Gli Usa avvertono gli alleati: «Se userete gli asset russi la pace non è raggiungibile»
- Oggi a Miami nuovo round negoziale tra la delegazione americana e quella gialloblù. Il Cremlino alla finestra: «Militari impegnati finché non otteniamo i nostri obiettivi».
- Vladimir Putin in visita al monumento del Mahatma Gandhi : «Oggi Mosca difende i suoi princìpi».
Lo speciale contiene due articoli
Nella delicata dinamica delle trattative di pace non sono ancora stati svelati i dettagli dei colloqui tra la delegazione ucraina e quella americana in Florida.
Secondo quanto riferito da Ukrainska Pravda, nella tarda serata di giovedì è avvenuta la prima riunione del quartetto composto dagli ucraini Rustem Umierov e Andrii Hnatov, e dagli americani Steve Witkoff e Jared Kushner. Ma una fonte vicina alla squadra negoziale di Kiev ha rivelato che un secondo round è stato fissato ieri. A confermare l’indiscrezione è stato sia il consigliere del capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Oleksandr Bevz, sia Axios. Che ha aggiunto che gli incontri dovrebbero proseguire anche oggi.
Ad attendere l’esito dei colloqui è soprattutto Mosca. Il consigliere presidenziale russo, Yuri Ushakov, ha infatti affermato: «Spero che condivideranno con noi questi risultati, e poi vedremo».
Gli obiettivi della missione gialloblù a Miami sono stati svelati dallo stesso presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha scritto su X: «Il nostro compito è ottenere informazioni complete su quanto è stato detto a Mosca e sugli altri pretesti escogitati da Putin per prolungare la guerra». Intanto il Cremlino passa la responsabilità sull’eventuale fine del conflitto a Kiev. Il portavoce russo, Dmitry Peskov, ha dichiarato al canale Rt: «Se non avremo la possibilità di raggiungere i nostri obiettivi con mezzi pacifici, continueremo l’operazione militare speciale e faremo tutto il necessario per proteggere i nostri interessi».
L’amministrazione americana sul fronte dei negoziati oscilla tra cautela e ottimismo. Il presidente americano, Donald Trump, ha commentato: «Stiamo portando la pace in tutto il mondo. Stiamo risolvendo le guerre a livelli mai visti prima. Otto. Ne stiamo cercando un’altra, quella tra Russia e Ucraina, se possibile, e penso che prima o poi ci arriveremo». Sempre fiducioso ma più prudente è stato il vicepresidente statunitense, J.D. Vance, che, pur dicendo che «ci sia speranza», ha puntualizzato: «Abbiamo fatto molti progressi, ma non siamo ancora del tutto al traguardo».
Non si può dire però che l’amministrazione americana nutra la stessa positività nei riguardi dell’Europa. Nel documento sulla Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, diffuso ieri dalla Casa Bianca, si legge: «L’amministrazione Trump si trova in contrasto con i leader europei che nutrono aspettative irrealistiche riguardo alla guerra, appoggiati da governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione. La grande maggioranza degli europei vuole la pace, ma questo desiderio non si traduce in politiche concrete, in gran parte a causa della sovversione dei processi democratici da parte di quei governi». E non è detto che «alcuni Paesi europei avranno economie e forze armate abbastanza forti da restare alleati affidabili». Peraltro, viene esplicitamente menzionata l’ipocrisia tedesca: «La guerra in Ucraina ha avuto l’effetto perverso di aumentare la dipendenza esterna dell’Europa, in particolare della Germania. Oggi, le aziende chimiche tedesche stanno costruendo alcuni dei più grandi impianti di lavorazione del mondo in Cina, utilizzando il gas russo che non possono ottenere in patria». Nel documento viene anche annunciato che una delle priorità americane è «mettere fine alla percezione, e prevenire la realtà, di una Nato come alleanza in perpetua espansione». Tra l’altro, secondo Reuters, entro il 2027 Washington vuole che l’Europa prenda il controllo della maggior parte delle capacità di difesa convenzionale della Nato.
