipendio e delle multe per gli over 50 renitenti. Era il periodo in cui i politici, i Vip e i telepredicatori in camice bianco gareggiavano a chi sparava l’invettiva più feroce contro i non vaccinati, o semplicemente contro chi contestava la carta verde: «Sorci», «Si paghino le cure in terapia intensiva», «Si usi il metodo Bava Beccaris su chi manifesta». Se chi si è sottoposto alla puntura, per convinzione o per costrizione, poi ne è rimasto deturpato, è sacrosanto che una commissione d’inchiesta gli dedichi un minimo di attenzione.
Alla Verità ha espresso tutto il suo sdegno per l’atteggiamento della sinistra anche Dario Giacomini, di ContiamoCi!. L’associazione raduna tante vittime del vaccino anti Covid e «condanna quanto avvenuto in Ufficio di presidenza». Il gruppo, ha commentato il dottore, «difende realmente la Costituzione. A differenza di chi si proclama suo paladino, ContiamoCi! ha sempre lottato contro l’obbligo vaccinale e ha difeso i lavoratori e i cittadini colpiti, senza mai discriminare chi ha compiuto scelte diverse. Medici, operatori sanitari e cittadini», ha proseguito Giacomini, «convivono in ContiamoCi! senza distinzione di stato vaccinale, perché lo stato vaccinale non è un criterio di valore, né di esclusione. Questa è uguaglianza reale, non propaganda. Oggi, ancora una volta, ContiamoCi! si schiera a fianco di chi, dopo essersi fidato delle indicazioni dello Stato, viene ora insultato e delegittimato da chi vorrebbe cancellare errori e responsabilità politiche. Le vittime non si zittiscono con le etichette. E la Costituzione non si difende negando i diritti, ma garantendoli». Se i danneggiati da vaccino sono una minoranza, tanto meglio: a Pd e 5 stelle dovrebbero piacere ancora di più.
I droni russi che spiavano Leonardo nel Varesotto non erano russi. E non erano nemmeno droni. Lo ha chiarito l’inchiesta della Procura di Milano, che indagava da marzo sui presunti sorvoli registrati a Vergiate, sulla sede dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nei pressi della quale si trova la divisione elicotteri del colosso italiano della Difesa. Il Corriere della Sera, ieri, ha spiegato che l’allerta era scattata per una interferenza tra «il software lettone del sistema portatile di sicurezza cinese» e «la sporadica attività (nella villetta di una famigliola di Ispra) di un amplificatore di segnale Gsm comprato su Amazon dal papà perché in casa il cellulare non prendeva bene».
In un battibaleno, si è sgretolata l’inquietante spy story dalla Russia con amore: i tentativi di spionaggio erano, in realtà, un pasticciaccio elettronico. I pm hanno chiesto l’archiviazione. E il quotidiano di via Solferino ha relegato la notizia in un trafiletto. Al contrario, quando un apparecchio acquistato sul Web e un programma sino-lituano hanno generato una sfilza di falsi allarmi, i media, a titolo unificato, denunciavano l’ennesima incursione dei velivoli di Vladimir Putin.
Come lo scorso settembre a Copenaghen e Oslo, quando gli scali delle due capitali erano stati chiusi dopo l’avvistamento di «droni di grandi dimensioni». Passato qualche giorno, il ministro della Difesa danese è stato costretto a rettificare: nessuna prova che Mosca fosse coinvolta; gli apparecchi non erano arrivati «da una lunga distanza», anzi, erano stati lanciati «localmente». Il capo della diplomazia norvegese, intanto, escludeva «collegamenti» tra gli episodi capitati nei due Paesi scandinavi.
Non c’era la «mano russa» (per citare l’Ansa) nemmeno nell’incidente di tre mesi fa in Polonia, nella regione di Lublino. A sfondare il tetto di un’abitazione nel villaggio di Wyryki-Wola, per fortuna senza provocare vittime, era stato un aria-aria difettoso, scagliato da un F-16 decollato per abbattere i droni russi penetrati nello spazio aereo di Varsavia. Con ogni probabilità, erano stati dirottati dai meccanismi di difesa ucraini. «Tutto indica che si sia trattato di un missile partito da un nostro caccia», aveva dichiarato il coordinatore degli 007 polacchi, Tomasz Siemoniak. Il razzo farlocco costava 850.000 euro. Leggere i resoconti della stampa non ha prezzo. Il Sole24Ore, ad esempio, enfatizzava il monito di Sergio Mattarella: «Ci si muove su un crinale dal quale si può scivolare in un baratro di violenza incontrollato». Il capo dello Stato, evocando lo «scoppio della prima guerra mondiale, nel luglio 1914», parlava di un episodio «gravissimo». Ma sarebbe stato difficile invocare l’articolo 5 della Nato, sulla mutua assistenza bellica in caso di attacco, visto che l’attacco era un auto-attacco.
La Polonia era già stata teatro di un tragico equivoco. A novembre 2022, un ordigno, lì per lì identificato come russo, era caduto nel paesino di Przewodow, uccidendo due persone. «Mosca sotto accusa», segnalava Repubblica. Anche quella volta, però, la firma non era dello zar: «L’indagine condotta dalla Procura polacca», comunicò mesi dopo il ministro della Giustizia, «ha portato all’emissione di un parere che indica categoricamente che quel missile era ucraino». Ma «di produzione sovietica o russa», eh.
Per collegare il Cremlino all’esplosione del Nord Stream, a settembre 2022, era stata sufficiente la presenza, riportata ad esempio dal Messaggero, di «navi russe» nella zona dei gasdotti. I tedeschi, poi, avrebbero scoperto che in verità la «mano» era ucraina. Secondo lo Spiegel, uno dei presunti sabotatori, Serhij Kuznietzov, arrestato mentre si trovava a Rimini, al momento dell’attentato era in servizio in un’unità speciale dell’esercito di Kiev. Quasi quasi, toccava invocarlo davvero, l’articolo 5.
Pericolose interferenze, oltre che mettere in agitazione i siti di Leonardo in Lombardia, a inizio settembre hanno trasformato in un incubo un volo di Ursula von der Leyen, atterrato a Sofia con un’ora di ritardo. «Hacker manomettono il Gps dell’aereo», raccontava il Sole. I pirati informatici, naturalmente, battevano bandiera moscovita: «I russi mandano in tilt il Gps del volo di Von der Leyen», annunciava l’Ansa. Pure il Corriere riferiva, senza tema di smentita, di «interferenze dei russi». Peccato che le autorità bulgare avessero smentito: il jet, confermava in Parlamento il premier, non aveva subito «né interferenze né disturbi prolungati». Alla fine, la Commissione Ue stessa ha dovuto precisare di non aver «mai detto» che si fosse trattato di «un attacco rivolto «espressamente» contro la presidente. Autocrate che vai, trasporti che trovi: col Duce, i treni arrivavano in orario; con Putin, i voli atterrano in ritardo. O sconfinano in Estonia per 12 minuti, finendo intercettati dagli F-35 italiani; o si «avvicinano» alla Lettonia e vengono agganciati dai caccia ungheresi.
Adesso che la polizia tedesca ha censito oltre 1.000 incursioni di droni nel 2025, alla lista mancava solo un blitz della fanteria. Finalmente, la settimana scorsa, tre soldati russi in uniforme hanno attraversato il confine estone e sono rimasti in territorio Nato «per mezz’ora». L’invasione è cominciata. All’armi!





