A trentasette anni appena compiuti, Chen Zhi viene indicato dagli inquirenti come l’architetto occulto di una gigantesca macchina di frodi digitali, descritta come un sistema criminale costruito sullo sfruttamento sistematico delle vittime. L’aspetto giovanile, il volto quasi infantile e la barba curata contrastano con l’immagine dell’uomo che, in pochissimo tempo, avrebbe accumulato una ricchezza smisurata. Nell’ottobre scorso il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti lo ha formalmente incriminato, accusandolo di aver orchestrato dalla Cambogia un colossale schema di truffe in criptovalute, capace di sottrarre miliardi di dollari a persone sparse in tutto il mondo. Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro americano ha annunciato il sequestro di circa 14 miliardi di dollari in bitcoin riconducibili, secondo le autorità, alla sua rete: il più imponente congelamento di asset digitali mai registrato. Sul sito ufficiale del suo conglomerato, la Cambodian Prince Group, Chen Zhi viene presentato come un imprenditore rispettato e un benefattore di primo piano, capace di trasformare l’azienda in uno dei gruppi più influenti del Paese, allineato – si legge – ai parametri internazionali. Interpellata per un commento, la società non ha rilasciato dichiarazioni. Resta dunque aperta la domanda centrale: chi è davvero Chen Zhi, l’uomo che secondo le accuse avrebbe costruito un impero fondato sulle truffe online?
Originario della provincia cinese del Fujian, nella parte sud-orientale del Paese, Chen Zhi avrebbe mosso i primi passi imprenditoriali nel settore dei giochi online, con risultati tutt’altro che eclatanti. Tra il 2010 e il 2011 si trasferì in Cambogia, inserendosi in un mercato immobiliare allora in piena ebollizione. Il suo arrivo coincise con l’esplosione di una bolla speculativa alimentata dall’afflusso di capitali cinesi e dalla disponibilità di ampie porzioni di territorio sottratte alle comunità locali e finite nelle mani di figure politicamente ben introdotte. Una parte consistente di quei fondi derivava dall’espansione internazionale dei progetti infrastrutturali cinesi legati alla Belt and Road Initiative, mentre altri capitali provenivano da investitori privati alla ricerca di sbocchi meno costosi rispetto al mercato immobiliare cinese, ormai surriscaldato. A questo si aggiunse l’aumento vertiginoso del turismo proveniente dalla Cina.
Phnom Penh cambiò volto in pochi anni: il profilo urbano, un tempo dominato da edifici coloniali bassi e color ocra, lasciò spazio a una distesa di torri in vetro e acciaio. Ancora più drastica fu la metamorfosi di Sihanoukville, ex località balneare tranquilla, trasformata in un polo di casinò, hotel di lusso e complessi residenziali. Qui confluirono non solo turisti e investitori, ma anche giocatori d’azzardo, spinti dal divieto di gioco vigente in Cina. In questo contesto, la rapida ascesa di Chen Zhi apparve fuori scala. Nel 2014 ottenne la cittadinanza cambogiana, rinunciando a quella cinese, un passaggio che gli consentì di intestarsi direttamente terreni e proprietà, a fronte di un contributo minimo di 250 mila dollari allo Stato. L’origine dei suoi capitali rimase però opaca. Nel 2019, aprendo un conto bancario sull’Isola di Man, dichiarò di aver ricevuto due milioni di dollari da uno zio non meglio identificato per avviare la sua prima operazione immobiliare. Nessuna prova documentale è mai emersa a sostegno di questa versione.