Ma i contrasti tra gli Stati Uniti e l’Europa si estendono anche all’utilizzo degli asset russi congelati. Stando a quanto riferito da Bloomberg, Washington ha esercitato pressioni su alcuni Paesi dell’Ue per bloccare i piani di Bruxelles sull’uso dei beni russi. I funzionari americani avrebbero infatti comunicato agli Stati membri che gli asset servono per garantire la pace e non devono essere quindi impiegati per prolungare la guerra. Dall’altra parte, è evidente che alcuni leader europei abbiano una visione diametralmente opposta: nel tentativo di convincere il premier del Belgio, Bart De Wever, a dare il via libera sull’utilizzo degli asset congelati, il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, si è diretto a Bruxelles per cenare con lui e con il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Delle fonti tedesche hanno rivelato al Financial Times che «Merz crede che spetti a lui portare a termine» la faccenda. E con l’evidente obiettivo di ammorbidire le posizioni dell’osso duro De Wever, il portavoce del cancelliere tedesco, Sebastian Hille, ha affermato: «Il Belgio non può essere lasciato da solo con le sue riserve, che sono giustificate e vengono prese molto sul serio dal cancelliere». E quindi Berlino sarebbe disposta a condividere parte dei costi economici: «Il cancelliere ha detto che anche i membri europei potrebbero distribuirsi il peso dei rischi» ha concluso Hille.
Lo zar si erge a discepolo di Gandhi: «Mondo più giusto se multipolare»
Il viaggio di Vladimir Putin in India ha un peso politico, economico e soprattutto geopolitico determinante. L’incontro ufficiale con il primo ministro Narendra Modi è arrivato dopo un lungo colloquio e uno scambio di opinioni avvenuto il giorno prima, nel quale i due leader avevano tracciato gli argomenti da toccare nel faccia a faccia. L’India è ormai da tempo il Paese più popoloso del mondo e ha un’economia che cresce a un ritmo superiore al 7% annuo (la Cina fatica ad arrivare al 5%).
Nuova Delhi è da tempo protagonista delle dinamiche globali e anche l’Europa ne ha compreso l’importanza, ma l’India sta portando avanti una politica estera squisitamente indiana. Con la Cina, per esempio, nonostante l’ingombrante presenza di due giganti del continente asiatico e di problemi lungo il confine, non si vuole arrivare a uno scontro, semmai si collabora.
L’India è un membro fondatore, insieme a Cina e Russia, del gruppo economico dei Brics, un’alleanza nata in funzione anti-occidentale e che si è allargata fino a comprendere Paesi provenienti da tre continenti.
L’incontro di Modi con Putin è iniziato nel palazzo presidenziale insieme anche alla presidente Droupadi Murmu. La seconda tappa è stata al Raj Ghat, il monumento commemorativo del Mahatma Gandhi. Qui il presidente russo ha sottolineato quanto l’azione di Gandhi fosse simile a quello che sta facendo la Russia, ribadendo il concetto che Mosca lavora per la pace, un mondo multipolare e senza violenza, così come faceva il padre della patria indiano.
Il premier di Nuova Delhi ha definito l’incontro con Putin come qualcosa di storico per migliorare le relazioni fra le due nazioni. Questo summit, come ha tenuto a ribadire il consigliere presidenziale dello zar, Ushakov, è una tappa fondamentale per rafforzare le relazioni internazionali della Russia. Il discorso è ovviamente scivolato sulla necessità dell’India di materie prime per continuare a crescere. «La Russia è un fornitore affidabile di petrolio, gas, carbone e tutto ciò di cui l’India ha bisogno per il suo sviluppo energetico», ha dichiarato Putin. Modi ha ringraziato Mosca e ha sottolineato come la sicurezza energetica sia un pilastro della cooperazione bilaterale.
Proprio il petrolio russo è stato al centro di una importante disputa internazionale, perché Donald Trump voleva portare al tavolo delle trattative Putin obbligando Cina e India a non acquistare più il greggio russo. Le trattative per un cessate il fuoco in Ucraina stanno andando avanti e l’amministrazione Trump ha deciso di evitare uno scontro diretto ammorbidendo parzialmente le sanzioni.
L’India ha bisogno di continuare a produrre ed è un «animale energivoro» che necessita di trasformare la sua economia di servizi in economia industriale e lo può fare soltanto utilizzando combustibile. Pechino e Nuova Delhi sono diventati da tempo i migliori clienti di Mosca, e Putin sa benissimo l’importanza del mercato indiano per il petrolio, ma anche per il gas e il carbone russo. I due leader hanno dichiarato che i legami tra le due nazioni sono resilienti rispetto alle pressioni esterne. Non va infatti dimenticato che Mosca è anche il primo fornitore di armi delle forze armate indiane e in questo meeting la Russia ha detto di voler raggiungere i 100 miliardi di dollari di scambi entro il 2030.
