- Video del nipote dell’Avvocato: «Società fuori dal mercato». L’offerta di Tether (1,2 miliardi) è troppo bassa per il cda.
- Jaki sembra un re Mida al contrario: uccide ciò che tocca ma rimane ricco. Il rampollo sbaglia però si consola con la liquidità delle cessioni: 4 miliardi al 2025.
Lo speciale contiene due articoli.
La Juventus resta sotto il controllo di Exor. Il gruppo ha chiarito con un comunicato la propria posizione sull’offerta di Tether. «La Juventus è un club storico e di successo, di cui Exor e la famiglia Agnelli sono azionisti stabili e orgogliosi da oltre un secolo», si legge nella nota della holding, che conferma come il consiglio di amministrazione abbia respinto all’unanimità l’offerta per l’acquisizione del club e ribadito il pieno impegno nel sostegno al nuovo corso dirigenziale.
A rafforzare il messaggio, nelle stesse ore, è arrivato anche un intervento diretto di John Elkann, diffuso sui canali ufficiali della Juventus. Un video breve, meno di un minuto, ma importante. Elkann sceglie una veste informale, indossa una felpa con la scritta Juventus e parla di identità e di responsabilità. Traduzione per i tifosi che sognano nuovi padroni o un ritorno di Andrea Agnelli: il mercato è aperto per Gedi, ma non per la Juve. Il video va oltre le parole. Chiarisce ciò che viene smentito e ciò che resta aperto. Elkann chiude alla vendita della Juventus. Ma non chiude alla vendita di giornali e radio.
La linea, in realtà, era stata tracciata. Già ai primi di novembre, intervenendo al Coni, Elkann aveva dichiarato che la Juve non era in vendita, parlando del club come di un patrimonio identitario prima ancora che industriale. Uno dei nodi resta il prezzo. L’offerta attribuiva alla Juventus una valutazione tra 1,1 e 1,2 miliardi, cifra che Exor giudica distante dal peso economico reale (si mormora che Tether potrebbe raddoppiare l’offerta). Del resto, la Juventus è una società quotata, con una governance strutturata, ricavi di livello europeo e un elemento che in Italia continua a fare la differenza: lo stadio di proprietà. L’Allianz Stadium non è solo un simbolo. Funziona come asset industriale. È costato circa 155 milioni di euro, è entrato in funzione nel 2011 e oggi gli analisti di settore lo valutano tra 300 e 400 milioni, considerando struttura, diritti e capacità di generare ricavi. L’impianto produce flussi stabili, consente pianificazione e riduce l’esposizione ai risultati sportivi di breve periodo.
I numeri di bilancio completano il quadro. Nei cicli più recenti la Juventus ha generato ricavi operativi tra 400 e 450 milioni di euro, collocandosi tra i principali club europei per fatturato, come indicano i report Deloitte football money league. Prima della pandemia, i ricavi da stadio oscillavano tra 60 e 70 milioni di euro a stagione, ai vertici della Serie A. Su queste basi, applicando multipli utilizzati per club con brand globale e asset infrastrutturali, negli ambienti finanziari la valutazione industriale della Juventus viene collocata tra 1,5 e 2 miliardi di euro, al netto delle variabili sportive.
Il confronto con il mercato rafforza questa lettura. Il Milan è stato ceduto a RedBird per circa 1,2 miliardi di euro, senza stadio di proprietà e con una governance più complessa. Quel prezzo resta un riferimento nel calcio italiano. Se quella è stata la valutazione di un top club privo dell’asset stadio, risulta difficile immaginare che la Juventus possa essere trattata allo stesso livello senza che il socio di controllo giudichi l’operazione penalizzante.
