Il presidente della Commissione fa lo spot all’industria bellica di Kiev: «È all’avanguardia, ma opera al 60%». E lancia una proposta perversa: acquistare i missili grazie ai prestiti Safe da chi poi ce li chiederà in regalo.
Il presidente della Commissione fa lo spot all’industria bellica di Kiev: «È all’avanguardia, ma opera al 60%». E lancia una proposta perversa: acquistare i missili grazie ai prestiti Safe da chi poi ce li chiederà in regalo.Allora leggete cos’ha detto ieri Ursula von der Leyen, presente a Roma alla conferenza sulla ricostruzione del Paese invaso dai russi. «L’Ucraina dispone di sistemi d’arma all’avanguardia ed è in grado di garantire consegne rapide a basso costo. È proprio ciò di cui abbiamo bisogno nell’Ue». Coincidenza fortunata: dai, corriamo al mercato militare per prepararci al giorno dell’aggressione russa.La madrina del piano continentale di riarmo ha anche fornito una cifra che dovrebbe indurci a drizzare le antenne: «L’industria della Difesa ucraina opera solo al 60% della sua capacità». Ma come? Le truppe di Volodymyr Zelensky non sono da mesi, addirittura da anni, a corto di munizioni, cannoni, missili e contraeree? Non dipendono in modo drammatico dagli aiuti occidentali, specie americani? Tanto che Kiev ha accolto come una manna dal cielo la giravolta di Donald Trump, il quale ha sbloccato la consegna delle batterie missilistiche terra-aria dopo un battibecco con Vladimir Putin? Adesso si scopre che l’apparato produttivo gialloblù potrebbe sfornare molti più pezzi. E che se non lo fa, forse, è perché si riserva di impiegare quella parte di «capacità» inutilizzata per fabbricare prodotti da vendere all’Europa. E dopo, chissà, riaverli indietro. Il Vecchio continente dovrebbe pagare due volte: prima per sostenere lo sforzo bellico degli alleati e le loro casse, disastrate da tre anni e mezzo di conflitto; poi, per acquistare le armi. Senza contare il potenziale terzo passaggio: restituire i materiali bellici sotto forma di generosa elargizione alla resistenza. «I nostri Stati membri», ha annunciato trionfante la presidente della Commissione europea, «possono ricorrere ai prestiti Safe e acquistare direttamente dall’industria della Difesa ucraina: per i Paesi Ue si tratta di prodotti di altissima qualità, rapidi ed economici, mentre per l’Ucraina si tratta di entrate fondamentali, ma anche di un’opportunità per rafforzare la propria base industriale nel settore della Difesa». È la quadratura di un cerchio perverso: non sono sufficienti i finanziamenti concessi direttamente alla nazione assediata dai soldati Mosca; adesso dovremmo mettere il nostro denaro nel fondo da 150 miliardi ideato dalla Von der Leyen, per poi domandarli in prestito a Bruxelles e devolverli allo shopping marziale a Kiev. Rigorosamente a prezzi di saldo, grazie a una manodopera che la miseria ha reso propensa ad accontentarsi di salari contenuti. Ottenere dall’Europa soldi nostri, con cui comprare armi da Zelensky che ce le sta chiedendo in dono e infine, magari, regalargliele davvero.«È importante continuare a fornire all’Ucraina tutto il supporto finanziario e militare necessario», ha pontificato ieri il commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis. Che dire: ci voleva la lungimiranza di grandi statisti, per concepire questo meccanismo. Il Safe, approvato a maggio, vincola l’erogazione delle somme necessarie a un requisito: i sistemi d’arma da comprare devono essere prodotti almeno per il 65% del loro valore in uno Stato dell’Ue, dello Spazio economico europeo, dell’Associazione europea di libero scambio, oppure in Ucraina. Chissà come cambierebbero le sorti dello scontro nel Donbass, se anziché scaldarsi per rimpinguare i nostri arsenali, Kiev portasse la propria capacità industriale al 100%. I russi hanno accusato i loro nemici di essere degli «ingordi». Il presidente-attore, vista la situazione tragica che sta gestendo, non può che fare orecchio da mercante: comprensibilmente, gira per il mondo con il cappello in mano. Il problema, semmai, è di chi corre incontro a ogni suo appello. Finora - sono le cifre riportate sul sito del Consiglio europeo - l’Ue e gli Stati membri hanno devoluto a Kiev 158,6 miliardi di euro. Ci sono i 78,4 miliardi di sostegni economici e umanitari; i 59,6 di sostegno militare; i 3,7 per l’assistenza umanitaria; i 970 milioni per le operazioni gestite dalla Protezione civile; oltre ai 17 miliardi che sono stati stanziati per garantire l’accoglienza dei rifugiati.Se Zelensky ha riposto nell’armadio la mimetica, la Von der Leyen sembra in procinto di indossare l’alta uniforme. Si è compiaciuta per l’impresa della resistenza, in quella che ha definito «una guerra di risorse e di sistemi di difesa concorrenti, tanto quanto una guerra di valori»: «L’esercito ucraino», ha proclamato, «ha fatto ciò che molti consideravano impossibile: frenare i russi e paralizzare la loro flotta navale e di bombardieri». «L’Ucraina», ha aggiunto, «è la frontiera dell’innovazione militare». Un glorioso traguardo, raggiunto versando il sangue di centinaia di migliaia di combattenti - numeri precisi, il governo di Kiev non ne comunica - molti dei quali giovanissimi. Caduti affinché potessimo festeggiare l’espansione a Est dei «nostri valori». Compreso il gay pride.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