Intanto si è deciso di favorire la mobilità di professionisti fra i due Paesi ed è stato firmato un accordo per la spedizione in Russia di prodotti marini e agricoli indiani.
- Intervistato da «India Today», il leader russo conferma le sue rivendicazioni ma anche la buona volontà di Donald Trump, che sospende alcune sanzioni contro Lukoil. Emmanuel Macron agli europei: «Temo il tradimento del tycoon».
- È la prima visita di Vladimir Putin a Nuova Delhi dall’inizio della guerra. Sul tavolo accordi su energia e armamenti. Ma è anche una dimostrazione a Donald Trump e Xi Jinping della propria indipendenza.
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A distanza di due giorni dall’incontro con la delegazione statunitense, il presidente russo Vladimir Putin, in un’intervista rilasciata a India Today, ha espresso piena fiducia nell’amministrazione americana nel condurre le trattative, ma allo stesso tempo ha confermato le sue rivendicazioni territoriali.
Sulla questione del Donbas ha infatti ribadito: «O liberiamo questi territori con la forza delle armi oppure le truppe ucraine se ne vanno e smettono di combattervi». Una prospettiva di dietrofront non è nemmeno contemplata per quanto riguarda l’adesione dell’Ucraina alla Nato: l’ipotesi resta «inaccettabile» sia perché «la Nato è una minaccia» per la Russia (ma anche per l’Europa), sia perché l’Ucraina «sin dall’indipendenza» ha affermato di essere «uno Stato neutrale». Se da una parte ha riconosciuto che «ogni Paese ha il diritto di scegliere i propri mezzi di difesa», dall’altra ha osservato «che non è accettabile che ciò avvenga alle spese della Russia». Rimane quindi cruciale trovare «un modo per garantire la sicurezza» di Kiev «senza mettere a repentaglio» quella di Mosca.
Putin ha anche fornito qualche dettaglio in più sul colloquio «molto importante» con l’inviato speciale americano, Steve Witkoff, e con Jared Kushner a Mosca, evidenziando quanto fosse necessario «ripassare quasi ogni punto» del piano di pace. Anche perché le proposte «contenevano questioni su cui la Russia non era d’accordo, ma ne abbiamo discusso». Ciò non toglie la fiducia riposta in Washington: lo stesso presidente russo ha ammesso che «raggiungere un consenso tra parti in conflitto non è un compito facile». Dunque, ha dichiarato: «Credo che dovremmo partecipare a questo sforzo piuttosto che ostacolare» le trattative. Ma, a differenza di quanto proposto dagli Stati Uniti, Mosca non ha alcuna intenzione di tornare a far parte del G8. Putin ha svelato di averlo comunicato direttamente allo stesso Witkoff: «Gli ho spiegato perché non sono più andato agli incontri del G8 nel passato». E nell’intervista ha colto l’occasione per lanciare una stoccata ai membri del G7 sottolineando che non comprende «perché continuino a definirsi Grandi» dato che sono «Paesi in declino».
Non ci sarebbero invece dubbi sulla genuinità del presidente americano, Donald Trump, nel volere la fine della guerra: «Sono assolutamente certo che miri sinceramente a una risoluzione pacifica», ha detto Putin. Ha però riconosciuto che dietro la volontà americana «potrebbero esserci anche interessi politici» o anche «motivazioni economiche» che ovviamente andrebbero a beneficio di entrambi. A tal proposito ha rivelato che la Russia ha ricevuto alcune lettere da parte di aziende americane: hanno chiesto «di non dimenticarsi della loro esistenza». Ha proseguito: «Si tratta di nostri ex partner che esprimono un chiaro desiderio di riprendere la cooperazione». Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno annunciato di aver sospeso alcune sanzioni imposte contro il colosso russo energetico Lukoil per permettere alle stazioni di servizio situate oltre i confini russi di continuare a operare, a patto però che i ricavi non siano convogliati verso la Russia.
