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IL presidente siriano Ahmed Al-Sharaa partecipa alla parata militare dell'esercito siriano in Piazza Omayyade, nel centro di Damasco, per celebrare il primo anniversario della caduta del regime di Assad (Getty Images)
Torna a crescere la tensione tra Damasco e Gerusalemme. Parlando sabato dal palco del Doha Forum, il presidente siriano, Ahmed al-Sharaa, ha avuto parole particolarmente critiche nei confronti dello Stato ebraico.
«Israele cerca di sfuggire agli orribili massacri commessi a Gaza, e lo fa tentando di esportare le crisi», ha dichiarato. «Israele è diventato un Paese che lotta contro i fantasmi», ha proseguito, per poi aggiungere: «Da quando siamo arrivati a Damasco, abbiamo inviato messaggi positivi riguardo la pace e la stabilità regionale. E che non siamo interessati a essere un Paese che esporta conflitti, nemmeno in Israele».
«Tuttavia», ha continuato, «in cambio Israele ci ha risposto con estrema violenza». «La Siria ha subito massicce violazioni del suo spazio aereo e siamo stati vittime di oltre 1000 attacchi aerei e più di 400 incursioni», ha specificato il leader siriano.
Le nuove fibrillazioni tra Siria e Israele faranno poco piacere alla Casa Bianca. Donald Trump punta a rilanciare e a espandere celermente gli Accordi di Abramo. In questo senso, auspicherebbe che Damasco e Riad normalizzassero a breve le proprie relazioni con Gerusalemme. «È molto importante che Israele mantenga un dialogo forte e sincero con la Siria e che non accada nulla che possa interferire con l'evoluzione della Siria in uno Stato prospero», aveva dichiarato il presidente americano lunedì della scorsa settimana.
Ricordiamo che Trump ha avviato una distensione con l’attuale regime siriano: una mossa con cui l’inquilino della Casa Bianca punta a conseguire due obiettivi. Il primo è quello di rafforzare la propria sponda con Ankara: non dimentichiamo infatti che al-Sharaa è storicamente spalleggiato da Recep Tayyip Erdogan. In secondo luogo, il presidente americano, come già accennato, vorrebbe inserire Damasco nell’architettura dei patti di Abramo. È in tal senso che Washington guarda con preoccupazione alle tensioni in corso tra Israele e Siria. Se la crisi tra i due Paesi dovesse deflagrare irrimediabilmente, ciò rischierebbe di mettere a repentaglio non solo i rapporti tra la Casa Bianca e Ankara ma anche il progetto di Medio Oriente che Trump sta cercando pian piano di costruire.
Non dimentichiamo d’altronde che, agli occhi del presidente americano, il dossier mediorientale rappresenta una leva negoziale per mettere sotto pressione il Cremlino sulla crisi ucraina. Una ragione in più per cui la Casa Bianca guarda con apprensione alle fibrillazioni in corso tra Gerusalemme e Damasco.
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Vladimir Putin
Il portavoce del Meccanismo europeo di stabilità respinge la proposta di riformare il fondo per usare gli asset congelati. Il «Financial Times»: «L’idea è un rischio per la moneta unica». Volodymyr Zelensky domani va da Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz.
Il Mes ha chiuso all’ipotesi di una riforma che lo renda uno strumento di garanzia nella condivisione dei rischi per quanto riguarda l’uso degli asset russi congelati. «Nel quadro del trattato del Mes, il Meccanismo può fornire supporto solo agli Stati membri dell’Eurozona che ne facciano richiesta e unicamente allo scopo di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area euro e dei suoi membri», ha dichiarato ieri un portavoce del Meccanismo europeo di stabilità.
L’ipotesi di una riforma era stata avanzata, alcuni giorni fa, da Antonio Tajani. «Un’ipotesi potrebbe essere l’utilizzo del Mes come garanzia per gli asset russi, quel che serve modificare nei regolamenti lo modifichiamo», aveva dichiarato il capo della Farnesina a margine del summit dei ministri degli Esteri della Nato.
In questo quadro, ieri il Financial Times ha sottolineato l’esistenza di alcuni rischi finanziari per l’Ue in riferimento all’uso dei beni russi congelati. «Il controverso piano di Bruxelles di utilizzare i beni sovrani russi congelati per sostenere fino a 210 miliardi di euro di prestiti all’Ucraina sta mettendo a dura prova il quadro politico e giuridico dell’Ue. Ma potrebbe avere anche grandi conseguenze per i mercati finanziari dell’Unione», ha scritto il quotidiano britannico, per poi aggiungere: «Alcuni gestori di fondi avvertono che un’eventuale decisione di utilizzare i beni congelati aumenterebbe i rischi politici legati al possesso di asset in euro e metterebbe persino in dubbio il loro status di rifugio globale».
