- Intervistato da «India Today», il leader russo conferma le sue rivendicazioni ma anche la buona volontà di Donald Trump, che sospende alcune sanzioni contro Lukoil. Emmanuel Macron agli europei: «Temo il tradimento del tycoon».
- È la prima visita di Vladimir Putin a Nuova Delhi dall’inizio della guerra. Sul tavolo accordi su energia e armamenti. Ma è anche una dimostrazione a Donald Trump e Xi Jinping della propria indipendenza.
Lo speciale contiene due articoli
A distanza di due giorni dall’incontro con la delegazione statunitense, il presidente russo Vladimir Putin, in un’intervista rilasciata a India Today, ha espresso piena fiducia nell’amministrazione americana nel condurre le trattative, ma allo stesso tempo ha confermato le sue rivendicazioni territoriali.
Sulla questione del Donbas ha infatti ribadito: «O liberiamo questi territori con la forza delle armi oppure le truppe ucraine se ne vanno e smettono di combattervi». Una prospettiva di dietrofront non è nemmeno contemplata per quanto riguarda l’adesione dell’Ucraina alla Nato: l’ipotesi resta «inaccettabile» sia perché «la Nato è una minaccia» per la Russia (ma anche per l’Europa), sia perché l’Ucraina «sin dall’indipendenza» ha affermato di essere «uno Stato neutrale». Se da una parte ha riconosciuto che «ogni Paese ha il diritto di scegliere i propri mezzi di difesa», dall’altra ha osservato «che non è accettabile che ciò avvenga alle spese della Russia». Rimane quindi cruciale trovare «un modo per garantire la sicurezza» di Kiev «senza mettere a repentaglio» quella di Mosca.
Putin ha anche fornito qualche dettaglio in più sul colloquio «molto importante» con l’inviato speciale americano, Steve Witkoff, e con Jared Kushner a Mosca, evidenziando quanto fosse necessario «ripassare quasi ogni punto» del piano di pace. Anche perché le proposte «contenevano questioni su cui la Russia non era d’accordo, ma ne abbiamo discusso». Ciò non toglie la fiducia riposta in Washington: lo stesso presidente russo ha ammesso che «raggiungere un consenso tra parti in conflitto non è un compito facile». Dunque, ha dichiarato: «Credo che dovremmo partecipare a questo sforzo piuttosto che ostacolare» le trattative. Ma, a differenza di quanto proposto dagli Stati Uniti, Mosca non ha alcuna intenzione di tornare a far parte del G8. Putin ha svelato di averlo comunicato direttamente allo stesso Witkoff: «Gli ho spiegato perché non sono più andato agli incontri del G8 nel passato». E nell’intervista ha colto l’occasione per lanciare una stoccata ai membri del G7 sottolineando che non comprende «perché continuino a definirsi Grandi» dato che sono «Paesi in declino».
Non ci sarebbero invece dubbi sulla genuinità del presidente americano, Donald Trump, nel volere la fine della guerra: «Sono assolutamente certo che miri sinceramente a una risoluzione pacifica», ha detto Putin. Ha però riconosciuto che dietro la volontà americana «potrebbero esserci anche interessi politici» o anche «motivazioni economiche» che ovviamente andrebbero a beneficio di entrambi. A tal proposito ha rivelato che la Russia ha ricevuto alcune lettere da parte di aziende americane: hanno chiesto «di non dimenticarsi della loro esistenza». Ha proseguito: «Si tratta di nostri ex partner che esprimono un chiaro desiderio di riprendere la cooperazione». Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno annunciato di aver sospeso alcune sanzioni imposte contro il colosso russo energetico Lukoil per permettere alle stazioni di servizio situate oltre i confini russi di continuare a operare, a patto però che i ricavi non siano convogliati verso la Russia.
A differenza di Putin, a non credere alle buone intenzioni del tycoon sono gli alleati europei. A rivelarlo è Der Spiegel. Nella video call che i leader hanno avuto lunedì sarebbe emersa tutta la diffidenza dell’Europa. Addirittura, il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe il timore che «gli Stati Uniti tradiscano l’Ucraina sul territorio senza chiarezza sulle garanzie di sicurezza». Una posizione simile sarebbe stata condivisa anche dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, che avrebbe consigliato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di essere «molto prudente in questi giorni», aggiungendo: «Stanno giocando con voi e con noi». E a non avere fiducia nelle capacità negoziali di Witkoff e Kushner sarebbero pure il presidente finlandese, Alexander Stubb, e il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Il primo avrebbe detto: «Non possiamo lasciare l’Ucraina e Volodymyr da soli con questi tizi». E il secondo avrebbe: «Dobbiamo proteggere Volodymyr».