A differenza di Putin, a non credere alle buone intenzioni del tycoon sono gli alleati europei. A rivelarlo è Der Spiegel. Nella video call che i leader hanno avuto lunedì sarebbe emersa tutta la diffidenza dell’Europa. Addirittura, il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe il timore che «gli Stati Uniti tradiscano l’Ucraina sul territorio senza chiarezza sulle garanzie di sicurezza». Una posizione simile sarebbe stata condivisa anche dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, che avrebbe consigliato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di essere «molto prudente in questi giorni», aggiungendo: «Stanno giocando con voi e con noi». E a non avere fiducia nelle capacità negoziali di Witkoff e Kushner sarebbero pure il presidente finlandese, Alexander Stubb, e il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Il primo avrebbe detto: «Non possiamo lasciare l’Ucraina e Volodymyr da soli con questi tizi». E il secondo avrebbe: «Dobbiamo proteggere Volodymyr».
E mentre la questione dell’utilizzo degli asset russi continua a tenere occupata Bruxelles, pare che il premier belga, Bart De Wever, abbia avuto un barlume di lucidità nella miopia europea. Ha ammesso al quotidiano belga La Libre Belgique che pensare che la Russia esca sconfitta dalla guerra è «una favola, un’illusione». E intervenendo sui beni russi, ha precisato: «Siamo pronti a fare sacrifici, ma non possiamo chiedere a questo Paese di fare l’impossibile». Ha quindi raccontato che sul dossier in questione esiste «una pressione incredibile». Rispolverando la storia, ha messo in luce che «rubare i beni congelati di un altro Paese, i suoi fondi sovrani, non è mai stato fatto. Si tratta del denaro della Banca centrale russa. Neppure durante la Seconda guerra mondiale si confiscò il denaro della Germania».
Le trattative in ogni caso proseguono: in Florida sono arrivati il negoziatore ucraino Rustem Umerov e il capo di stato maggiore delle forze armate ucraine, Andriy Hnatov, per un altro round di discussioni con gli americani.
Lo Zar in India: segnali a Usa e Cina
La Russia rafforza la sponda con l’India. Ieri sera Vladimir Putin è atterrato a Nuova Delhi, dove è stato calorosamente accolto da Narendra Modi. «Sono lieto di dare il benvenuto in India al mio amico, il presidente Putin», ha dichiarato il premier indiano su X, per poi aggiungere: «L’amicizia tra India e Russia è un’amicizia collaudata che ha portato grandi benefici al nostro popolo». In particolare, il capo del Cremlino guiderà una nutrita delegazione che, secondo Al Jazeera, include il ministro della Difesa russo, Andrei Belousov, oltre ad alti dirigenti di Rosoboronexport, Rosneft e Gazprom. Quella iniziata ieri è la prima visita dello zar in India da quando è scoppiato il conflitto ucraino. Modi, dal canto suo, si era recato in Russia l’anno scorso. Ci si attende che i due leader discuteranno di vari dossier: soprattutto commercio, energia e difesa. In questo quadro, Nuova Delhi sarebbe pronta a noleggiare per due miliardi di dollari un sottomarino a propulsione nucleare russo. Inoltre, secondo il Times of India, Mosca potrebbe garantire all’India la fornitura di missili aria-aria a lungo raggio R-37.
Ma qual è l’obiettivo geopolitico di Putin con questo viaggio? Cominciamo col dire che i rapporti tra Russia e India sono particolarmente saldi. Nuova Delhi non ha mai realmente voltato le spalle al Cremlino, nonostante l’invasione del 2022. Anzi, in occasione della conferenza di pace tenutasi in Svizzera a giugno 2024, l’India fu tra i Paesi che non firmarono il documento finale in cui si auspicava l’integrità territoriale dell’Ucraina. Inoltre, Russia e India intrattengono solidissimi legami nel settore dell’energia e della difesa: legami che, con questo viaggio, lo zar punta a irrobustire. E infatti, in un’intervista a India Today, il capo del Cremlino ha detto che la cooperazione energetica con l’India resta stabile. Non solo. L’arrivo di Putin a Nuova Delhi è avvenuto in una fase particolarmente delicata dei rapporti tra India e Stati Uniti. Non dimentichiamo che, negli scorsi mesi, si sono registrate notevoli tensioni tariffarie tra i due Paesi e che l’amministrazione Trump ha criticato gli indiani per i loro ingenti acquisti di petrolio russo: circostanza di cui lo zar si è lamentato parlando con India Today. Senza trascurare che sia Mosca che Nuova Delhi appartengono ai Brics: un blocco di cui la Casa Bianca teme gli storici propositi di de-dollarizzazione.
