Prosegue il processo diplomatico ucraino. Kiev ha infatti inoltrato agli Stati Uniti le proprie correzioni al piano di pace. «Non si tratta di una nuova versione, si tratta degli stessi 20 punti, solo che alcuni sono stati leggermente ripensati», ha riferito ieri un funzionario ucraino ad Abc News, sottolineando che la bozza contiene «alcune nuove idee» sul destino dei territori e della centrale nucleare di Zaporizhia.
«Al momento, ci sono tre documenti: i 20 punti fondamentali, le garanzie di sicurezza e il documento sull’economia e la ricostruzione», ha proseguito il funzionario. Sempre ieri, Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio, da lui stesso definito «costruttivo e approfondito», sulle garanzie di sicurezza con alcuni alti funzionari americani: il segretario di Stato, Marco Rubio, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, e l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff.
Nel frattempo, le relazioni transatlantiche si stanno facendo sempre più tese. Mercoledì sera, Donald Trump ha commentato aspramente la telefonata che, alcune ore prima, aveva avuto con Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron.
«Abbiamo parlato con i leader di Francia, Germania e Regno Unito, tutti ottimi leader, miei cari amici. E abbiamo discusso dell’Ucraina con parole piuttosto forti. E vedremo cosa succede. Voglio dire, stiamo aspettando di sentire le risposte», ha dichiarato il presidente americano, che ha anche rivelato di essere stato invitato a un incontro in Europa, dedicato alla questione delle garanzie di sicurezza. «Prima di andare a un incontro, vogliamo sapere alcune cose», ha affermato, per poi aggiungere: «Vorrebbero che andassimo a un incontro nel fine settimana in Europa, e prenderemo una decisione, a seconda di cosa ci diranno. Non vogliamo perdere tempo». In tal senso, la Casa Bianca ha fatto sapere che Trump non ha ancora deciso se mandare o meno un rappresentante al vertice di Parigi in programma sabato.
È in questo quadro che, ieri, Merz ha chiesto agli Stati Uniti di partecipare a un meeting che dovrebbe tenersi all’inizio della prossima settimana a Berlino. Il cancelliere tedesco ha inoltre sottolineato che il principale nodo sul tavolo risiede in «quali concessioni territoriali l’Ucraina è disposta a fare». Lunedì scorso, Zelensky aveva escluso delle cessioni di territorio, ribadendo una linea in netto contrasto con quella della Casa Bianca che, ormai da tempo, sta cercando di convincere il presidente ucraino a rinunciare al Donbass. A tal proposito, ieri Zelensky ha confermato che le questioni territoriali (soprattutto quelle del Donetsk e di Zaporizhia) sono ancora «in discussione» e che, secondo lui, dovrebbero essere decise tramite «elezioni o referendum. Deve esserci una posizione del popolo ucraino». Ha inoltre aggiunto che gli Usa vorrebbero creare una «zona economica libera» nell’area di Donbass che Kiev, stando ai desiderata della Casa Bianca, dovrebbe eventualmente abbandonare. Infine, secondo il leader ucraino, Washington ritiene che un cessate il fuoco totale sia possibile solo a seguito della firma di un accordo quadro. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, Trump si era detto «deluso» da Zelensky, accusando inoltre i leader europei di debolezza. A complicare ulteriormente le relazioni transatlantiche ci si è poi messo Macron che, la scorsa settimana, si è recato in Cina, tentando maldestramente di avviare un processo di pace alternativo a quello condotto da Washington.
Mosca, dal canto suo, ha invece espresso sintonia con la Casa Bianca. «Di recente, quando il rappresentante speciale del presidente Trump, Stephen Witkoff, è stato qui, dopo il suo incontro con Vladimir Putin, entrambe le parti, russa e americana, hanno confermato le intese reciproche raggiunte in Alaska», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «L’essenza di queste intese è che l’Ucraina deve tornare ai fondamenti non allineati, neutrali e non nucleari del suo Stato», ha aggiunto. «Dobbiamo dare il giusto riconoscimento al leader americano: dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, ha affrontato seriamente la questione. A nostro avviso, si sta impegnando sinceramente per contribuire a risolvere il conflitto attraverso mezzi politici e diplomatici», ha proseguito. Non solo. Sempre ieri, Mosca ha mostrato apprezzamento verso l’eventualità, rivelata dal Wall Street Journal, che, nel quadro di un potenziale accordo di pace, Washington possa effettuare investimenti in energia russa. «Siamo interessati a un afflusso di investimenti esteri», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ciò detto, ieri la Casa Bianca ha detto che il presidente americano è «estremamente frustrato» tanto da Kiev quanto da Mosca.
