Jaki all’angolo: l’imputazione coatta fa traballare lo scranno di Stellantis

Quanto può durare John Elkann al vertice di Stellantis e di Exor, la holding di casa Agnelli? La conseguenza dell’imputazione coatta per dichiarazione fraudolenta imposta dal gip Antonio Borretta può avere conseguenze dirompenti. Infatti i requisiti di onorabilità sono difficilmente negoziabili nei Paesi del Nord Europa in cui l’erede di casa Agnelli ha spostato il core business dei suoi affari, ma soprattutto le sedi legali. Certo, l’Olanda non è come gli Stati Uniti dove chi commette reati contro il fisco finisce in manette, ma le accuse che il giudice ha rivolto a John Elkann non suoneranno come benemerenze neanche ad Amsterdam e dintorni.
L’imprenditore è accusato di avere ordito un piano articolato per evitare il pagamento delle tasse in Italia su «ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità» e, «sotto il profilo ereditario», gli viene contestata «l’omessa regolamentazione della successione di Marella sulla base dell’ordinamento italiano», obiettivo raggiunto apparecchiando una finta residenza in Svizzera per la nonna. Un’«esterovestizione» che gli avrebbe consentito di cancellare la madre Margherita dall’asse ereditario: infatti nella Confederazione elvetica il testamento della nonna, che escludeva la figlia, era perfettamente valido. In Italia no. Per il giudice, lo spostamento della residenza a Lauenen, vicino a Gstaad, ha avuto come ultima e gradita ricaduta il mancato versamento (milionario) dell’imposta di successione. Un risparmio che, a giudizio della Procura, era, invece, la principale finalità degli indagati.
In ogni caso, a far saltare i piani dei due presunti complici ci hanno pensato gli avvocati di Margherita, che hanno denunciato l’ipotetico progetto criminale e le capillari indagini della Procura coadiuvata dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Torino ritenute esaurienti anche dal tribunale («Non risultano necessarie ulteriori indagini da compiere», ha scritto Borretta). Il gip ricorda che John Elkann, «con lo scopo di “supportare” la residenza (fittiziamente) stabilita in Svizzera di Marella Caracciolo, aveva, fra le altre cose, assunto alle proprie dipendenze, ovvero in seno alle società Fca security e Stellantis Europa spa, assistenti e collaboratori di Marella e stipulato contratti (fittizi) di locazione/comodato aventi ad oggetto immobili siti nel territorio nazionale, di cui la Caracciolo deteneva l’usufrutto e concretamente utilizzati dalla stessa».
I lavoratori assunti dalle società automobilistiche, in realtà collaboratori di Marella Caracciolo, non potevano figurare come dipendenti di quest’ultima poiché in tal modo sarebbe stata disvelata la sua effettiva residenza in Italia.
Al termine dell’inchiesta torinese, dopo essersi trovato scoperto, Elkann ha provato a scendere a patti: si è detto pronto a svolgere lavori socialmente utili per mondare il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (il mancato pagamento della tassa di successione), mentre per l’iniziale accusa di dichiarazione fraudolenta, la Procura aveva riqualificato i fatti in un’infedele dichiarazione. Nel primo caso, chi commette il reato produce documentazione falsa per abbattere l’imponibile, nel secondo si limita a riferire all’Erario un reddito inferiore a quello effettivo. Insomma, l’immagine di John usciva un po’ ammaccata, ma non distrutta.
Adesso, però, il gip consegna alle cronache un ritratto di Elkann quasi machiavellico, che insieme con il commercialista di fiducia Gianluca Ferrero, avrebbe ingannato non solo lo Stato italiano, ma anche i fratelli e persino il notaio svizzero che aveva depositato post mortem, in qualità di esecutore testamentario, le ultime dichiarazioni dei redditi di Marella. E i notai svizzeri, per definizione, non sono considerati propriamente dei sempliciotti.