Insomma, il primo obiettivo di Putin è quello di lanciare un monito a Washington. Lo zar vuole far capire agli Stati Uniti di non essere isolato dal punto di vista internazionale e di essere pronto a incunearsi nelle relazioni tra India e Usa. Si tratta di un modo con cui il presidente russo punta indirettamente a rafforzare la propria posizione negoziale nel processo diplomatico ucraino. Ma Putin sta cercando di lanciare anche un secondo monito, e il destinatario è la Cina. Senza dubbio, negli ultimi mesi lo stato dei rapporti tra Pechino e Nuova Delhi è migliorato. È tuttavia anche vero che permangono vari punti di attrito tra i due giganti. E Putin punta ad approfittarne. Consolidando la sponda con l’India, lo zar cerca infatti di rendere meno soffocante il suo abbraccio con Xi Jinping. In altre parole, Nuova Delhi, nella strategia dello zar, rappresenta un fattore utile a controbilanciare Pechino.
Si tratta di una logica che, a suo modo, è anche Modi a seguire. Il premier indiano vuole rinsaldare la sponda col Cremlino per lanciare un duplice avvertimento: uno a Washington e l’altro a Pechino. Modi mira a rafforzare la sua posizione nei negoziati commerciali con gli Usa e, al contempo, a incrementare la propria sicurezza energetica e militare nei confronti del Dragone. Chiaramente il premier indiano dovrà essere più cauto dello zar, perché ha comunque necessità di preservare i legami tanto con gli Usa quanto con l’Ue.
- L’ira dell’ex plenipotenziario, coinvolto nel caso mazzette: «C’è chi conosce la verità eppure non mi sostiene». Via al risiko per la successione nel gabinetto del presidente. Sul quale il popolo mormora: poteva non sapere?
- Ancora raid sulle centrali: in 600.000 al buio nell’area della capitale. La resistenza colpisce petroliere nemiche.
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«Vado al fronte e sono pronto a qualsiasi rappresaglia. Sono una persona onesta e perbene». Con queste parole, Andriy Yermak si è rivolto al New York Post venerdì sera, poco dopo il suo passo indietro da capo di gabinetto dell’Ufficio presidenziale ucraino. «Ho servito l’Ucraina ed ero a Kiev il 24 febbraio 2022. Forse ci rivedremo. Gloria all’Ucraina», ha proseguito. «Sono stato dissacrato e la mia dignità non è stata tutelata, nonostante sia a Kiev dal 24 febbraio 2022. Pertanto, non voglio creare problemi a Zelensky; andrò al fronte», ha aggiunto, per poi concludere: «Sono disgustato dalla sporcizia che mi viene rivolta contro, e ancora più disgustato dalla mancanza di sostegno da parte di coloro che conoscono la verità». Non è al momento chiaro se l’ex capo di gabinetto abbia intenzione di arruolarsi direttamente nelle forze armate di Kiev o se si tratti di un modo per allontanarsi dai riflettori. Intanto, al Financial Times ha giurato di non essere risentito con il presidente.
Il passo indietro di Yermak è arrivato l’altro ieri, dopo che l’autorità anticorruzione aveva fatto perquisire la sua abitazione. Formalmente, il diretto interessato si è dimesso dal suo incarico. Eppure, un decreto presidenziale, datato 28 novembre, parla di una sua «rimozione». Secondo il Ny Post, la perquisizione ai danni dell’ex capo di gabinetto è avvenuta nell’ambito di un’operazione, condotta dall’autorità anticorruzione, denominata «Midas». In particolare, secondo la testata della Grande Mela, sotto la lente d’ingrandimento è finito «un piano che avrebbe costretto gli appaltatori di Energoatom a sborsare tangenti dal 10% al 15%, altrimenti avrebbero rischiato di essere inseriti in una blacklist». Stando agli inquirenti, le persone coinvolte (tra oligarchi, ministri ed ex soci dello stesso Volodymyr Zelensky) avrebbero racimolato indebitamente almeno 100 milioni di dollari. In particolare, fonti delle forze dell’ordine hanno riferito al Kyiv Independent che una delle case di lusso finanziate attraverso questo piano corruttivo sarebbe andata proprio a Yermak, il cui nome in codice nell’indagine risulterebbe «Alì Babà». Non solo. Secondo la stessa testata, il diretto interessato potrebbe anche essere incriminato molto presto.