Nel frattempo, prosegue l’iniziativa diplomatica americana sull’Ucraina. Ieri e l’altro ieri, l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner, hanno incontrato il segretario ucraino del Consiglio per la sicurezza nazionale, Rustem Umerov, e il capo di stato maggiore, Andriy Hnatov. Secondo una nota del Dipartimento di Stato americano pubblicata venerdì, «i partecipanti hanno discusso i risultati del recente incontro tra la parte americana e quella russa e le misure che potrebbero portare alla fine di questa guerra». «Americani e ucraini hanno, inoltre, concordato il quadro degli accordi di sicurezza e discusso le necessarie capacità di deterrenza per sostenere una pace duratura», si legge ancora. «Le parti», prosegue il comunicato, «hanno anche esaminato separatamente il futuro programma di prosperità, che mira a sostenere la ricostruzione postbellica dell’Ucraina, le iniziative economiche congiunte tra Stati Uniti e Ucraina e i progetti di ripresa a lungo termine».
Frattanto, ieri Volodymyr Zelensky ha detto di essere stato aggiornato da Witkoff, in una telefonata «lunga e approfondita», dei colloqui tra la delegazione americana e quella ucraina. «Abbiamo affrontato molti aspetti e analizzato i punti chiave che potrebbero garantire la fine dello spargimento di sangue ed eliminare la minaccia di una nuova invasione russa su vasta scala, nonché il rischio che la Russia non mantenga le sue promesse, come è accaduto ripetutamente in passato», ha reso noto il presidente ucraino. E proprio i colloqui tra Washington e Kiev saranno al centro, domani, di un incontro a Londra tra Zelensky e alcuni leader europei: Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz. «L’Ucraina può contare sul nostro incrollabile sostegno. Questo è il senso degli sforzi che abbiamo intrapreso come parte della “coalizione dei volenterosi”», ha affermato Macron, condannando anche i massicci attacchi condotti da Mosca contro l’Ucraina. Vale a tal proposito la pena di sottolineare che il presidente francese si è recentemente recato in Cina, dove ha cercato di avviare un processo diplomatico alternativo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a far pressioni sul Cremlino per spingerlo a concludere le ostilità. L’Eliseo, ancora una volta, sta provando a indebolire le relazioni transatlantiche nella speranza di rilanciare il proprio ruolo politico in seno all’Ue.
Nel frattempo, ieri, è arrivato un chiaro endorsement di Ankara alla mediazione statunitense in Ucraina: una mediazione, quella di Washington, che, in un’intervista a Reuters, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha definito essere «sulla strada giusta». «Spero solo che nessuno lasci il tavolo e che gli americani non siano frustrati, perché a volte i mediatori possono sentirsi frustrati se non vedono abbastanza incoraggiamento da entrambe le parti», ha poi specificato. Ricordiamo che, giovedì, il ministero degli Esteri di Ankara aveva convocato l’ambasciatore ucraino e l’incaricato d’affari russo per esprimere preoccupazione sugli attacchi militari verificatisi nel Mar Nero. «Stiamo assistendo a una gravissima escalation nelle ultime settimane della guerra tra Russia e Ucraina, con attacchi reciproci. Infine, ci sono stati alcuni attacchi anche nel Mar Nero, all’interno della nostra zona economica esclusiva», aveva affermato il viceministro degli Esteri turco, Berris Ekinci.
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Vladimir Putin (Ansa)
- Intervistato da «India Today», il leader russo conferma le sue rivendicazioni ma anche la buona volontà di Donald Trump, che sospende alcune sanzioni contro Lukoil. Emmanuel Macron agli europei: «Temo il tradimento del tycoon».
- È la prima visita di Vladimir Putin a Nuova Delhi dall’inizio della guerra. Sul tavolo accordi su energia e armamenti. Ma è anche una dimostrazione a Donald Trump e Xi Jinping della propria indipendenza.
Lo speciale contiene due articoli
A distanza di due giorni dall’incontro con la delegazione statunitense, il presidente russo Vladimir Putin, in un’intervista rilasciata a India Today, ha espresso piena fiducia nell’amministrazione americana nel condurre le trattative, ma allo stesso tempo ha confermato le sue rivendicazioni territoriali.