E mentre la questione dell’utilizzo degli asset russi continua a tenere occupata Bruxelles, pare che il premier belga, Bart De Wever, abbia avuto un barlume di lucidità nella miopia europea. Ha ammesso al quotidiano belga La Libre Belgique che pensare che la Russia esca sconfitta dalla guerra è «una favola, un’illusione». E intervenendo sui beni russi, ha precisato: «Siamo pronti a fare sacrifici, ma non possiamo chiedere a questo Paese di fare l’impossibile». Ha quindi raccontato che sul dossier in questione esiste «una pressione incredibile». Rispolverando la storia, ha messo in luce che «rubare i beni congelati di un altro Paese, i suoi fondi sovrani, non è mai stato fatto. Si tratta del denaro della Banca centrale russa. Neppure durante la Seconda guerra mondiale si confiscò il denaro della Germania».
Le trattative in ogni caso proseguono: in Florida sono arrivati il negoziatore ucraino Rustem Umerov e il capo di stato maggiore delle forze armate ucraine, Andriy Hnatov, per un altro round di discussioni con gli americani.
Lo Zar in India: segnali a Usa e Cina
La Russia rafforza la sponda con l’India. Ieri sera Vladimir Putin è atterrato a Nuova Delhi, dove è stato calorosamente accolto da Narendra Modi. «Sono lieto di dare il benvenuto in India al mio amico, il presidente Putin», ha dichiarato il premier indiano su X, per poi aggiungere: «L’amicizia tra India e Russia è un’amicizia collaudata che ha portato grandi benefici al nostro popolo». In particolare, il capo del Cremlino guiderà una nutrita delegazione che, secondo Al Jazeera, include il ministro della Difesa russo, Andrei Belousov, oltre ad alti dirigenti di Rosoboronexport, Rosneft e Gazprom. Quella iniziata ieri è la prima visita dello zar in India da quando è scoppiato il conflitto ucraino. Modi, dal canto suo, si era recato in Russia l’anno scorso. Ci si attende che i due leader discuteranno di vari dossier: soprattutto commercio, energia e difesa. In questo quadro, Nuova Delhi sarebbe pronta a noleggiare per due miliardi di dollari un sottomarino a propulsione nucleare russo. Inoltre, secondo il Times of India, Mosca potrebbe garantire all’India la fornitura di missili aria-aria a lungo raggio R-37.
Ma qual è l’obiettivo geopolitico di Putin con questo viaggio? Cominciamo col dire che i rapporti tra Russia e India sono particolarmente saldi. Nuova Delhi non ha mai realmente voltato le spalle al Cremlino, nonostante l’invasione del 2022. Anzi, in occasione della conferenza di pace tenutasi in Svizzera a giugno 2024, l’India fu tra i Paesi che non firmarono il documento finale in cui si auspicava l’integrità territoriale dell’Ucraina. Inoltre, Russia e India intrattengono solidissimi legami nel settore dell’energia e della difesa: legami che, con questo viaggio, lo zar punta a irrobustire. E infatti, in un’intervista a India Today, il capo del Cremlino ha detto che la cooperazione energetica con l’India resta stabile. Non solo. L’arrivo di Putin a Nuova Delhi è avvenuto in una fase particolarmente delicata dei rapporti tra India e Stati Uniti. Non dimentichiamo che, negli scorsi mesi, si sono registrate notevoli tensioni tariffarie tra i due Paesi e che l’amministrazione Trump ha criticato gli indiani per i loro ingenti acquisti di petrolio russo: circostanza di cui lo zar si è lamentato parlando con India Today. Senza trascurare che sia Mosca che Nuova Delhi appartengono ai Brics: un blocco di cui la Casa Bianca teme gli storici propositi di de-dollarizzazione.