Ora, lo scossone che ha colpito l’ex capo di gabinetto sta già avendo delle profonde ripercussioni politiche. Zelensky, che è sempre più debole sul piano interno, dovrà presto scegliere un successore per questo delicato ruolo. Tra i candidati a sostituire Yermak figurano soprattutto il primo ministro Yuliia Svyrydenko, il ministro per la trasformazione digitale Mykhailo Fedorov, il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov e il ministro della Difesa Denys Shmyhal. È in questo quadro che la Cnn si è chiesta se, dopo l’uscita di scena di Yermak, Zelensky riuscirà a rafforzarsi o meno. Secondo un ex funzionario ucraino ascoltato dalla testata statunitense, l’addio dell’ex capo di gabinetto sarebbe arrivato troppo tardi, in quanto «molti ucraini ora si chiederanno che cosa sapesse Zelensky delle azioni di Yermak». Ricordiamo che i due si conoscono dal 2011 e che, prima di diventare capo di gabinetto nel 2020, il diretto interessato aveva lavorato nella campagna elettorale dell’attuale presidente ucraino.
Ma non è finita qui. Un ulteriore nodo è quello dei negoziati relativi al conflitto russo-ucraino. Yermak era infatti il capo della delegazione di Kiev: era lui che, la settimana scorsa, si era incontrato a Ginevra con il segretario di Stato americano, Marco Rubio, per discutere e modificare il piano di pace statunitense. Ieri, Zelensky ha scelto come nuovo capo delegazione il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina, Rustem Umerov: quest’ultimo guiderà adesso il team negoziale ucraino che si trova negli Stati Uniti. In particolare, Zelensky ha affermato che il compito di Umerov sarà quello di «individuare rapidamente e in modo sostanziale le misure necessarie per porre fine alla guerra». «L’Ucraina continua a collaborare con gli Stati Uniti nel modo più costruttivo possibile e ci aspettiamo che i risultati degli incontri di Ginevra vengano ora elaborati negli Stati Uniti», ha aggiunto il presidente ucraino. Il punto è che anche Umerov è stato quantomeno lambito dallo scandalo esploso ai vertici di Kiev: alcuni giorni fa, è stato infatti interrogato dall’autorità anticorruzione. E da gennaio è indagata in un altro filone per abuso di potere.
Ora, per Zelensky si prospettano non poche difficoltà. Sul piano interno, bisognerà vedere chi nominerà come capo di gabinetto al posto di Yermak e anche capire se sarà capace di uscire indenne da una bufera che sembra intensificarsi. Sul piano internazionale, è verosimile che la vicenda Yermak possa contribuire a indebolire la posizione negoziale di Kiev, proprio a pochi giorni dal viaggio dell’inviato americano, Steve Witkoff, in Russia, per incontrare Vladimir Putin. Infine, un aspetto interessante è che le due dimensioni - quella interna e quella internazionale - si saldano soprattutto su un punto. Non è un mistero che l’amministrazione Trump voglia rapidamente delle elezioni presidenziali in Ucraina. Addirittura, nella bozza originaria - quella in 28 punti - del piano di pace statunitense era previsto che il governo di Kiev organizzasse elezioni entro 100 giorni dall’eventuale firma di un accordo tra russi e ucraini. Non è al momento dato sapere se nella nuova versione della proposta di pace tale punto sia stato mantenuto. È tuttavia probabile che la Casa Bianca torni a battere su questo tasto. E potrebbe far leva proprio sulla questione Yermak.
Nella nebbia di Pokrovsk rispuntano i russi
Le condizioni meteorologiche mettono di nuovo sotto scacco i soldati ucraini. Oltre alle truppe russe, ad avanzare su Pokrovsk è anche la nebbia che, anzi, copre l’incursione dell’invasore.