A incidere è anche il profilo dell’offerente. Tether, principale emittente globale di stablecoin, opera in un perimetro regolatorio diverso da quello degli intermediari tradizionali, seguito con attenzione anche da Consob. Dopo l’ultimo aumento di capitale bianconero, Standard & Poor’s ha declassato la capacità di Usdt di mantenere l’ancoraggio al dollaro. Sul piano reputazionale pesa, inoltre, il giudizio dell’Economist (del gruppo Exor), secondo cui la stablecoin è diventata uno strumento utilizzato anche nei circuiti dell’economia sommersa globale, cioè sul mercato nero.
Intorno alla Juventus circolano anche altre ipotesi. Si parla di Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica e azionista di EssilorLuxottica attraverso la holding di famiglia Delfin, dopo l’offerta presentata su Gedi, e di un possibile interesse indiretto di capitali mediorientali. Al momento, però, mancano cifre e progetti industriali strutturati. Restano solo indiscrezioni.
Sullo sfondo continua intanto a emergere il nome di Andrea Agnelli. L’ex presidente dei nove scudetti ha concluso la squalifica e raccoglie il consenso di una parte ampia della tifoseria, che lo sogna come possibile punto di ripartenza. L’ipotesi che circola immagina un ritorno sostenuto da imprenditori internazionali, anche mediorientali, in un contesto in cui il fondo saudita Pif, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e già proprietario del Newcastle, si è imposto come uno dei principali attori globali del calcio.
Un asse che non si esaurisce sul terreno sportivo. Lo stesso filone saudita riaffiora nel dossier Gedi, ormai entrato nella fase conclusiva. La presenza dell’imprenditore greco Theodore Kyriakou, fondatore del gruppo Antenna, rimanda a un perimetro di relazioni che incrocia capitali internazionali e investimenti promossi dal regno saudita. In questo quadro, Gedi - che comprende Repubblica, Stampa e Radio Deejay - è l’unico asset destinato a cambiare mano, mentre Exor ha tracciato una linea netta: il gruppo editoriale segue una strada propria, la Juventus resta fuori (al momento) da qualsiasi ipotesi di cessione.
Jaki sembra un re Mida al contrario: uccide ciò che tocca ma rimane ricco
Finanziere puro. John Elkann, abilissimo a trasformare stabilimenti e impianti, operai e macchinari, sudore e fatica in figurine panini da comprare e vendere. Ma quando si tratta di gestire aziende «vere», quelle che producono, vincono o informano, la situazione si complica. È un po’ come vedere un mago dei numeri alle prese con un campo di calcio per stabilirne il valore e stabilire il valore dei soldi. Ma la palla… beh, la palla non sempre entra in porta. Peccato. Andrà meglio la prossima volta.
Prendiamo Ferrari. Il Cavallino rampante, che una volta dominava la Formula 1, oggi ha perso la capacità di galoppare. Elkann vende il 4% della società per circa 3 miliardi: applausi dagli azionisti, brindisi familiare, ma la pista? Silenziosa. Il titolo è un lontano ricordo. I tifosi hanno esaurito la pazienza rifugiandosi nell’ironia: «Anche per quest’anno vinceremo il Mondiale l’anno prossimo». E cosi gli azionisti. Da quando Elkann ha collocato quelle azioni il titolo scende e basta. Era diventato il gioiello di Piazza Affari. Dopo il blitz di Elkann per arricchire Exor il lento declino.
E la Juventus? Sotto Andrea Agnelli aveva conquistato nove scudetti di fila, un record che ha fatto parlare tutta Italia. Oggi arranca senza gloria. Racconta Platini di una breve esibizione dell’erede di Agnelli in campo. Pochi minuti e si fa sostituire. Rifiata, chiede di rientrare. Il campione francese lo guarda sorridendo: «John, questo è calcio non è basket». Elkann osserva da lontano, contento dei bilanci Exor e delle partecipazioni finanziarie, mentre tifosi e giornalisti discutono sulle strategie sportive. La gestione lo annoia, ma la rendita finanziaria quella è impeccabile.