Trump punta a chiudere la crisi ucraina per sganciare Mosca da Pechino, facendo leva su economia e commercio. Vladimir Putin, dal canto suo, ha bisogno della Casa Bianca per cercare di riacquisire influenza in Medio Oriente: lo zar vuole infatti recuperare terreno in Siria e ritagliarsi il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran sul nucleare. Ebbene, davanti ai significativi interessi che stanno alla base del riavvicinamento tra Usa e Russia, gli europei fanno fatica a ritagliarsi un ruolo diplomatico, oltreché geopolitico, di peso.
- Il «Washington Post»: nel piano di pace, l’adesione dell’Ucraina è anticipata al 2027. Telefonata tra Donald Trump, Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron. Colloquio di Volodymyr Zelensky con i delegati Usa e Larry Fink. BlackRock sulla ricostruzione. Oggi nuova riunione dei volenterosi.
- Bart De Wever: «Tensione alta». Intanto spunta pure la grana degli arbitrati per 53 miliardi.
Lo speciale contiene due articoli
Il processo diplomatico ucraino è a una svolta? Per il momento, non è facile dare una risposta. Ieri, Volodymyr Zelensky ha annunciato che Kiev era pronta a inoltrare agli Stati Uniti la propria versione della proposta di pace. «Parallelamente, stiamo ultimando i lavori su 20 punti di un documento fondamentale che può determinare i parametri per porre fine alla guerra e prevediamo di trasferire il documento agli Stati Uniti nel prossimo futuro, dopo il nostro lavoro congiunto con la squadra del presidente Trump e i partner in Europa», ha affermato. Sempre ieri, il presidente ucraino ha reso noto di aver avuto una discussione «produttiva» sulla ricostruzione dell’Ucraina con il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, con il genero di Donald Trump, Jared Kushner, e con il ceo di BlackRock, Larry Fink.
Nel frattempo, il Washington Post ha riferito che gli Stati Uniti punterebbero a risolvere la crisi ucraina, ricorrendo a uno scenario di tipo coreano. In altre parole, si stabilirebbe un cessate il fuoco lungo l’attuale linea di contatto e verrebbe successivamente istituita una zona demilitarizzata. In questo quadro, l’Ucraina risulterebbe «una nazione sovrana, i cui confini sono protetti da garanzie di sicurezza internazionali, che fa parte dell’Unione europea e che ricostruirà la sua economia con grandi investimenti da parte degli Stati Uniti e dell’Europa». Secondo la testata americana, l’amministrazione Trump riterrebbe probabile un ingresso di Kiev nell’Ue nel 2027, superando il veto dell’Ungheria. Dall’altra parte, le garanzie di sicurezza fornite all’Ucraina ricalcherebbero quelle dell’articolo 5 della Nato. Inoltre, la centrale nucleare di Zaporizhia non cadrebbe in mani russe, ma potrebbe essere direttamente gestita dagli Stati Uniti. Infine, i beni russi congelati dovrebbero essere trasferiti, almeno in parte, all’Ucraina, per renderne possibile la ricostruzione e rilanciarne lo sviluppo economico. A tal proposito, BlackRock potrebbe creare un fondo di sviluppo per la ricostruzione dal valore di 400 miliardi di dollari. Non è tuttavia al momento chiaro come verrà risolta la spinosissima questione dei territori. «Stiamo pensando di rinunciare a qualche territorio? Non ne abbiamo alcun diritto legale - secondo la legge ucraina, secondo la nostra Costituzione, secondo il diritto internazionale - e onestamente, non ne abbiamo nemmeno alcun diritto morale», ha dichiarato Zelensky lunedì scorso, ribadendo una posizione in contrasto con quella della Casa Bianca. Donald Trump sta infatti cercando di convincere da tempo il presidente ucraino a cedere alcune aree, a partire dal Donbass. Nel frattempo, ieri è tornato a parlare il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «Risponderemo a qualsiasi azione