A riferirlo è un comunicato del Settimo corpo delle forze d’assalto aereo: «La fitta nebbia che è rimasta sopra la città per tutto il giorno ieri (venerdì, ndr) ha complicato significativamente il lavoro delle unità ucraine, in particolare della ricognizione aerea. Questo limita la visibilità, così come la capacità di rilevare e distruggere il nemico». Ad approfittare del maltempo, appunto, sono le forze russe: a detta dei funzionari militari ucraini, stanno sfruttando la visibilità ridotta per preparare un’altra offensiva, avendo anche «l’opportunità di portare più personale nella città». Poco prima, ad annunciare l’avanzata delle truppe di Mosca nella parte orientale di Pokrovsk è stato il ministero della Difesa russo, che ha anche aggiunto che le forze armate stanno «continuando a bonificare» il villaggio di Rivne.
Oltre ai progressi sul campo, Mosca continua a bersagliare l’Ucraina con raid estesi. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha comunicato che nella notte la Russia ha lanciato «36 missili e 600 droni», prendendo di mira «strutture energetiche e civili». A scagliarsi contro Mosca, facendo riferimento alle trattative in corso, è stato il ministro degli Esteri, Andrii Sybiha, che ha dichiarato: «Mentre tutti discutono i punti dei piani di pace, la Russia continua a perseguire il suo piano di guerra in due punti: uccidere e distruggere». E la capitale ucraina è stata la più attaccata: diversi edifici residenziali sono stati distrutti e lungo l’autostrada Kharkiv motorway, oltre 600 balconi e finestre sono stati danneggiati. Al bilancio totale di tre morti e decine di feriti si aggiunge l’emergenza dei blackout. E a soffrirne è soprattutto Kiev. Il ministero dell’Energia ucraino ha dichiarato che sono più di 600.000 le persone senza elettricità: «oltre 500.000 utenti» si trovano a Kiev, «più di 100.000 nella regione capitale» e «quasi 8.000 nella regione di Kharkiv». Interpellato dal Kyiv Independent, il ceo di Ukrenergo, Vitaliy Zaichenko, ha ammesso che «le linee di trasmissione sono state danneggiate e quasi metà di Kiev è senza elettricità». Nel pomeriggio, l’energia elettrica è stata ripristinata per 360.000 utenti, ma «nei distretti di Obolonskyi, Shevchenkivskyi, Podilskyi, Solomianskyi e Sviatoshynskyi» gli abitanti sono rimasti senza riscaldamento.
Dall’altra parte della barricata, mentre Mosca ha fatto sapere di aver intercettato e abbattuto 103 velivoli senza pilota ucraini, Kiev ha rivendicato un attacco contro due petroliere russe sul Mar Nero che però erano vuote. A fornire maggiori dettagli è stata una fonte del Servizio di sicurezza ucraino (Sbu): ha rivelato che i droni navali denominati Sea baby hanno preso di mira le navi Kairos e Virat della flotta ombra russa mentre erano «in rotta verso il porto russo di Novorossijsk». A tal proposito un funzionario ucraino ha raccontato a Reuters: «Un video mostra che, dopo essere state colpite, entrambe le petroliere hanno subito danni critici e sono state di fatto messe fuori servizio». E si è detto convinto che «questo infliggerà un duro colpo al trasporto petrolifero russo». A intervenire in merito è stato anche il ministero dei Trasporti turco: la petroliera Kairos, dopo essere stata colpita, ha preso fuoco venerdì quando era in rotta dall’Egitto verso la Russia. La Virat invece è stata attaccata di nuovo ieri mattina, riportando però dei danni lievi.
Nei pressi dello stesso porto verso cui erano dirette le petroliere ombra, quello di Novorossijsk, un terminal petrolifero si è trovato costretto a mettere in standby le operazioni dopo essere stato attaccato da un altro drone navale ucraino. «A seguito di un attacco terroristico mirato da parte di imbarcazioni senza pilota, l’unico ormeggio numero 2 ha subito danni significativi. Le operazioni di carico e altre operazioni sono state interrotte e le petroliere sono state dirottate fuori dalle acque del Cpc», ha reso noto il Caspian pipeline consortium (Cpc), gestore dell’1% delle forniture mondiali di petrolio. Il Kazakistan, che è il principale fornitore, ha definito inaccettabile l’attacco ucraino. Altri droni lanciati da Kiev hanno colpito la raffineria di petrolio Afipsky, situata nel territorio di Krasnodar, causando un incendio poi domato. Sebbene non siano stati registrati feriti, alcune attrezzature tecniche sono state danneggiate, mentre i serbatoi sono rimasti indenni.