Gedi naviga tra conti in rosso e sfide editoriali perdenti. Cairo, dall’altra parte, rilancia il Corriere della Sera con determinazione e nuovi investimenti. Elkann sorride: non è un problema gestire giornali, se sai fare finanza. La lezione è chiara: le aziende si muovono, ma i capitali contano di più.
Stellantis? La storia dell’auto italiana. La storia della dinastia. Ora un condominio con la famiglia Peugeot. Elkann lascia fare, osserva i mercati e, quando serve, vende o alleggerisce le partecipazioni. Anche qui, la gestione operativa non è il punto forte: ciò che conta è il risultato finanziario, non il numero di auto prodotte o le fabbriche gestite.
E gli investimenti? Alcuni brillano, altri richiedono pazienza. Philips è un esempio recente: un investimento ambizioso che riflette la strategia di diversificazione di Exor, con qualche rischio incorporato. Ma se si guarda al quadro generale, Elkann ha accumulato oltre 4 miliardi di liquidità entro metà 2025, grazie a vendite mirate e partnership strategiche. Una cifra sufficiente per pensare a nuove acquisizioni e opportunità, senza perdere il sorriso.
Perché poi quello che conta per John è altro. Il gruppo Exor continua a crescere in valore. Gli azionisti vedono il titolo passare da un minimo storico di 13,44 euro nel 2011 a circa 72 euro oggi, e sorridono. La famiglia Elkann Agnelli si gode i frutti degli investimenti, mentre il mondo osserva: Elkann è il finanziere perfetto, sa fare ciò che conta davvero, cioè far crescere la ricchezza e proteggere gli asset della famiglia.
In fondo, Elkann ci ricorda che la finanza ha il suo fascino anche quando la gestione aziendale è complicata: vendere, comprare, accumulare, investire con giudizio (e un pizzico di fortuna) può essere altrettanto emozionante che vincere scudetti, titoli di Formula 1 o rilanciare giornali. Il sorriso di chi ha azioni Exor vale più di qualsiasi trofeo, e dopotutto, questo è il suo segreto.
Le scarcerazioni decise dal tribunale del Riesame alla fine dell’estate non hanno chiuso l’inchiesta sull’urbanistica milanese. Anzi. Il sequestro del cantiere di via Anfiteatro 7, nel cuore di Brera, mostra che l’indagine è entrata in una nuova fase. Meno centrata sui singoli episodi, ma più concentrata sui meccanismi amministrativi che hanno governato la trasformazione del centro storico negli anni delle giunte guidate da Giuseppe Sala.
Nel centro di Milano il mattone vale oro. Tra Brera, via Anfiteatro e via della Zecca le quotazioni superano stabilmente i 15.000 euro al metro quadro. Nei casi più ambiti, per nuove costruzioni o interventi di pregio, si arriva a 20.000 euro. È qui che si concentrano gli affari immobiliari più redditizi della città. Ed è qui che, secondo la Procura, per anni ha preso forma un meccanismo parallelo capace di orientare pratiche e interpretazioni urbanistiche.
Il sequestro di via Anfiteatro va letto in questa chiave, non come un singolo abuso, ma come la spia di un sistema. Un circuito informale che avrebbe coinvolto dirigenti comunali, funzionari, progettisti e organismi tecnici.
Un assetto che, scrive il gip Mattia Fiorentini, avrebbe consentito di aggirare le regole del centro storico senza modificarle apertamente.
Le carte descrivono una rete di relazioni consolidate. Al centro compare Giovanni Oggioni, storico dirigente dell’edilizia comunale, protagonista anche del passaggio dal vecchio Prg al Pgt tra il 2010 e il 2012. Attorno a lui si muovono Marco Emilio Maria Cerri, progettista di riferimento per grandi operazioni immobiliari, Andrea Viaroli, funzionario del Sue, e Carla Barone, dirigente dello stesso settore. Per il giudice non si tratta di coincidenze. Ma dell’esistenza di un ufficio parallelo, capace di incidere sugli iter amministrativi.