Il Prince Group nacque ufficialmente nel 2015, quando Chen Zhi aveva soltanto 27 anni, con un focus iniziale sul real estate. Tre anni dopo ottenne una licenza bancaria per creare la Prince Bank. Nello stesso periodo acquisì la cittadinanza cipriota, in cambio di un investimento di almeno 2,5 milioni di dollari, aprendo così le porte dell’Unione Europea. Successivamente ottenne anche il passaporto di Vanuatu. Nel giro di pochi anni il gruppo si espanse in settori sempre più diversi: compagnie aeree, centri commerciali di fascia alta, hotel a cinque stelle e progetti faraonici come la cosiddetta “Baia delle Luci”, una eco-città dal valore stimato di 16 miliardi di dollari. Nel 2020 Chen Zhi ha ricevuto dal sovrano cambogiano il titolo onorifico di “Neak Oknha”, il più elevato riconoscimento del Paese, riservato a chi effettua donazioni significative al governo.
In quella fase, ha consolidato relazioni politiche di altissimo livello: consigliere del ministro dell’Interno Sar Kheng, partner d’affari del figlio Sar Sokha, e collaboratore diretto di Hun Sen e, successivamente, di Hun Manet dopo la sua ascesa alla guida del governo nel 2023. I media locali lo hanno celebrato come mecenate, lodando il finanziamento di borse di studio e le donazioni durante l’emergenza Covid. Nonostante ciò, Chen Zhi è rimasto una figura schiva, poco incline alle apparizioni pubbliche. Secondo il giornalista Jack Adamovic Davies, autore di una lunga inchiesta su di lui, chi lo ha incontrato lo descrive come una persona pacata, educata e capace di esercitare un’autorità silenziosa. Una discrezione che, col senno di poi, potrebbe aver contribuito a schermarlo da attenzioni indesiderate. Il punto di svolta arriva nel 2019, con il crollo della bolla immobiliare a Sihanoukville. Il settore del gioco d’azzardo online attirò organizzazioni criminali cinesi, scatenando violenti conflitti tra bande e allontanando i turisti. Sotto la pressione di Pechino, il governo cambogiano vietò il gioco online nell’agosto di quell’anno. Centinaia di migliaia di cittadini cinesi lasciarono la città, e interi complessi residenziali rimasero vuoti. Eppure, nonostante il tracollo, Chen Zhi ha continuato ad comprare beni di lusso e a espandere il proprio raggio d’azione. Secondo le autorità occidentali, avrebbe investito decine di milioni in immobili a Londra, New York, jet privati, yacht e opere d’arte, tra cui un dipinto attribuito a Picasso.
Per Stati Uniti e Regno Unito, l’origine di questa ricchezza risiede nell’industria criminale più redditizia dell’Asia contemporanea: la frode online, alimentata da traffico di esseri umani e sofisticati sistemi di riciclaggio. Le sanzioni imposte colpiscono oltre cento società e numerosi individui legati al Prince Group, descrivendo una rete globale di società di comodo e portafogli digitali usati per occultare i flussi finanziari. Al centro delle accuse figurano complessi come il Golden Fortune Science and Technology Park, vicino al confine vietnamita, dove – secondo testimonianze raccolte – lavoratori provenienti da diversi Paesi sarebbero stati trattenuti con la forza e costretti a perpetrare truffe informatiche. Oggi, dopo l’annuncio delle sanzioni, banche e governi regionali prendono le distanze dal gruppo. Le autorità cambogiane cercano di rassicurare i risparmiatori, mentre Singapore e Thailandia avviano verifiche sulle attività locali. Resta però difficile immaginare un netto distacco dell’élite di Phnom Penh da un uomo con cui i legami sono stati così stretti per anni. Di Chen Zhi, intanto, si sono perse le tracce. L’uomo che fino a poco tempo fa figurava tra i più influenti del Paese sembra essersi dissolto, lasciando dietro di sé un intreccio di potere, denaro e accuse che ora scuote l’intera Cambogia.