ostile, incluso il dispiegamento di contingenti militari europei in Ucraina e l’espropriazione di beni russi. E siamo già preparati a questa risposta», ha dichiarato. Oltre ad accusare gli europei di «ostacolare artificialmente» i negoziati di pace, Lavrov ha anche definito Trump come «l’unico leader occidentale» che «comprende le ragioni che hanno reso inevitabile la guerra in Ucraina». Frattanto, sempre ieri, Trump ha avuto un colloquio telefonico con Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron. «I leader hanno discusso le ultime novità sui colloqui di pace in corso guidati dagli Stati Uniti, accogliendo con favore i loro sforzi per raggiungere una pace giusta e duratura per l’Ucraina e per porre fine alle uccisioni», ha reso noto Downing Street, per poi aggiungere: «Hanno convenuto che questo è un momento critico per l’Ucraina, il suo popolo e per la sicurezza condivisa nella regione euro-atlantica». Il colloquio di ieri è arrivato dopo giorni di tensione tra la Casa Bianca e il Vecchio Continente. Basti pensare che, in una recentissima intervista a Politico, il presidente americano aveva bollato i leader europei come «deboli». Tutto questo, mentre, negli scorsi giorni, è tornata a crescere l’irritazione di Trump verso Zelensky, il quale ha annunciato per oggi una nuova riunione dei volenterosi.
In tutto questo, ieri il presidente ucraino ha lanciato l’allarme sui legami tra Mosca e Pechino. «La Cina sta adottando misure per intensificare la cooperazione con la Russia, in particolare nel campo dell’industria militare. I servizi di intelligence dei partner dispongono di informazioni simili», ha dichiarato. Ricordiamo che, appena pochi giorni fa, Macron si è recato nella Repubblica popolare cinese, dove, cercando di imbastire un processo diplomatico alternativo a quello della Casa Bianca, ha chiesto a Xi Jinping di fare pressioni sul Cremlino, per convincerlo ad accettare un cessate il fuoco. Del resto, è proprio l’atteggiamento dell’inquilino dell’Eliseo a costituire una delle principali cause degli attuali attriti tra Stati Uniti e Vecchio Continente. Oltre a creare fibrillazioni con tra gli europei e Washington, il presidente francese rischia adesso di scontentare anche lo stesso Zelensky, di cui, almeno a parole, si professa un alleato granitico. È infatti tutto da dimostrare che Pechino auspichi realmente una conclusione della crisi ucraina.
Ursula tira dritto sugli asset russi ma il Belgio minaccia di fare ricorso
Mentre Bruxelles, sorda agli avvertimenti di Euroclear, della Bce, e del premier belga Bart De Wever, continua la sua crociata kamikaze per utilizzare i beni russi congelati a sostegno di Kiev, emergono pure degli arbitrati che dovrebbero essere più che sufficienti per considerare una marcia indietro.
La European trade justice coalition (Etjc), ovvero la rete europea di Ong e gruppi della società civile che monitora le politiche commerciali Ue, ha messo in luce che gli oligarchi russi e le aziende colpite dalle sanzioni hanno avviato arbitrati in Europa per oltre 53 miliardi di euro. Si tratta di una cifra enorme: basti pensare che raggiunge quasi l’assistenza militare fornita dall’Ue all’Ucraina dall’inizio della guerra. Trovandosi con i propri beni congelati, gli oligarchi usano il meccanismo per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati, denominato Isds: previsto nell’ambito di Trattati bilaterali di investimento (Bit) tra due Paesi, permette agli investitori internazionali «danneggiati» da cambiamenti giuridici o politici di rivolgersi al tribunale arbitrale internazionale. Questa dinamica non dovrebbe essere presa sottogamba, visto che solamente nel 2025 è stata avviata o annunciata più della metà dei 28 ricorsi, tramite società registrate sul territorio europeo.