Lo snodo è la determina dirigenziale 65 del 2018, adottata durante la giunta Sala. Un atto tecnico, mai discusso in Giunta o in Consiglio, ma centrale. Secondo il decreto di sequestro, quella determina consente di sostituire il piano attuativo con una semplice Scia anche nel centro storico. Un passaggio che riduce i controlli e accorcia i tempi. Proprio nelle aree dove le tutele dovrebbero essere massime.
Il piano attuativo non è una formalità. Serve a valutare l’impatto complessivo degli interventi: volumi, altezze, distanze, standard, servizi, carico urbanistico. Evitarlo significa rendere più agevoli operazioni più grandi e più redditizie. Accade nelle zone B2 e B12, nate per il recupero dell’esistente e la tutela del tessuto storico, non per l’aumento delle volumetrie.
Tra i documenti interni e riservati conservati da Oggioni compaiono anche materiali relativi alla torre di via Stresa, un’altra operazione immobiliare riconducibile alla famiglia Rusconi, già coinvolta nel progetto di via Anfiteatro. Un collegamento che, per gli inquirenti, conferma la ricorrenza degli stessi operatori e delle stesse prassi.
Secondo il gip, parte di questi file sarebbe stata occultata. Dopo il 7 novembre 2024, quando Oggioni riceve la notifica del sequestro dei dispositivi elettronici, alcuni documenti vengono cancellati. Il decreto parla apertamente di depistaggio. Un passaggio che sposta il baricentro dell’indagine: non solo irregolarità urbanistiche, ma interferenze sul corretto svolgimento delle indagini.
Il perimetro non si ferma a via Anfiteatro. Le indagini toccano anche via Zecca Vecchia e in un’informativa compare anche per Largo Claudio Treves, sempre nel quartiere Brera. Qui il progetto promosso da Stella R.E., dopo l’acquisto dell’immobile comunale nel 2021, prevede un nuovo edificio residenziale di nove piani. L’operazione si inserisce in uno dei filoni centrali dell’indagine della Procura, quello sulla dismissione del patrimonio pubblico nel centro storico. Lo stesso immobile è stato ceduto dal Comune all’asta per una cifra che tocca i 50 milioni di euro. Nelle carte il progetto viene discusso anche da Giuseppe Marinoni e Giancarlo Tancredi: l’ex assessore spera non ci siano intoppi.
A Milano, nel cuore di Brera, un’area venduta per 20,9 milioni di euro è diventata un affare capace di sfiorare i 50 milioni di ricavi. Il progetto «Unico-Brera» dei costruttori Carlo Rusconi e Stefano Rusconi si reggeva su permessi comunali concessi come ristrutturazione e non come nuova costruzione. Una classificazione che ha aperto la strada a risparmi sugli oneri, tempi più rapidi e un aumento del margine operativo.
Ieri la Guardia di finanza ha sequestrato i due edifici di via Anfiteatro 7: la torre di 11 piani e il corpo di 4, per 27 appartamenti. Il gip Mattia Fiorentini ha accolto la richiesta dei pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, con l’aggiunto Tiziana Siciliano. Per l’accusa, dietro quella Scia c’era un edificio nuovo. E mancavano perfino le verifiche antincendio. Sono 27 gli indagati per le ipotesi di lottizzazione abusiva, abuso edilizio e falso ideologico, tra progettisti, tecnici comunali, membri della commissione Paesaggio e i costruttori Rusconi.
Brera è uno dei mercati immobiliari più cari d’Italia e le nuove costruzioni possono raggiungere i 10/15.000 euro al metro quadro. «Unico-Brera» poteva valere oltre 42 milioni. Decisivo lo sconto sugli oneri: 800.000 euro pagati con la Scia contro i circa due milioni dovuti per una nuova costruzione.
