2025-02-26
Bruxelles: «Paesi sicuri, ha ragione l’Italia»
Alla Corte europea parte il processo al protocollo del governo Meloni con l’Albania. L’avvocatura della Commissione si schiera con Roma: «La sua lista è legittima, non è necessario che nella nazione d’origine debbano essere tutelati tutti i cittadini».È cominciato in Lussemburgo il processo politico più surreale dell’anno: quello dell’Europa contro se stessa. S’intitola «Paese terzo sicuro», si tiene davanti alla Corte di giustizia europea. In apparenza vede protagonisti il governo italiano che chiede di poter trasferire nei due centri in Albania i migranti e dall’altra il tribunale di Roma che ha fatto ricorso per impedirglielo. Fin qui niente di nuovo, solo la guerra dei 30 anni trasferita all’estero. In realtà il convitato di pietra è la stessa Unione europea. In palio ci sono la sovranità delle 27 nazioni Ue e il primato dell’Europa come istituzione nel decidere quali politiche migratorie adottare senza chiedere il permesso alle toghe. Uno snodo chiave, alla luce delle ultime elezioni nei Paesi membri che hanno certificato l’importanza strategica del tema «migranti» nelle agende elettorali.La prima udienza si è tenuta ieri e ha preso corpo da due ricorsi del tribunale di Roma relativi a due immigrati dal Bangladesh; i giudici non hanno riconosciuto la legittimità dei fermi disposti per i migranti soccorsi in Mediterraneo e trasferiti nei centri di Schengjin e Gjader. L’elemento di corto circuito della vicenda è l’interpretazione del concetto di «Paese terzo sicuro» in particolare per Egitto e Bangladesh, formula utilizzata per giustificare l’accompagnamento in Albania con la procedura accelerata per esaminare le domande d’asilo. Il tribunale italiano ha sollevato un’eccezione di legittimità e la patata bollente è finita in Lussemburgo. Ora l’iter procedurale è relativamente semplice: sentite le parti, entro il 10 aprile l’avvocato generale della Corte di giustizia, Jean Richard de la Tour, renderà note le sue conclusioni sui due casi del protocollo Italia-Albania e sulla definizione di Paesi d’origine considerati sicuri. Al termine di questa fase toccherà al collegio giudicante presieduto dal giurista belga Koen Lenaerts (ne fa parte anche l’italiano Massimo Condinanzi) sentenziare entro un mese da allora, con una certa urgenza determinata dal tema, quindi entro fine maggio. La sentenza è molto delicata e rischia di andare contro gli interessi della stessa Commissione europea, in questi mesi particolarmente sollecitata dalla premier italiana Giorgia Meloni ad aggiornare e rinnovare la direttiva Ue sui Paesi sicuri proprio per non rimanere intrappolata dentro i propri sofismi «e compromettere le politiche di rimpatrio di tutti i Paesi membri».L’importanza politica dell’argomento è sottolineata da un assist all’Italia arrivato proprio ieri in udienza dall’avvocatura della Commissione di Bruxelles. La legale Flavia Tomat non ha avuto alcun problema a fare esercizio di realpolitik e ha annunciato che «la Commissione europea è disposta ad accettare che la direttiva 2013/32 sulle procedure d’asilo consenta agli Stati membri di designare Paesi d’origine come sicuri, prevedendo delle eccezioni per categorie di persone». Di fatto Bruxelles fa sapere che le norme «non impediscono di designare un Paese d’origine come sicuro anche quando la sicurezza non è garantita nel suo complesso per determinate categorie di persone». L’avvocatessa Tomat, friulana, ha poi precisato che queste categorie «devono essere ben identificabili».Un colpo di piccone preliminare al ricorso del tribunale di Roma, che si fonda su due pilastri. Il primo è il convincimento che il legislatore nazionale non possa «procedere a designare direttamente uno Stato terzo come Paese di origine sicuro con atto legislativo primario» senza bypassare il diritto preminente dell’Unione. E il secondo che «uno Stato non possa essere considerato sicuro quando sono presenti gruppi sociali per i quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione».Ieri in udienza ha preso la parola anche la rappresentanza del governo italiano. Il pool è formato dall’agente del governo Sergio Fiorentino e dai legali dell’Avvocatura di Stato Ilia Massarelli, Emanuele Feola e Lorenzo D’Ascia. In consonanza con la legale della Commissione Ue, quest’ultimo ha spiegato che «la sicurezza di un Paese non deve necessariamente essere soddisfatta egualmente per tutti gli individui. Non c’è un concetto di Paese sicuro in senso assoluto, privo di alcun margine di insicurezza personale; si tratterebbe di una condizione sganciata dalla realtà». L’avvocato ha difeso anche la procedura accelerata, sostenendo che non comporta minori garanzie. «Se ci trovassimo di fronte a un flusso migratorio normale e gestibile, e non a un fenomeno epocale come quello che stiamo affrontando in questi anni, i tempi normali delle procedure sarebbero proprio quelli della procedura che oggi chiamiamo accelerata».L’utopia del Paese sicuro in assoluto è comprensibile a chiunque passeggi di sera in alcune zone di Milano, Roma, Napoli, Palermo. Il concetto è contestato dall’avvocato «esperto in migrazioni» (si definisce così) Dario Belluccio, difensore dei ricorrenti, che accusa in aula l’Italia di «avere tradito i principi di certezza del diritto e di eguaglianza» nell’inviare in Albania i migranti. «Il pletorico elenco del governo italiano di 19 Stati qualificati come sicuri contro i 9 della Germania è la dimostrazione lampante della volontà dei governi di piegare i diritti di asilo alle logiche del diritto dell’immigrazione». Un inciampo involontario; la Germania rimpatria in Afghanistan ma nessun giudice a Berlino si è mai sognato di invocare l’Europa per impedirglielo.
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