2025-12-01
«Il consorzio dell’uva Durella ora punta tutto sugli spumanti»
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34. Un’importante realtà economica e un pezzo di identità alimentare del Paese. Durante il forum nazionale di confronto rispetto alle produzioni di spumante metodo classico in Italia che si è tenuto all’interno di Durello & Friends, è stato presentato il sondaggio di Nomisma Wine Monitor che ha evidenziato, tra altro, come il consumatore riconosca elementi di alta qualità di uno spumante metodo classico l’essere identitario di uno specifico territorio, la presenza di una denominazione di origine, la zona altimetrica (collina o montagna), l’autoctonia del vitigno. Bruno Berni, business development manager di Cfi Group ha spiegato come il canale horeca sia importante per il vino perché vale circa 1/3 delle sue vendite (i distributori ne assorbono il 75%) e che, dopo anni di crescita, nel 2025 il vino (come le altre bevande alcoliche) ha segnato un rallentamento (più a volume che a valore), mentre le bollicine (che pesano per il 33% sulle vendite di vino nel canale horeca) sono l’unico segmento in crescita anche grazie alle performance positive del Prosecco che ormai vale il 47% delle vendite di bollicine. Abbiamo intervistato il presidente del Consorzio Lessini Durello Gianni Tessari sulle modifiche al disciplinare di produzione del Lessini Durello che dal 2026 lo battezzeranno vino esclusivamente spumante: «Questa 23ª edizione di Durello & Friends è molto importante perché si ufficializza la creazione di una nuova Doc che è il Monti Lessini Doc, spumante a metodo classico». Quale era la situazione precedente? «Il Consorzio Lessini Durello fino a poco tempo fa rappresentava la produzione di spumanti di uva Durella sia a metodo charmat, quindi rifermentazione in autoclave, come il Prosecco, per capirci, sia gli spumanti metodo classico, quindi rifermentati in bottiglia, tipo Franciacorta e Champagne, giusto per intenderci. Queste due tipologie chiaramente danno dei risultati molto diversi, con costi diversi e con qualità anche diverse. Inoltre, sempre all’interno del Consorzio si potevano produrre vini fermi a base di Pinot nero, a base di Chardonnay, si poteva fare un vino con uve passite, insomma come situazione era molto articolata. Questo da una parte dava la possibilità ai produttori di avere un ventaglio produttivo abbastanza ampio, dall’altra, però, obiettivamente non dava un’identità ben precisa al territorio, alla denominazione e a quello che si vuole proporre. Il risultato attuale invece dà una identità molto precisa ai prodotti che verranno proposti al consumatore: saranno eliminati tutti i vini fermi. Ci saranno solo vini spumanti perché riteniamo che il territorio che rappresento abbia una forte vocazione spumantifera. Oltre ad avere solo vini spumanti del nostro territorio, avremo solo due tipologie con due nomi. Quando avremo davanti un’etichetta con scritto Lessini Durello sapremo con certezza di avere una bottiglia di spumante che è prodotta con il metodo charmat, quindi in autoclave, e quando, invece, ci troveremo con un’etichetta con scritto Monti Lessini, il consumatore sarà certo di avere uno spumante prodotto con rifermentazione in bottiglia, quindi uno spumante con un certo prestigio e quindi con un costo e con una qualità che evidentemente ci si può aspettare». Spieghiamo che l’autoclave è una gigantesca botte in acciaio. «Sì. Il vino è già stato prodotto con una prima fermentazione durante la vendemmia, poi si fa la rifermentazione. La si fa in un secondo momento che può essere dopo un mese, sei mesi, un anno. Quando decide il produttore, si fa una seconda fermentazione, quindi con zuccheri e lieviti, i quali producono alcol, dallo zucchero presente, e CO2. La CO2 non è altro che le bollicine che poi noi ci troviamo nella bottiglia. Sono due sistemi di rifermentazione che fondamentalmente servono per trattenere queste bollicine all’interno della bottiglia, perché altrimenti, come succede in una bottiglia d’acqua gasata quando si apre, la bollicina se ne va e rimane il prodotto, diciamo…, fermo. I due sistemi sono quello charmat, appunto, ossia il vino fermenta in autoclave, l’autoclave trattiene la pressione, non scoppia come succederebbe con un altro tipo di contenitore, quindi questa CO2 rimane all’interno e poi attraverso attrezzature particolari viene imbottigliato senza perdere le sue bollicine, quindi diventa una lavorazione se vogliamo di stile o di stampo industriale, servono delle autoclavi, servono delle tubazioni e degli strumenti per trasportare il vino che trattengono la pressione, serve un’imbottigliatrice isobarica che quindi non disperda la pressione all’esterno e ha un risultato che è sicuramente interessante e positivo, a costi abbastanza contenuti rispetto alla seconda tipologia, il metodo classico, che è quella inventata dai francesi qualche secolo fa, che noi abbiamo importato con grande successo già in altre parti d’Italia, Franciacorta, Trento Doc e quant’altro. Oggi aggiungiamo anche il nostro territorio e la nostra di denominazione nel novero di questi territori italiani vocati e specializzati nella