Sulla questione del Donbas ha infatti ribadito: «O liberiamo questi territori con la forza delle armi oppure le truppe ucraine se ne vanno e smettono di combattervi». Una prospettiva di dietrofront non è nemmeno contemplata per quanto riguarda l’adesione dell’Ucraina alla Nato: l’ipotesi resta «inaccettabile» sia perché «la Nato è una minaccia» per la Russia (ma anche per l’Europa), sia perché l’Ucraina «sin dall’indipendenza» ha affermato di essere «uno Stato neutrale». Se da una parte ha riconosciuto che «ogni Paese ha il diritto di scegliere i propri mezzi di difesa», dall’altra ha osservato «che non è accettabile che ciò avvenga alle spese della Russia». Rimane quindi cruciale trovare «un modo per garantire la sicurezza» di Kiev «senza mettere a repentaglio» quella di Mosca.
Putin ha anche fornito qualche dettaglio in più sul colloquio «molto importante» con l’inviato speciale americano, Steve Witkoff, e con Jared Kushner a Mosca, evidenziando quanto fosse necessario «ripassare quasi ogni punto» del piano di pace. Anche perché le proposte «contenevano questioni su cui la Russia non era d’accordo, ma ne abbiamo discusso». Ciò non toglie la fiducia riposta in Washington: lo stesso presidente russo ha ammesso che «raggiungere un consenso tra parti in conflitto non è un compito facile». Dunque, ha dichiarato: «Credo che dovremmo partecipare a questo sforzo piuttosto che ostacolare» le trattative. Ma, a differenza di quanto proposto dagli Stati Uniti, Mosca non ha alcuna intenzione di tornare a far parte del G8. Putin ha svelato di averlo comunicato direttamente allo stesso Witkoff: «Gli ho spiegato perché non sono più andato agli incontri del G8 nel passato». E nell’intervista ha colto l’occasione per lanciare una stoccata ai membri del G7 sottolineando che non comprende «perché continuino a definirsi Grandi» dato che sono «Paesi in declino».
Non ci sarebbero invece dubbi sulla genuinità del presidente americano, Donald Trump, nel volere la fine della guerra: «Sono assolutamente certo che miri sinceramente a una risoluzione pacifica», ha detto Putin. Ha però riconosciuto che dietro la volontà americana «potrebbero esserci anche interessi politici» o anche «motivazioni economiche» che ovviamente andrebbero a beneficio di entrambi. A tal proposito ha rivelato che la Russia ha ricevuto alcune lettere da parte di aziende americane: hanno chiesto «di non dimenticarsi della loro esistenza». Ha proseguito: «Si tratta di nostri ex partner che esprimono un chiaro desiderio di riprendere la cooperazione». Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno annunciato di aver sospeso alcune sanzioni imposte contro il colosso russo energetico Lukoil per permettere alle stazioni di servizio situate oltre i confini russi di continuare a operare, a patto però che i ricavi non siano convogliati verso la Russia.
A differenza di Putin, a non credere alle buone intenzioni del tycoon sono gli alleati europei. A rivelarlo è Der Spiegel. Nella video call che i leader hanno avuto lunedì sarebbe emersa tutta la diffidenza dell’Europa. Addirittura, il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe il timore che «gli Stati Uniti tradiscano l’Ucraina sul territorio senza chiarezza sulle garanzie di sicurezza». Una posizione simile sarebbe stata condivisa anche dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, che avrebbe consigliato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di essere «molto prudente in questi giorni», aggiungendo: «Stanno giocando con voi e con noi». E a non avere fiducia nelle capacità negoziali di Witkoff e Kushner sarebbero pure il presidente finlandese, Alexander Stubb, e il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Il primo avrebbe detto: «Non possiamo lasciare l’Ucraina e Volodymyr da soli con questi tizi». E il secondo avrebbe: «Dobbiamo proteggere Volodymyr».
E mentre la questione dell’utilizzo degli asset russi continua a tenere occupata Bruxelles, pare che il premier belga, Bart De Wever, abbia avuto un barlume di lucidità nella miopia europea. Ha ammesso al quotidiano belga La Libre Belgique che pensare che la Russia esca sconfitta dalla guerra è «una favola, un’illusione». E intervenendo sui beni russi, ha precisato: «Siamo pronti a fare sacrifici, ma non possiamo chiedere a questo Paese di fare l’impossibile». Ha quindi raccontato che sul dossier in questione esiste «una pressione incredibile». Rispolverando la storia, ha messo in luce che «rubare i beni congelati di un altro Paese, i suoi fondi sovrani, non è mai stato fatto. Si tratta del denaro della Banca centrale russa. Neppure durante la Seconda guerra mondiale si confiscò il denaro della Germania».