Insomma, il primo obiettivo di Putin è quello di lanciare un monito a Washington. Lo zar vuole far capire agli Stati Uniti di non essere isolato dal punto di vista internazionale e di essere pronto a incunearsi nelle relazioni tra India e Usa. Si tratta di un modo con cui il presidente russo punta indirettamente a rafforzare la propria posizione negoziale nel processo diplomatico ucraino. Ma Putin sta cercando di lanciare anche un secondo monito, e il destinatario è la Cina. Senza dubbio, negli ultimi mesi lo stato dei rapporti tra Pechino e Nuova Delhi è migliorato. È tuttavia anche vero che permangono vari punti di attrito tra i due giganti. E Putin punta ad approfittarne. Consolidando la sponda con l’India, lo zar cerca infatti di rendere meno soffocante il suo abbraccio con Xi Jinping. In altre parole, Nuova Delhi, nella strategia dello zar, rappresenta un fattore utile a controbilanciare Pechino.
Si tratta di una logica che, a suo modo, è anche Modi a seguire. Il premier indiano vuole rinsaldare la sponda col Cremlino per lanciare un duplice avvertimento: uno a Washington e l’altro a Pechino. Modi mira a rafforzare la sua posizione nei negoziati commerciali con gli Usa e, al contempo, a incrementare la propria sicurezza energetica e militare nei confronti del Dragone. Chiaramente il premier indiano dovrà essere più cauto dello zar, perché ha comunque necessità di preservare i legami tanto con gli Usa quanto con l’Ue.
È un alone nebuloso quello che circonda al momento il processo diplomatico ucraino. L’altro ieri, l’inviato americano per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner, hanno avuto al Cremlino un colloquio di cinque ore con Vladimir Putin sul piano di pace statunitense.
Il consigliere presidenziale russo, Yuri Ushakov, ha, sì, definito l’incontro «utile, costruttivo e molto concreto», ma ha anche precisato che resta «molto lavoro da fare». «Non siamo certo più lontani dalla pace», ha poi specificato. «Siamo riusciti a concordare alcuni punti, altri hanno suscitato critiche, ma l’essenziale è che si sia svolta una discussione costruttiva e che le parti abbiano dichiarato la loro volontà di proseguire negli sforzi», ha continuato, pur sottolineando che sulla questione dei territori «non è ancora stata scelta alcuna soluzione di compromesso», nonostante «alcune proposte americane possano essere discusse». «Apprezziamo la volontà politica del presidente Trump di continuare a cercare soluzioni. Siamo tutti pronti a incontrarci tutte le volte che sarà necessario per raggiungere una soluzione pacifica», ha dichiarato, dal canto suo, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha anche accusato gli europei di «rifiutare» il dialogo con Mosca, per poi sostenere che Putin non avrebbe respinto in toto il piano di pace americano.
«Quello che stiamo cercando di capire è se è possibile porre fine alla guerra in un modo che protegga il futuro dell’Ucraina e che entrambe le parti possano accettare», ha affermato, martedì sera, il segretario di Stato americano, Marco Rubio, commentando il colloquio svoltosi al Cremlino. «Penso che abbiamo fatto qualche progresso, ma non siamo ancora arrivati al traguardo», ha aggiunto, per poi specificare: «Solo Putin può porre fine a questa guerra da parte russa». Ricordiamo che, ieri, Rubio, oltre a parlarsi telefonicamente con Antonio Tajani sulla mediazione statunitense in Ucraina, non ha preso parte alla riunione dei ministri degli Esteri della Nato, facendosi rappresentare dal suo vice. Un’assenza a suo modo significativa che il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ha comunque cercato di minimizzare, affermando: «Non leggiamo più di quanto non ci sia». «C’è solo una persona al mondo che è in grado di sbloccare la situazione quando si tratta della guerra in Ucraina, ed è il presidente americano Donald J. Trump» ha anche detto, puntando così a rinsaldare le relazioni transatlantiche. Relazioni tuttavia un po’ scricchiolanti: secondo Politico, ieri, al vertice Nato, il vicesegretario di Stato americano, Christopher Landau, ha criticato gli europei per aver allentato i loro legami con l’industria della difesa statunitense.