L’ex vicesindaco Riccardo De Corato ha attaccato il sindaco Giuseppe Sala, chiedendo che si assuma la responsabilità politica di un sistema che continua a produrre «casi disastrosi». La storia del lotto è segnata da continui cambi di rotta. Negli anni Ottanta era destinato a ospitare nove alloggi popolari. Nel 2006 i ruderi settecenteschi vengono demoliti d’urgenza. Nel 2007 e nel 2008 risultano ancora «complessi edilizi con valore storico testimoniale». Nel 2010 passa a Bnp Paribas per 20,9 milioni di euro. Nel 2018 arriva ai Rusconi.
I residenti protestano da anni. Alberto Villa, che vive accanto al cantiere, ha perso i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato e oggi denuncia balconi a pochi metri, una lamiera davanti alle finestre e un appartamento che non riesce più ad affittare. Per il gip la ristrutturazione è solo una formula. La Scia non basta. La natura di nuova costruzione era «talmente ovvia» che nei progetti scompaiono i metri cubi e resta solo la superficie lorda di pavimento. Marco Emilio Maria Cerri, allora nella commissione Paesaggio, aveva spiegato agli inquirenti che «a Milano si usa così». Il gip definisce quella giustificazione uno «stravolgimento del significato letterale», ricordando che il progettista precedente calcolava regolarmente i volumi.
Le intercettazioni aggravano il quadro. Il 26 settembre 2024 Cerri ammette all’architetto Andrea Beretti: «Anche la pratica di Anfiteatro l’ho categorizzata come ristrutturazione». Pochi giorni prima, parlando con Giovanni Oggioni, ex vicepresidente della commissione Paesaggio già arrestato a marzo, teme guai imminenti: «Prima o poi arriverà anche Anfiteatro».
Secondo la Procura, l’area era in zona B2, dove sono ammessi solo restauri e risanamenti conservativi. Le stesse regole sarebbero state confermate nei Pgt 2012 e 2020, ma la Guardia di finanza non le trova più negli uffici comunali e le recupera solo nella Cittadella degli Archivi. Per il gip non esiste buona fede: costruttori, progettisti e tecnici comunali «non erano sprovveduti». Un piano attuativo avrebbe certamente bocciato il progetto. L’avvocato Michele Bencini, legale di Rusconi, ricorda che Tar e Consiglio di Stato nel 2021 e 2022 avevano giudicato regolare il percorso amministrativo e definito «infondata» la lettura urbanistica ora adottata dalla Procura. Annuncia ricorso contro il sequestro.
Il caso di via Anfiteatro si intreccia con quello di viale Papiniano 48. Lì il gip Sonia Mancini ha dissequestrato un cantiere riconoscendo la buona fede dei costruttori e del progettista Mauro Colombo. La Procura ha impugnato il provvedimento. I pm Giovanna Cavalleri e Luisa Baima Bollone sostengono che un imprenditore esperto non possa invocare incertezza delle norme quando trae «vantaggi economici lucrabili». Richiamano la giurisprudenza che impone cautela: in caso di dubbio, i lavori devono fermarsi. Un principio che ritorna anche in via Anfiteatro.
Sullo sfondo, la questione abitativa della città. Mentre operazioni milionarie su aree pubbliche dismesse inseguono la massima rendita, l’edilizia sociale rallenta. Ieri il Consorzio cooperative lavoratori ha presentato il catalogo dei suoi 50 anni: 15.800 abitazioni costruite, 8.041 solo a Milano, 135.000 metri quadrati di spazi pubblici restituiti ai quartieri. Il presidente Alessandro Maggioni ha ricordato che «la cooperazione è un soggetto di mercato con finalità sociali, capace di generare valore e redistribuzione». Poi ha puntato il dito sul presente: 390 alloggi sono pronti, ma fermi in attesa di atti comunali. Un paradosso che pesa.
A Milano chi rispetta le regole frena, chi le piega invece accelera. Almeno finché un cantiere non si ritrova i sigilli della Guardia di finanza.