Uno dei casi più rilevanti riguarda la richiesta di 13,7 miliardi di euro avanzata dall’oligarca russo, Mikhail Fridman, contro il Lussemburgo. Passando al Belgio, quattro investitori russi con i fondi bloccati in Euroclear hanno notificato a settembre la volontà di avviare arbitrati. D’altronde a ottobre, lo stesso De Wever ha fatto presente ai leader europei che l’iniziativa della Commissione sugli asset congelati avrebbe potuto violare gli accordi bilaterali di investimenti con la Russia. Proseguendo con i casi citati da Etjc, la compagnia petrolifera russa Rosneft ha minacciato una causa contro la Germania per aver messo sotto tutela i suoi beni per quasi 6 miliardi di euro. E anche in Francia e nel Regno Unito sono state avviate azioni legali.
Quest’ultimo tassello pare non frenare Bruxelles. Secondo il Financial Times, l’Ue mira ad approvare già questa settimana la decisione per immobilizzare a tempo indeterminato i beni russi congelati. In questo modo, scavalcando il rinnovo delle sanzioni ogni sei mesi, non servirebbe il voto all’unanimità, aggirando quindi il veto del premier ungherese, Viktor Orbán. A promettere battaglia contro Bruxelles è De Wever. «La partita non è finita e la tensione rimarrà alta fino all’ultimo momento» ha detto alla Camera dei rappresentanti, annunciando che non esclude un’azione legale qualora l’Ue procedesse senza considerare i rischi che gravano sul Belgio. Ha anche reso noto che Euroclear sta valutando la possibilità di ricorrere alla Corte europea.
Un altro paradosso riguarda la fornitura di armi all’Ucraina. Sono in corso, infatti, le trattative tra Varsavia e Kiev: la Polonia invierebbe i jet MiG-29 all’Ucraina che, in cambio, trasferirebbe a Varsavia la tecnologia per droni. A tal proposito, su X, lo Stato Maggiore delle forze armate polacche ha dichiarato che «questa solidarietà deve essere reciproca». Ma la «solidarietà reciproca» non è tanto a vantaggio di Kiev, visto che si tratta di aerei da mandare in pensione. Il ministro della Difesa polacco, Wladyslaw Kosiniak-Kamysz, ha detto in radio: «Tra qualche tempo, gli aerei MiG-29 non saranno più in servizio nell’aeronautica militare polacca a causa della loro vita operativa ormai esaurita». Sulla stessa linea, lo Stato Maggiore dell’esercito della Polonia ha spiegato che l’eventuale trasferimento deriva dalla mancanza di iniziative per modernizzare i vecchi caccia di progettazione sovietica.
Il tour europeo di Volodymyr Zelensky è passato anche dall’Italia. Ieri, il presidente ucraino era infatti a Roma, dove, nel pomeriggio, è stato ricevuto per un’ora e mezza a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni.
«Nel corso dell’incontro, i due leader hanno analizzato lo stato di avanzamento del processo negoziale e condiviso i prossimi passi da compiere per il raggiungimento di una pace giusta e duratura per l’Ucraina», recita una nota di Palazzo Chigi. «I due leader hanno inoltre ricordato l’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e americani e del contributo europeo a soluzioni che avranno ripercussioni sulla sicurezza del continente», prosegue il comunicato, secondo cui i due leader hanno anche discusso delle garanzie di sicurezza per Kiev. «Ho incontrato la presidente del Consiglio dei ministri italiana Giorgia Meloni a Roma. Abbiamo avuto un ottimo colloquio, molto approfondito su tutti gli aspetti della situazione diplomatica. Apprezziamo il fatto che l’Italia sia attiva nella ricerca di idee efficaci e nella definizione di misure per avvicinare la pace», ha dichiarato il presidente ucraino al termine del bilaterale. «Ho informato il presidente del lavoro del nostro team negoziale e del coordinamento diplomatico», ha proseguito Zelensky, per poi aggiungere: «Contiamo molto sul sostegno italiano anche in futuro: è importante per l’Ucraina. Vorrei ringraziare in modo particolare per il pacchetto di sostegno energetico e le attrezzature necessarie».