Nel frattempo, sempre ieri, è saltato l’incontro che avrebbe dovuto tenersi a Bruxelles tra Witkoff e Volodymyr Zelensky. «Dopo Bruxelles, Rustem Umerov e Andrii Hnatov inizieranno i preparativi per un incontro con gli inviati del presidente Trump negli Stati Uniti», ha dichiarato, poco dopo la notizia, il presidente ucraino. «I rappresentanti ucraini informeranno i loro colleghi in Europa su quanto emerso dai contatti avvenuti ieri a Mosca da parte americana e discuteranno anche della componente europea della necessaria architettura di sicurezza», ha aggiunto. Una doccia fredda sull’Ucraina è frattanto arrivata dal presidente finlandese, Alexander Stubb. «La realtà è che anche noi finlandesi dobbiamo prepararci al momento in cui la pace sarà ristabilita e che tutte le condizioni per una pace giusta di cui abbiamo tanto parlato negli ultimi quattro anni hanno poche possibilità di essere soddisfatte», ha affermato.
È in questo quadro ingarbugliato che Emmanuel Macron continua a cercare di ritagliarsi il ruolo di anti-Trump. Il presidente francese si è recato a Pechino, dove, secondo la Bbc, ha intenzione di discutere della crisi ucraina con Xi Jinping, per cercare di convincerlo a fare pressione su Putin. Si tratta, in sostanza, della stessa strategia portata avanti per anni dall’amministrazione Biden, che però non ha avuto alcun effetto concreto. È d’altronde tutto da dimostrare che Pechino auspichi realmente una conclusione del conflitto ucraino. Se all’inizio dell’invasione si era presentato come l’uomo del dialogo con Mosca, dal 2024 l’inquilino dell’Eliseo si è riscoperto falco antirusso (pur non disdegnando di mandare, lo scorso maggio, l’ambasciatore francese all’insediamento presidenziale di Putin). Adesso, nel suo iperattivismo inconcludente, Macron sta tentando di aprire un non meglio precisato percorso diplomatico parallelo a quello della Casa Bianca, tenendo la mano al rivale sistemico degli Usa: il che rischia di portare indirettamente a nuove fibrillazioni tra Washington e Bruxelles.
In tutto questo, ieri, al vertice della Nato, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha discusso con gli omologhi di Bulgaria e Romania dei recenti attacchi ucraini nel Mar Nero. Attacchi che, lunedì, Tayyip Erdogan aveva severamente criticato, affermando: «Non possiamo in nessun caso accettare questi attacchi, che minacciano la sicurezza della navigazione, dell’ambiente e della vita nella nostra zona economica esclusiva». Un’irritazione, quella di Ankara, che potrebbe avere impatti negativi sulla posizione negoziale di Zelensky, che già deve gestire le difficoltà legate al caso Yermak. Fidan ha inoltre reso noto che il presidente turco continua a essere in contatto con Putin. «La cosa principale è che i negoziati continuino e che si trovi una via di mezzo. Credo che Witkoff, che attualmente sta mediando, possa svolgere un ruolo positivo. Ha sufficienti competenze», ha affermato.
Le trattative sulla crisi ucraina sono a un punto di svolta? Ieri sera, Vladimir Putin ha ricevuto al Cremlino l’inviato americano per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner. Prima che iniziasse la sessione a porte chiuse, Witkoff - che avrebbe cenato in un ristorante stellato con piatti a base di caviale quaglia e carne di cervo - ha definito Mosca «una città magnifica». Nel momento in cui La Verità andava in stampa, il colloquio, a cui hanno preso parte anche i consiglieri presidenziali russi Kirill Dmitriev e Yuri Ushakov, non era ancora terminato, anche perché, secondo la Cnn, lo zar avrebbe fatto attendere la delegazione Usa, non rispettando la tabella di marcia prevista. Il meeting è del resto iniziato con più di due ore di ritardo. Poco prima dell’incontro, il presidente russo ha accusato i governi europei di sabotare i negoziati di pace. «L’Europa sta impedendo all’amministrazione statunitense di raggiungere la pace in Ucraina», ha tuonato, bollando le richieste europee come «inaccettabili per la Russia». «Se l’Europa vuole combattere la guerra, siamo pronti adesso», ha aggiunto. «Se le forze di Kiev continueranno ad attaccare petroliere e altre navi nel Mar Nero, la Russia risponderà nel modo più radicale, isolando l’Ucraina dal mare», ha continuato il presidente russo.