produzione di metodo classico. Questa seconda fermentazione detta a metodo classico invece di svolgersi all’interno di autoclavi si opera all’interno della singola bottiglia, che è quella che ci si troverà sul tavolo, servita al ristorante piuttosto che a casa propria. Questa seconda fermentazione avviene dentro la bottiglia. La CO2, le bollicine, la pressione rimangono nella bottiglia che è chiusa ermeticamente, non ne possono uscire. Poi c’è un passaggio che si chiama sboccatura, in italiano, dégorgement in francese, che prevede di togliere il tappo originale, che viene espulso insieme con il fondo, quindi con i lieviti morti che hanno fatto il lavoro che dicevamo prima di rifermentazione. Rimane un vino limpido, pulito, con un tappo di sughero in confezionamento che è quello dell’etichetta, capsulone e quant’altro ed è quello che ci troviamo poi a stappare quando dobbiamo festeggiare e berlo in compagnia». Lo spumante metodo classico è quindi una bollicina di maggiore qualità e anche, forse, anzi sicuro, di prezzo superiore... «Assolutamente. Al di là del gusto singolo, personale che ovviamente ognuno ha e quindi può preferire una tipologia piuttosto che l’altra, il metodo classico è riconosciuto da tutti come un sistema con un prestigio maggiore e chiaramente comporta una manodopera, un lavoro molto più alto, perché non c’è la possibilità di industrializzarlo come spiegavo prima del metodo charmat. Viene fatto tutto manualmente. Considerate che la bottiglia di metodo classico, da quando arriva in cantina a quando viene portata sul tavolo, verrà presa in mano credo 15-20 volte, perché bisogna toglierla dal camion, metterla sulla riempitrice, farla rifermentare, mettere nella catasta, metterla nei cestoni, metterla in punta, far la sboccatura. Insomma, c’è tutta una serie di passaggi che richiedono manualità e manodopera specializzate, inoltre anche i tempi di produzione sono molto diversi. Se per il metodo charmat ragioniamo sull’ordine di grandezza di mesi, quindi dal momento della rifermentazione alla bottiglia finita passano 3, 4, 5, 6 mesi, come ordine di grandezza, il termine di grandezza del metodo classico va anche in anni, quindi 2, 3, 5, si possono trovare anche metodi classici Monti Lessini di 8, 9, 10 anni di affinamento, quindi si può immaginare che i costi non siano gli stessi del prodotto alternativo. Ripeto, la preferenza rimane sempre al gusto personale del consumatore, il quale è liberissimo di scegliere uno piuttosto dell’altro. Quello che ci tengo a ribadire è che le differenze sia di stile, di qualità, che di costo hanno delle motivazioni oggettive, non è assolutamente speculazione e neanche altro, insomma».Questa nuova suddivisione che elimina i vini e si concentra sui vini spumanti vuole esaltare le uve che si trovano in mano questi produttori e secondo voi le esalta di più la diffusione di quei soli due vini spumanti, ho capito bene? «Hai capito bene. Il nostro territorio è una zona che sta a cavallo tra le province di Verona e Vicenza. Comprende solo la parte alta, quindi la zona collinare, montuosa delle due province. Una zona rustica, ancora molto legata alle tradizioni contadine agricole e in cui i produttori sono testardi, convinti dei propri mezzi e di quello che producono. Ecco che all’interno di questo contesto abbiamo anche una varietà che è unica, è una delle varietà più difficili che abbiamo per fare vino. Si chiama Durella ed è una varietà che presenta una elevata acidità. Non è molto aromatica, non è come il Sauvignon, come Incrocio Manzoni o altre uve bianche. Ha una buccia abbastanza grossa, acini abbastanza grandi, tutte caratteristiche che la rendono difficile per ottenere vini di beva o di alta qualità. Però, se noi prendiamo le caratteristiche che ti ho descritto e le spostiamo dalla produzione di vino alla produzione di spumanti, ebbene sono le caratteristiche che tutto il mondo cerca di ottenere con altre varietà, con compromessi più o meno attivi, come le raccolte precoci che si è costretti a fare con altre varietà, tipo il Pinot nero, tipo lo Chardonnay e così via. Con la Durella possiamo permetterci di non averli, non servono compromessi. La Durella è l’unica varietà che io conosco, con il limite della mia conoscenza, che può essere raccolta matura e avere a maturazione le caratteristiche ideali per produrre vino spumante che sono quelle che ti raccontavo prima». In sostanza, le altre varietà vanno raccolte prima della maturazione per avere l’acidità giusta, mentre la Durella resta acida da matura. «Hai capito benissimo, tutti gli altri spumanti di altra qualità devono anticipare la raccolta rispetto alla maturazione completa perché se no avrebbero poca acidità, molti profumi, grado alcolico elevato. Noi possiamo permetterci il lusso di arrivare a maturazione e avere le caratteristiche ideali per fare spumante. Chiaramente, come ti dicevo, fare un vino fermo con queste uve è penalizzante ed è il motivo per cui come produttori di questo territorio abbiamo fatto la scelta di questa specializzazione spumantifera dal 2026».
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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