
L’Associazione, che rispolvera il celebre «Resistere» di Borrelli, dovrebbe rileggere le parole dell’ex gip di Mani pulite Italo Ghitti: «La scelta della norma spetta al Parlamento». Non tutti quelli che sono chiamati a giudicare seguono gli ordini di una minoranza. Italo Ghitti, più di 20 fa, quando per la prima volta si cominciò a parlare di separare le carriere di pm e giudici. Mentre Francesco Saverio Borrelli coniò lo slogan «Resistere, resistere, resistere», che adesso l’Anm ha intenzione di rispolverare con la campagna per il no al referendum confermativo, il magistrato che firmò le richieste di arresto di Antonio Di Pietro e dei colleghi del pool spiegò in tv non soltanto che le leggi le fa il Parlamento e non il sindacato delle toghe, ma osservando la sceneggiata delle proteste in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario commentò dicendo che «tutto ciò che è scenografico non mi appartiene». Sono passati anni da quando Ghitti rilasciò quell’intervista e da anni non indossa più la toga. Tuttavia, ora che la riforma della giustizia vedrà la luce e che assisteremo alla rivolta dell’Anm, le sue parole risultano ancora più attuali. «L’indipendenza del magistrato non è un privilegio del magistrato stesso ma un diritto del cittadino. Primo dovere del giudice è essere e apparire indipendente. Secondo dovere è quello di conoscere, capire, valutare e giudicare, secondo i parametri normativi, i fatti e non i fenomeni sociali. La lotta ai singoli fatti sociali non è compito del giudice».Ricordare le parole di Ghitti credo sia utile per capire che non tutti i magistrati la pensano allo stesso modo. La magistratura non è una falange armata pronta allo scontro per impedire la separazione delle carriere tra chi riveste un ruolo requirente e chi invece ha una funzione giudicante. Né è un partito unico schierato contro l’elezione a sorteggio dei componenti del Csm. Magari non tutti i magistrati sono cuor di leone e quindi preferiscono stare in silenzio, nel gregge, ma sotto sotto ci sono giudici e pm che non la pensano come i vertici dell’Anm. In altre parole, chi oggi strilla dicendo che si sta stravolgendo la Costituzione e che si vuole violare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura è una minoranza. Del resto, quando mesi fa le toghe per protesta hanno indetto uno sciopero e manifestazioni in ogni città, sulle scale dei palazzi di giustizia non c’era un esercito in toga, ma uno sparuto drappello.A dimostrazione che non tutti la pensano come i vertici dell’Anm, non ci sono soltanto le parole di alcuni ex magistrati come Ghitti o Di Pietro, ma pure quelle del più acceso avversario della riforma Nordio. Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, pur continuando a dire che il ministro sbaglia e che separare le carriere serve a mettere i pm sotto l’esecutivo (cosa che nessuno, neanche Gratteri, è in grado di dimostrare), sull’elezione a sorteggio dei componenti del Csm per sottrarli all’influenza delle correnti si dichiara d’accordo. Dunque, nemmeno i magistrati che contestano la legge sono d’accordo fra loro. Per qualcuno la riforma è tutta da buttare, per altri c’è qualche cosa da salvare. Un fatto però è certo: dopo trent’anni di discussioni, per la prima volta si attua una riforma a lungo sollecitata. E per la prima volta è un magistrato a firmarla. Non un politico, non un professore e nemmeno un avvocato, ma uno che le toghe le conosce bene, avendole frequentate per una vita. Forse è proprio questa la novità. A portare a compimento la riforma della magistratura non poteva essere un estraneo, ma qualcuno che il sistema delle correnti, delle nomine e delle azioni disciplinari lo ha visto da vicino. È con le promozioni e con le sanzioni che le correnti governano il Csm e dunque la magistratura. Se vuoi far carriera devi essere sponsorizzato dal gruppo. Se vuoi evitare di finire sul banco degli imputati per aver violato qualche norma, devi essere parte del gruppo. In politica, questo metodo di governo si chiama spartizione e lottizzazione. Nella magistratura invece lo definiscono autonomia e indipendenza.Non so se la riforma Nordio risolverà tutti i problemi della giustizia. Temo purtroppo di no. Però posso dire che è l’avvio di un percorso o, se volete, l’inizio della fine di un sistema sbagliato.
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