Le trattative in ogni caso proseguono: in Florida sono arrivati il negoziatore ucraino Rustem Umerov e il capo di stato maggiore delle forze armate ucraine, Andriy Hnatov, per un altro round di discussioni con gli americani.
Lo Zar in India: segnali a Usa e Cina
La Russia rafforza la sponda con l’India. Ieri sera Vladimir Putin è atterrato a Nuova Delhi, dove è stato calorosamente accolto da Narendra Modi. «Sono lieto di dare il benvenuto in India al mio amico, il presidente Putin», ha dichiarato il premier indiano su X, per poi aggiungere: «L’amicizia tra India e Russia è un’amicizia collaudata che ha portato grandi benefici al nostro popolo». In particolare, il capo del Cremlino guiderà una nutrita delegazione che, secondo Al Jazeera, include il ministro della Difesa russo, Andrei Belousov, oltre ad alti dirigenti di Rosoboronexport, Rosneft e Gazprom. Quella iniziata ieri è la prima visita dello zar in India da quando è scoppiato il conflitto ucraino. Modi, dal canto suo, si era recato in Russia l’anno scorso. Ci si attende che i due leader discuteranno di vari dossier: soprattutto commercio, energia e difesa. In questo quadro, Nuova Delhi sarebbe pronta a noleggiare per due miliardi di dollari un sottomarino a propulsione nucleare russo. Inoltre, secondo il Times of India, Mosca potrebbe garantire all’India la fornitura di missili aria-aria a lungo raggio R-37.
Ma qual è l’obiettivo geopolitico di Putin con questo viaggio? Cominciamo col dire che i rapporti tra Russia e India sono particolarmente saldi. Nuova Delhi non ha mai realmente voltato le spalle al Cremlino, nonostante l’invasione del 2022. Anzi, in occasione della conferenza di pace tenutasi in Svizzera a giugno 2024, l’India fu tra i Paesi che non firmarono il documento finale in cui si auspicava l’integrità territoriale dell’Ucraina. Inoltre, Russia e India intrattengono solidissimi legami nel settore dell’energia e della difesa: legami che, con questo viaggio, lo zar punta a irrobustire. E infatti, in un’intervista a India Today, il capo del Cremlino ha detto che la cooperazione energetica con l’India resta stabile. Non solo. L’arrivo di Putin a Nuova Delhi è avvenuto in una fase particolarmente delicata dei rapporti tra India e Stati Uniti. Non dimentichiamo che, negli scorsi mesi, si sono registrate notevoli tensioni tariffarie tra i due Paesi e che l’amministrazione Trump ha criticato gli indiani per i loro ingenti acquisti di petrolio russo: circostanza di cui lo zar si è lamentato parlando con India Today. Senza trascurare che sia Mosca che Nuova Delhi appartengono ai Brics: un blocco di cui la Casa Bianca teme gli storici propositi di de-dollarizzazione.
Insomma, il primo obiettivo di Putin è quello di lanciare un monito a Washington. Lo zar vuole far capire agli Stati Uniti di non essere isolato dal punto di vista internazionale e di essere pronto a incunearsi nelle relazioni tra India e Usa. Si tratta di un modo con cui il presidente russo punta indirettamente a rafforzare la propria posizione negoziale nel processo diplomatico ucraino. Ma Putin sta cercando di lanciare anche un secondo monito, e il destinatario è la Cina. Senza dubbio, negli ultimi mesi lo stato dei rapporti tra Pechino e Nuova Delhi è migliorato. È tuttavia anche vero che permangono vari punti di attrito tra i due giganti. E Putin punta ad approfittarne. Consolidando la sponda con l’India, lo zar cerca infatti di rendere meno soffocante il suo abbraccio con Xi Jinping. In altre parole, Nuova Delhi, nella strategia dello zar, rappresenta un fattore utile a controbilanciare Pechino.
Si tratta di una logica che, a suo modo, è anche Modi a seguire. Il premier indiano vuole rinsaldare la sponda col Cremlino per lanciare un duplice avvertimento: uno a Washington e l’altro a Pechino. Modi mira a rafforzare la sua posizione nei negoziati commerciali con gli Usa e, al contempo, a incrementare la propria sicurezza energetica e militare nei confronti del Dragone. Chiaramente il premier indiano dovrà essere più cauto dello zar, perché ha comunque necessità di preservare i legami tanto con gli Usa quanto con l’Ue.
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