Nel frattempo, sempre prima che iniziasse il colloquio al Cremlino, ha parlato anche Volodymyr Zelensky dall’Irlanda. «Ora più che mai c’è la possibilità di porre fine a questa guerra», ha dichiarato, per poi aggiungere: «Attualmente ci sono 20 punti sviluppati a Ginevra e ulteriormente perfezionati in Florida, ma da quello che ho visto, alcune cose devono ancora essere elaborate». «L’America sta prendendo seri provvedimenti per porre fine alla guerra in un modo o nell’altro», ha proseguito il presidente ucraino, invocando una «pace decente e dignitosa». Zelensky, che si è detto anche disposto a incontrare direttamente Trump, ha poi reso noto che avrebbe avuto dei contatti con il team negoziale statunitense subito dopo la conclusione dell’incontro tra Witkoff e Putin. «Un po’ di ottimismo c’era nelle mie parole, dovuto alla velocità dei negoziati e all’interesse americano. Ciò dimostra che l’America non si sta ritirando da alcun tipo di dialogo diplomatico, e questo è positivo», ha comunque affermato in serata il presidente ucraino, che ha però aggiunto di temere che gli Usa possano perdere interesse per i negoziati. Zelensky incontrerà Witkoff e Kushner oggi, in un paese europeo non ancora specificato prima che il giornale andasse in stampa.
«Un ruolo importante può essere giocato dall’Italia grazie alle sue capacità di mediazione che ha culturalmente e storicamente», ha detto ieri papa Leone XIV conversando con i giornalisti sul volo che lo ha condotto da Beirut a Roma.
Vale la pena di sottolineare come l’incontro di ieri al Cremlino abbia fatto seguito ai colloqui, tenutisi domenica a Miami, tra la delegazione di Washington e quella di Kiev: colloqui che non sono riusciti ad appianare tutte le divergenze sul tavolo. Non è del resto un mistero che continui a registrarsi una certa distanza tra Stati Uniti e Ucraina su una serie di questioni, a partire dalle garanzie di sicurezza e dalle cessioni territoriali. Soprattutto su quest’ultimo tema, Zelensky sta cercando di puntare i piedi, mentre la Casa Bianca lo spinge ad ammorbidire la sua linea. Il nodo principale, sotto questo punto di vista, riguarda specialmente il destino del Donbass, che Putin vuole interamente sotto il controllo di Mosca. Il presidente ucraino, dal canto suo, deve frattanto affrontare un indebolimento della propria posizione negoziale a causa dello spinoso caso Yermak.
Come che sia, probabilmente anche per cercare di mettere sotto pressione Washington, proprio ieri, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha avuto un colloquio con l’omologo cinese, Wang Yi, dedicato (anche) al conflitto ucraino. Secondo una nota di Mosca, durante il confronto «è stata prestata notevole attenzione alle prospettive di risoluzione della crisi in Ucraina, affrontando le cause profonde del conflitto e tenendo in debita considerazione gli interessi fondamentali della Federazione russa». In tutto questo, sempre ieri, mentre Witkoff e Kushner parlavano con Putin, Trump ha tenuto una riunione di gabinetto, affermando: «Ho risolto otto guerre. Questa sarebbe la nona, e la nostra gente è in Russia in questo momento per vedere se possiamo risolvere la situazione. Non è una situazione facile, lasciatemelo dire, che casino. È una guerra che non sarebbe mai scoppiata se fossi stato presidente, nemmeno per sogno». «Mentre vi parliamo ora, Steve Witkoff è a Mosca per cercare di trovare un modo per porre fine a questa guerra», ha aggiunto il segretario di Stato americano, Marco Rubio.
Non è comunque escluso che, durante i colloqui di ieri al Cremlino, si sia parlato anche di Medio Oriente. Witkoff e Kushner sono d’altronde i principali autori dell’accordo tra Israele e Hamas. Inoltre, Trump e Putin hanno bisogno l’uno dell’altro in questa regione. Il presidente americano necessita della sponda dello zar per arrivare a un’intesa sul nucleare con l’Iran. Il Cremlino ha invece necessità della Casa Bianca per recuperare influenza in Siria, farsi includere nella ricostruzione di Gaza e non restare tagliato fuori dal rilancio degli Accordi di Abramo. È quindi verosimile che Trump punti a usare la leva mediorientale per arrivare indirettamente a un accordo con Putin sull’Ucraina.