Sempre ieri, in mattinata, il presidente ucraino è stato ricevuto a Castel Gandolfo da Leone XIV, in quello che è stato il secondo incontro tra i due. «Durante il cordiale colloquio, il quale ha avuto al centro la guerra in Ucraina, il Santo Padre ha ribadito la necessità di continuare il dialogo e rinnovato il pressante auspicio che le iniziative diplomatiche in corso possano portare ad una pace giusta e duratura», recita una nota della Santa Sede. «Inoltre, non è mancato il riferimento alla questione dei prigionieri di guerra e alla necessità di assicurare il ritorno dei bambini ucraini alle loro famiglie», si legge ancora. «L’Ucraina apprezza profondamente tutto il sostegno di Sua Santità Leone XIV e della Santa Sede», ha affermato, dal canto suo, Zelensky. «Durante l’udienza di oggi con Sua Santità, l’ho ringraziato per le sue costanti preghiere a favore dell’Ucraina e del popolo ucraino, nonché per i suoi appelli a favore di una pace giusta. Ho informato il papa degli sforzi diplomatici con gli Stati Uniti per raggiungere la pace. Abbiamo discusso di ulteriori azioni e della mediazione del Vaticano volta a restituire i nostri figli rapiti dalla Russia», ha aggiunto. «Ho invitato il papa a visitare l’Ucraina. Questo sarebbe un forte segnale di sostegno al nostro popolo», ha concluso il presidente ucraino.
Ricordiamo che, lunedì, Zelensky aveva incontrato a Londra Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz. Sempre lunedì, il presidente ucraino si era inoltre visto a Bruxelles con il segretario generale della Nato, Mark Rutte, in un meeting a cui avevano partecipato anche il capo della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa.
Il tour europeo del presidente ucraino è avvenuto in un momento particolarmente delicato per lui. Innanzitutto, il diretto interessato è indebolito dallo scandalo che ha recentemente investito Andrii Yermak: proprio ieri, secondo il Kyiv Independent, Zelensky avrebbe individuato la rosa di nomi da cui sceglierà il suo successore come capo dell’Ufficio presidenziale di Kiev (dal direttore dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, al ministro della Difesa, Denys Shmyhal). La caduta di Yermak ha fiaccato il potere negoziale del leader ucraino, mentre da Washington continuano ad arrivare pressioni affinché si tengano presto delle elezioni presidenziali in Ucraina. «Sono sempre pronto alle elezioni», ha detto ieri Zelensky, rispondendo indirettamente a Donald Trump che, parlando con Politico, era tornato a chiedere una nuova consultazione elettorale.
E qui arriviamo al secondo nodo. I rapporti tra Zelensky e la Casa Bianca sono tornati a farsi tesi. Nei giorni scorsi, il presidente americano si è infatti detto «deluso» dall’omologo ucraino. «Devo dire che sono un po’ deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta di pace, era solo poche ore fa», aveva detto Trump. A questo si aggiunga che, sempre negli ultimi giorni, l’inquilino della Casa Bianca ha criticato notevolmente l’Europa. «L’Europa non sta facendo un buon lavoro sotto molti aspetti», ha per esempio affermato nella sua recente intervista a Politico. Se da una parte cerca la sponda europea come copertura politica davanti alle tensioni tra Kiev e Washington, Zelensky non può però al contempo ignorare le fibrillazioni che si registrano tra gli Stati Uniti e il Vecchio Continente. È quindi probabilmente anche in questo senso che va letta la visita romana del presidente ucraino. In altre parole, non si può escludere che Zelensky punti a far leva sui solidi rapporti che intercorrono tra Trump e la Meloni per cercare di riportare (almeno in parte) il sereno nelle sue relazioni con la Casa Bianca. In tal senso, non va trascurato l’impegno profuso dall’inquilina di Palazzo Chigi volto a preservare la stabilità dei legami transatlantici: un impegno che la Meloni ha sempre portato avanti in netto contrasto con la linea di Macron.





