Milei, l’economista libertario dalla chioma selvatica, ha ottenuto una vittoria sorprendente nelle elezioni di medio termine a fine ottobre, un risultato che gli ha conferito un mandato inequivocabile per il suo programma di terapia shock. Il suo partito, La Libertad Avanza (Lla), ha conquistato circa il 41% dei voti a livello nazionale, doppiando la sua rappresentanza al Congresso, contro il 32% del fronte peronista. Questo risultato ha trasformato il suo gruppo nel più numeroso della Camera bassa, garantendogli la minoranza necessaria per preservare il potere di veto e difendere i suoi decreti presidenziali.
Il trionfo del partito di Milei è stato un inatteso ribaltamento del paesaggio politico. Il dato più sorprendente è che le periferie povere di Buenos Aires, da sempre la roccaforte del movimento peronista, hanno compiuto una svolta storica a sfavore del partito erede del peronismo storico, Fuerza Patria di Cristina Kirchner. I peronisti hanno governato l’Argentina per vent’anni dal 2003, salvo la pausa di quattro anni di Mauricio Macri tra il 2015 e il 2019.
Mentre gli elettori della classe media si sono mobilitati per sostenere la motosega di Milei, la chiave della sconfitta peronista è stata l’astensione o il voto contrario degli elettori più poveri, stanchi di un’instabilità economica permanente cui le fiacche politiche dei passati presidenti li condannavano. Il mandato presidenziale di Alberto Fernández, considerato quasi all’unanimità come il peggior presidente della giovane democrazia argentina, ha significato la fine della pazienza in gran parte dell’elettorato.
Il pilastro della rivoluzione di Milei è l’austerità feroce e senza compromessi. Fin dall’inizio del suo mandato, il presidente ha avviato riforme drastiche, riuscendo a trasformare un deficit fiscale primario in un surplus. Ha tagliato l’occupazione pubblica di oltre il 10%, ha tolto protezioni sociali e rendite diffuse.
Il risultato di questa cura drastica è stato l’abbattimento dell’iperinflazione, che è crollata da oltre il 200% all’inizio del suo mandato a circa il 30% al momento delle elezioni. I mercati internazionali hanno premiato questa determinazione, con il calo del rischio sovrano e un rally nei titoli e nelle obbligazioni subito dopo il voto. Tuttavia, la terapia shock ha avuto un costo sociale elevato, con Milei stesso che ha ammesso che l’austerità aveva portato alla chiusura di fabbriche e all’aumento della disoccupazione.
La scalata di Milei non sarebbe stata possibile senza l’intervento diretto degli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha scommesso pesantemente sul successo del presidente, offrendo un salvataggio finanziario senza precedenti: un accordo di swap di valuta da 20 miliardi di dollari e la promessa di raccogliere altri 20 miliardi di dollari da banche private e fondi sovrani. Questo sostegno finanziario è stato esplicitamente condizionato al successo di Milei nelle elezioni di medio termine, confermando che l’Argentina è ora un alleato ideologico chiave di Washington, fondamentale per contrastare l’influenza cinese in America Latina.
La squadra economica di Milei, soprannominata i «ragazzi di Jp Morgan» per la forte presenza di ex trader di Wall Street come il ministro dell’Economia Luis Caputo, è ora impegnata in un atto di equilibrismo, cercando di stabilizzare il traballante peso e ricondurre l’Argentina sui mercati internazionali.
Milei sta capitalizzando il suo mandato non solo per aggiustare i conti, ma per smantellare lo Stato in senso profondo. Ha introdotto il regime di incentivi per i grandi investimenti (Rigi), che garantisce 30 anni di stabilità fiscale, disponibilità di valuta estera e protezioni legali agli investitori stranieri per progetti superiori a 200 milioni di dollari. Questa mossa è strategica per trasformare l’Argentina in una potenza mineraria, sfruttando le sue immense riserve inesplorate di rame e litio.
L’Argentina, che condivide la stessa catena montuosa del Cile, esportatore per 20 miliardi di dollari di rame all’anno, non esporta un solo grammo di questo metallo critico. L’obiettivo di Milei è attrarre circa 26 miliardi di dollari in investimenti per i progetti di rame, promettendo che l’Argentina «avrà dollari a sufficienza». L’Argentina, inoltre, detiene riserve significative nel Triangolo del litio ed è il quarto esportatore mondiale di questo minerale.
A riprova della sua visione radicale, l’amministrazione Milei sta rimodellando la struttura dello Stato, avvicinandola al modello di sicurezza nordamericano. La Direzione nazionale delle migrazioni è stata trasferita dal ministero dell’Interno a quello della Sicurezza. Poi, per la prima volta dal ritorno alla democrazia nel 1983, Milei ha nominato un generale, Carlos Presti, a capo del ministero della Difesa, con l’intento dichiarato di «porre fine alla demonizzazione dei nostri ufficiali, sottufficiali e soldati». Infine, il presidente sta spingendo per la privatizzazione e la modernizzazione dell’obsoleta rete ferroviaria per potenziare le esportazioni di cereali, rame e litio, aumentando le esportazioni di 100 miliardi di dollari in sette anni.
Nonostante il chiaro allineamento con Washington, Milei è costretto a un difficile pragmatismo verso Pechino, principale cliente per la soia argentina. Nonostante avesse liquidato la Cina come partner «comunista» in campagna elettorale, Milei ha dovuto riconoscerla come un «partner commerciale molto interessante» dopo la conferma di uno swap valutario multimiliardario da parte di Pechino.
Il destino politico di Milei dipende dalla sua capacità di tradurre le riforme orientate al mercato in prosperità tangibile per la maggioranza, specialmente in un momento in cui gli argentini sono preoccupati per la perdita di posti di lavoro e il calo del reddito. Le politiche deflazioniste attuate per compiacere i mercati e frenare l’inflazione hanno un costo sociale alto, quello della disoccupazione e del calo dei consumi. Milei deve quindi trovare sempre nuovi obiettivi e nuovi capri espiatori per evitare che la questione sociale esploda e faccia dell’Argentina una polveriera.