Traffico migranti, il report Europol: violenza, IA e reti globali dietro il business
I network dediti al traffico di esseri umani stanno mostrando una flessibilità operativa mai osservata prima, sfruttando l’attuale disordine geopolitico come leva per moltiplicare i guadagni. È questa la fotografia inquietante che emerge dall’ultimo dossier pubblicato da Europol, che scandaglia nel dettaglio le modalità con cui le organizzazioni criminali reclutano, instradano e infine assoggettano migliaia di migranti intenzionati a entrare in Europa. Secondo l’agenzia europea, tali gruppi non esitano a impiegare violenze estreme, soprusi sistematici e pratiche di sfruttamento feroce pur di incassare somme che possono arrivare a decine di migliaia di euro per singola traversata. Come riportato da Le Figaro, il documento rappresenta il nono rapporto operativo del Centro europeo contro il traffico di migranti, organismo creato nel 2016 e oggi integrato in Europol. L’analisi si concentra in particolare sul 2024, ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, e restituisce l’immagine di uno sforzo investigativo di vasta portata: 266 operazioni sostenute, 48 giornate di azione coordinate a livello internazionale e oltre 14.000 segnalazioni operative trasmesse tramite il sistema Siena, la piattaforma di scambio informativo tra le polizie europee. Un volume in forte crescita rispetto alle 2.072 comunicazioni del 2016, che conferma l’intensificarsi della pressione investigativa sulle reti di trafficanti a livello continentale.
Al di là dei numeri, il rapporto mette in luce una trasformazione strutturale del fenomeno. Europol individua come tendenza dominante la crescente internazionalizzazione delle organizzazioni criminali e la loro frammentazione funzionale, soprattutto sull’asse Europa–Nord Africa. Lungo le rotte migratorie, ogni fase del processo – dal reclutamento al trasferimento, fino allo sfruttamento finale – viene demandata a soggetti differenti, spesso ben radicati sul territorio. La direzione strategica, invece, si colloca frequentemente al di fuori dell’Unione Europea, una configurazione che consente alle reti di restare operative anche quando singoli segmenti vengono smantellati dalle autorità. Queste organizzazioni sono in grado di pianificare percorsi articolati: accompagnare migranti dalla Siria alla Francia, dal Marocco alla Spagna o dalla Russia alla Svezia; produrre documenti contraffatti in Pakistan e farli arrivare in Scandinavia; garantire sistemazioni temporanee considerate «sicure» in diversi Paesi europei. In alcuni casi, le reti arrivano persino a reperire donne destinate a matrimoni forzati. Un fenomeno già denunciato dalle Nazioni Unite in un rapporto diffuso alla fine del 2024, che segnalava rapimenti lungo le rotte africane e mediorientali, con vittime obbligate a sposare i propri sequestratori e a subire gravidanze imposte.
Secondo Europol, i trafficanti costruiscono vere e proprie strutture modulari, con cellule specializzate nel reclutamento, nel transito e nello sfruttamento delle persone. Non si tratta, inoltre, di gruppi limitati a una sola attività illecita: molte reti operano simultaneamente in più ambiti criminali. Il rapporto cita, ad esempio, un’organizzazione composta prevalentemente da cittadini cinesi, smantellata tra Spagna e Croazia nel dicembre 2024, coinvolta in sfruttamento sessuale, riciclaggio di denaro, frodi e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Le 33 vittime individuate erano state costrette a prostituirsi in diversi Paesi europei. Il dossier offre anche una mappatura dettagliata delle rotte migratorie e dei relativi costi. Arrivare a Cipro dalla Siria può comportare una spesa che va da poche centinaia fino a 10.000 euro, in base al livello di rischio e ai servizi inclusi. Il passaggio dalla Turchia all’Italia non scende sotto i 5.000 euro, mentre raggiungere la Finlandia partendo dalla Russia costa tra i 1.500 e i 5.000 euro. Le tratte più onerose restano quelle della Manica e del Mediterraneo occidentale tra Marocco e Spagna, dove le tariffe oscillano tra i 10 e i 20.000 euro. A questo si aggiunge un vero e proprio listino «accessorio»: documenti falsi, alloggi, voli, passaporti e perfino donne, valutate come merce con prezzi compresi tra i 1.000 e i 2.500 euro.