Secondo Borretta, a carico di Urs Robert Gruenigen «non è stata riscontrata alcuna concreta partecipazione nella predisposizione di quegli strumenti/escamotage utilizzati per esterovestire e poi “presidiare” la formale residenza estera di Marella Caracciolo». L’unico appunto che viene fatto al professionista, già dalla Procura, è di non avere «richiesto chiarimenti» dopo avere ricevuto «nel corso del tempo indicazioni, informazioni ed elenchi riguardanti il patrimonio della Caracciolo, talvolta difformi e contraddittori». Secondo il gip, però, quando riceveva «indicazioni non veritiere», più che «concorrere attivamente all’attività fraudolenta» posta in essere, a giudizio degli inquirenti, da Elkann e Ferrero, «si limitava a ricevere dagli altri indagati le informazioni, per poi trasfonderle acriticamente negli atti a sua firma».
Borretta, nell’ordinanza datata 9 dicembre, fa anche riferimento a «una massiccia serie di condotte ascrivibili» a John, che sarebbero «espressione di pieno coinvolgimento nell’attività fraudolenta», a partire dall’«attività di “presidio” della residenza estera della nonna».
Ma per quanto riguarda le dichiarazioni «svizzere» (riqualificate da fraudolente in infedeli), secondo la Procura non sussisterebbero «gli estremi per l’esercizio dell’azione penale». Il motivo lo riassume il gip: «Sarebbe “difficile ipotizzare” il concorso nel reato fiscale relativo alla posizione di un contribuente già defunto (Marella Caracciolo), peraltro materialmente commesso da un soggetto non coinvolto nella frode (il notaio Gruenigen)».
Per Borretta, però, «la tesi non è convincente» per due ragioni. Innanzitutto perché il reato da lui ravvisato, quello di dichiarazione fraudolenta, «si perfeziona sì con la presentazione della dichiarazione», ma «prima è preceduta dalla predisposizione di attività fraudolenta». Anche nel caso in esame l’atto depositato dal notaio è «successivo alla realizzazione degli artifizi e dei raggiri ideati ed attuati dai due predetti indagati (Elkann e Ferrero) in concorso con la defunta Marella Caracciolo» e «il loro», è la conclusione del giudice, «fu un contributo causalmente rilevante e, anzi, decisivo per l’azione criminosa».
Borretta, come detto, solleva pure un’altra obiezione: «Non si comprende poi in che modo possa ostare alla configurazione del concorso dei due indagati nella realizzazione del reato, la circostanza che un terzo concorrente nel reato, la contribuente Marella Caracciolo, fosse defunta al momento della presentazione della dichiarazione». Infatti, dopo la morte della donna, ad assumere «il compito di sottoscrivere e presentare le dichiarazioni dei redditi della donna» è stato il notaio.
I ragionamenti di Borretta si fondano su una precisa norma del codice penale: l’articolo 48.
«Le condotte di Gianluca Ferrero e John Elkann consistite nell’esterovestizione della residenza di Marella Caracciolo, nel presidiare il risultato e infine nel compilare la dichiarazione dei redditi di Marella e fornirla all’esecutore testamentario ai fini della presentazione delle predette dichiarazioni, rende i predetti “autori mediati” del reato […] in quanto soggetti che hanno, attraverso la “strumentalizzazione” del notaio, presentato dichiarazioni contenenti elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo». E chi è l’«autore mediato», anche nei reati tributari? «Chi con inganno determina in altri l’errore sul fatto costituente reato, fatto che l’autore immediato commette in buona fede», spiega Borretta. Anche perché la «posizione istituzionale» o le «qualità professionali» degli indagati potevano «suscitare ragionevole affidamento nel pubblico ufficiale».
Adesso si tratta di vedere se i prevedibili danni alla reputazione di John Elkann avranno anche conseguenze sulla fiducia che ripongono in lui soci, manager e azionisti.





