Prende forma il piano di Ursula: annunciato il programma per costruire 4 milioni di aeromobili, per un costo di 100 milioni, metà dall’Ue e metà da Kiev. Il commissario Kubilius: «Dobbiamo imparare da un esercito collaudato». Ovvero, che ha versato il sangue
Prende forma il piano di Ursula: annunciato il programma per costruire 4 milioni di aeromobili, per un costo di 100 milioni, metà dall’Ue e metà da Kiev. Il commissario Kubilius: «Dobbiamo imparare da un esercito collaudato». Ovvero, che ha versato il sangueIl piano geniale di Ursula von der Leyen sta prendendo forma: dare soldi all’Europa, richiederglieli in prestito e usarli per comprare armi da Kiev. Che poi, magari, dovremo pure donare all’esercito di Volodymyr Zelensky, sempre alla disperata ricerca di aiuti. Ieri, al formidabile disegno si è aggiunto un tassello fondamentale: un meccanismo per la fabbricazione congiunta Ue-Ucraina di droni. Lo ha illustrato il commissario alla Difesa di Bruxelles, Andrius Kubilius, presente a Roma in conferenza stampa con il vicepremier del Paese invaso, Mykhailo Fedorov.L’iniziativa si chiama BraveTech Eu. In sostanza, si tratterà di attingere 50 milioni di euro dal Fondo per la difesa (Edf) e dal Programma per l’innovazione in materia di difesa (Eudif), più ulteriori 50 messi a disposizione dal governo ucraino. Chissà se anche questo denaro glielo abbiamo prestato noi… «L’obiettivo principale», ha spiegato Kubilius, «è creare opportunità per l’industria della difesa europea di imparare dall’Ucraina e dall’esperienza comprovata in battaglia su come realizzare innovazioni in ambito di difesa. BraveTech Eu è un cluster tecnologico di difesa ucraino di grande successo nel campo della leadership intelligente, che è diventato la base per la creazione di un esercito di droni ucraino di grande successo e che, quest’anno, è pronto a produrre e utilizzare 4 milioni di droni per difendere 1.200 chilometri di prima linea». Ecco. Scremata la presentazione da quel linguaggio da marketing pubblicitario, il programma punta a questo: costruire 4 milioni di velivoli senza pilota, per 100 milioni di euro totali. Quarantamila euro a pezzo: listini in linea con il mercato, ma non esattamente al «basso costo» promesso giovedì dalla Von der Leyen. Per dire: i droni iraniani valgono la metà ma sono altrettanto efficaci.Il piano prevede di collegare la piattaforma tecnologia Brave 1, sviluppata dal ministero della Trasformazione digitale ucraino, alle varie casse di cui dispone l’Europa: know how in cambio di moneta. Sono previsti eventi di collaborazione ingegneristica, test rapidi, ma soprattutto joint venture tra aziende di Kiev e del Vecchio continente, in particolare startup e Pmi. Il tutto in linea con il Libro bianco per la difesa europea. Quello, per intenderci, che aveva ribattezzato il ReArm «Prontezza 2030» e che aveva definito la Russia una «minaccia esistenziale» per l’Ue. È già fissata la tabella di marcia: il prossimo autunno si parte con la fase «Seed», che rafforzerà la collaborazione con l’«ecosistema» ucraino. In seguito, si passerà allo «Scale up», che metterà in contatto le realtà produttive, destinando ulteriori risorse dell’Edf e dell’Ukraine support instrument (Usi), nell’ambito del Programma per l’industria europea della difesa (Edip), in modo tale che si arrivi alla vera e propria integrazione del sistema.Come ha sottolineato il commissario lituano, gli europei devono «imparare, e molto» dall’industria ucraina. Oltre che dalle sue truppe: con un cinismo che dovrebbe far accapponare la pelle, Kubilius ha ricordato che l’esercito gialloblù è stato «collaudato sul campo». Peccato che questa «enorme risorsa» sia stata generata versando il sangue di centinaia di migliaia di soldati. A Bruxelles hanno una tale fame di martiri, da dimenticare il dramma umano che si consuma dietro il pingue business delle armi?Il responsabile della Difesa Ue ha confermato l’ipotesi anticipata da Ursula: «Molto presto», ha riferito, gli Stati membri «inizieranno a utilizzare i prestiti di Safe insieme all’Ucraina». Così, un circuito industriale integrato sfornerà i mezzi da comprare con i soldi che abbiamo messo nel fondo da 150 miliardi, che chiederemo a Bruxelles di restituirci sotto forma di debiti. Un carillon marziale sulle macerie di una nazione. A voler essere pignoli, si dovrebbe riflettere su un aspetto che nessuno sta prendendo in considerazione. E che riguarda il futuro assetto del continente. Quando, finalmente, la guerra terminerà, ci ritroveremo per vicino uno Stato verosimilmente smembrato, deprivato di una larga parte della sua popolazione maschile in età da lavoro, semidistrutto, eppure dotato di forze armate ad altissimo potenziale operativo e tecnologico. Una piccola potenza bellica, animata da impulsi revanchisti, militarmente superiore agli alleati dell’Europa occidentale, esclusi Regno Unito, Francia e Germania quando avrà completato la ristrutturazione della Bundeswehr. Bramosa di essere inclusa nell’Unione e - benché sia molto meno probabile - nella Nato. Siamo certi che sarà un affare per la nostra architettura di sicurezza? Il sottinteso è che la sfrutteremo ancora come un proxy per le campagne antirusse? L’Ucraina realizzerà la profezia marxiana 4.0? Dall’esercito industriale di riserva, all’esercito di riservisti?
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
Nonostante i dazi e un rafforzamento dell’euro, a settembre è boom di esportazioni negli Stati Uniti rispetto allo scorso anno, meglio di Francia (+8%) e Germania (+11%). Confimprenditori: «I rischi non arrivano da Washington ma dalle politiche miopi europee».
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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