La gestione dei flussi finanziari rappresenta un altro nodo cruciale. Il denaro raramente transita attraverso i canali bancari tradizionali. I trafficanti fanno largo uso dell’hawala, un sistema informale basato sulla fiducia tra intermediari, che consente trasferimenti rapidi e difficilmente tracciabili. Negli ultimi anni, però, a questo meccanismo si sono affiancate - e in parte sostituite - le criptovalute. Europol segnala un ricorso crescente a broker specializzati, trasporto di contante e schemi di conversione digitale, seguiti dal reinvestimento dei proventi in attività apparentemente lecite come agenzie di viaggio o immobili.
Le nuove tecnologie permeano l’intero modello di business criminale. Alcune reti hanno replicato le logiche del marketing digitale, creando vere e proprie «accademie» online in cui i trafficanti più esperti addestrano i nuovi affiliati. L’intelligenza artificiale viene utilizzata per generare annunci multilingue, poi diffusi sui social network e su piattaforme di messaggistica criptata come Telegram, allo scopo di intercettare potenziali clienti. A complicare ulteriormente la risposta delle autorità è l’estrema rapidità con cui i trafficanti rimodulano le rotte in funzione dei controlli, delle crisi regionali e persino delle opportunità generate dai conflitti. Quando un corridoio viene messo sotto pressione da arresti o pattugliamenti, le reti spostano rapidamente uomini, mezzi e contatti su itinerari alternativi, frammentando il viaggio in micro-tratte affidate a intermediari diversi. Una strategia che riduce l’esposizione dei vertici e, allo stesso tempo, moltiplica le occasioni di abuso sui migranti, costretti a dipendere da una catena di soggetti spesso violenti e imprevedibili. In questo schema, il controllo non si esercita solo attraverso la forza fisica, ma anche tramite la coercizione psicologica: debiti gonfiati, minacce di abbandono, pressioni sulle famiglie e ricatti legati ai documenti diventano strumenti di dominio. Europol sottolinea inoltre come l’intreccio tra traffico di migranti e altri affari illeciti – dalla frode al riciclaggio, fino allo sfruttamento sessuale – generi un ecosistema in cui le vittime possono essere spostate da un mercato all’altro in base alla convenienza. Il capitolo più oscuro resta quello dedicato alla violenza, ormai elevata a vero e proprio modello economico. Le donne risultano le principali vittime. Secondo dati ONU, lungo la rotta del Mediterraneo centrale fino al 90% delle donne e delle ragazze subisce stupri o aggressioni sessuali. Molte sono costrette a «pagare» il viaggio offrendo prestazioni sessuali, spesso a più uomini, in cambio di una presunta protezione. Minacce, torture e ricatti si estendono anche alle famiglie rimaste nei Paesi d’origine, con l’obiettivo di estorcere ulteriori somme di denaro.
La Libia continua a rappresentare uno degli epicentri di questa brutalità. Rapporti internazionali documentano il ritrovamento di corpi di migranti uccisi, torturati o lasciati morire per fame e mancanza di cure, abbandonati in discariche, campi agricoli o nel deserto. La violenza viene impiegata anche all’interno delle stesse reti criminali come strumento di controllo dei territori e delle quote di mercato. Nonostante questo quadro, alcune misure di contrasto sembrano produrre risultati. Secondo Frontex, nel 2024 gli ingressi irregolari nell’Unione Europea sono scesi a 239.000, il livello più basso dal 2021. La rotta balcanica ha registrato un crollo del 78%, quella del Mediterraneo centrale del 59%. Altre direttrici, però, mostrano un andamento opposto: +14% sul Mediterraneo orientale e +18% lungo la rotta dell’Africa occidentale. In questo scenario, i Paesi UE hanno avviato un ulteriore irrigidimento delle politiche migratorie, aprendo anche all’ipotesi di trasferire i migranti in centri situati al di fuori dei confini europei. Un segnale che la partita resta aperta, mentre le organizzazioni criminali continuano a reinventarsi, spesso mantenendo un vantaggio operativo rispetto alle contromisure.
I gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2, infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico europeo, corrono in parallelo sul fondo del Mar Baltico collegando direttamente la Russia alla Germania. Il primo è entrato in funzione nel 2011, diventando per oltre un decennio uno dei principali canali di fornitura di gas russo verso l’Europa. Nord Stream 2, completato nel 2021, non è invece mai entrato in esercizio a causa dello scoppio della guerra in Ucraina e del conseguente blocco politico e regolatorio imposto dai Paesi occidentali. Nella notte del 26 settembre 2022, una serie di potenti esplosioni sottomarine ha gravemente danneggiato entrambe le condotte in acque internazionali, al largo delle coste danesi e svedesi.
Fin dalle prime ore, le autorità europee hanno escluso l’ipotesi dell’incidente, parlando apertamente di atto deliberato di sabotaggio. L’attacco ha avuto un impatto immediato non solo sul piano energetico, ma anche su quello politico e strategico, alimentando tensioni già altissime nel contesto della guerra in Ucraina. Le indagini si sono concentrate su un’operazione condotta da un gruppo altamente specializzato, dotato di competenze militari, logistiche e subacquee. Nel corso dei mesi sono emersi nomi e movimenti sospetti tra diversi Paesi europei, fino all’emissione di mandati di arresto nei confronti di cittadini ucraini ritenuti coinvolti nell’azione. Tra questi figura Serhij Kuznietzov, 49 anni, cittadino ucraino arrestato in Italia mentre si trovava sul territorio nazionale e successivamente estradato in Germania, dove dovrà rispondere delle accuse legate al sabotaggio dei gasdotti. La sua posizione è diventata centrale nell’inchiesta dopo le rivelazioni pubblicate dalla rivista tedesca Der Spiegel, che ha citato documenti ufficiali del ministero della Difesa ucraino. Secondo tali documenti, Kuznietzov al momento dell’attacco era in servizio attivo in un’unità speciale dell’esercito ucraino. In una lettera del ministero della Difesa, datata 21 novembre 2025, indirizzata al Commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino, si afferma che l’uomo ha prestato servizio dal 10 agosto 2022 al 28 novembre 2023 nell’unità A0987, identificata come il comando delle forze speciali ucraine, con il grado di capitano. A confermare la ricostruzione è stato anche Roman Chervinsky, ex superiore di Kuznietzov, che in un’intervista a Der Spiegel ha dichiarato: «Serhij era sotto il mio comando all’epoca. Ha eseguito tutti gli ordini della nostra unità e non si è mai allontanato dalla truppa senza autorizzazione», confermando di fatto la sua appartenenza operativa alle forze speciali nel periodo in cui avvenne il sabotaggio. Lo stesso Roman Chervinsky era già stato indicato in precedenti inchieste giornalistiche come figura chiave nella pianificazione dell’operazione Nord Stream. Secondo Der Spiegel, avrebbe avuto un ruolo centrale nel coordinamento dell’azione, ipotizzando che l’attacco fosse stato approvato a livelli elevati della catena di comando militare ucraina. Su questo punto, tuttavia, Chervinsky ha mantenuto il silenzio, dichiarando di non essere autorizzato a rilasciare commenti su singole operazioni militari, né per quanto riguarda se stesso né per Kuznietzov. Il caso Nord Stream rimane uno dei dossier più delicati sul tavolo europeo. Molte domande restano ancora senza risposta, ma gli ultimi sviluppi giudiziari sembrano avvicinare l’inchiesta a un punto di svolta. Ciò che appare certo, è che l’esercito di un Paese finanziato da anni da Paesi Ue e Nato, ha attaccato un’infrastruttura tedesca. Non si dovrebbe forse attivare l’articolo 5 del Patto Atlantico?





