2025-10-16
Euro-tafferugli sui migranti. Però gli Stati membri sposano il modello Albania
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
Varsavia: «Da noi già troppi ucraini, frontiere chiuse». I tedeschi per gli hub in Paesi terzi. L’Olanda: «Patto con l’Uganda». Invece è stallo sui rimpatri validi in tutta l’Ue.Europa unita e solidale, tranne se c’è da prendersi i migranti. La Polonia dice che ha in casa troppi rifugiati ucraini: non accetterà quote di stranieri né pagherà per un’esenzione dai doveri di accoglienza. Anzi: Varsavia pretende di ricevere altri finanziamenti proprio per gestire la crisi umanitaria al confine orientale. Pure il Belgio non sente ragioni: «Ha già un onere sproporzionato», sostiene il suo ministro, Anneleen Van Bossuyt. Sborserà quattrini pur di non ospitare nessuno, «perché i nostri centri di accoglienza sono pieni». Bruxelles ribadisce che il regolamento di Dublino va applicato. Tradotto: i migranti sono anzitutto un problema del Paese in cui sbarcano. Cioè nostro. È la stessa posizione della Svezia: «Senza Dublino non può esserci solidarietà», dichiara il ministro Johan Forssell. Noi ci becchiamo barconi e barchini; dopo si vede dove sta l’Europa.Il ministro finlandese, Mari Rantanen, chiarisce: «Non accetteremo migranti da altri Stati membri». Idem l’Ungheria. Ma anche Francia e Germania fanno le bizze: queste ultime, in particolare, sulla parte del nuovo Patto sulle migrazioni, in vigore da fine giugno 2026, in virtù della quale gli ordini di rimpatrio emessi da un Paese europeo dovranno essere riconosciuti ed eseguiti in qualunque altra nazione dell’Unione. La preoccupazione di Parigi e Berlino, oltre che dei belgi, è che tocchi a loro acollarsi tutti gli oneri della remigrazione. La resistenza è tale che la presidenza danese di turno dell’Ue, stando alle bozze consultate da Euractiv, sarebbe orientata a proporre il rinvio di ben tre anni delle disposizioni sui rimpatri.Martedì, al Consiglio Giustizia e affari interni del Lussemburgo, lo spirito comunitario si è dunque liquefatto sul dossier immigrazione. Ciascuno spera che sia qualcun altro - i soliti mediterranei - a fare i conti con la patata bollente degli arrivi dall’Africa. A otto mesi dalla sua entrata in vigore, il vertice serviva a fare il punto sul Patto, che per l’Italia porterà delle novità importanti. Tipo la possibilità di considerare sicuri i Paesi di partenza, con eccezioni per parte del loro territorio e per alcune categorie di cittadini. È un aspetto centrale, perché è su questo che si sono impuntati i giudici, sia della Corte Ue sia dei nostri tribunali, per bocciare i trattenimenti di bengalesi ed egiziani nel Cpr balcanico. Dovrebbe subentrare anche una lista unica di Stati sicuri, più difficile da cassare a colpi di sentenze, benché i magistrati italiani conservino la facoltà di sindacarla. Cruciale, inoltre, l’istituzionalizzazione delle procedure accelerate di rimpatrio alla frontiera, elemento costitutivo della nostra intesa con Tirana. Nell’Ue, i nodi del contendere riguardano, in primo luogo, il ricollocamento degli stranieri sbarcati al Sud del continente. Stando alle regole in vigore da giugno 2026, i nostri partner potranno scegliere se riceverli oppure corrispondere una somma per ogni persona non ospitata, alimentando un fondo con il quale finanziare il controllo dei flussi all’origine e nei Paesi di transito. Eppure, c’è chi - è il caso della Polonia di Donald Tusk - non vuole né accogliere né pagare.L’altra fonte di attriti riguarda gli automatismi nel riconoscimento dei provvedimenti di rimpatrio: resta forte la pressione affinché siano gli Stati di arrivo a sbrigare la maggior parte delle incombenze.Dopodiché, non mancano i motivi per essere ottimisti. Persino i governi progressisti hanno capito che la stretta ai confini è imprescindibile. Così, il ministro dell’Interno tedesco, Alexander Dobrindt, l’altro ieri ha elogiato le «soluzioni innovative» che consentirebbero di aprire «hub di rimpatrio» in Paesi terzi, sulla scorta del protocollo di Giorgia Meloni con Edi Rama. È una posizione sulla quale, ormai, pressoché tutti gli Stati Ue concordano. E l’Olanda è già un gradino oltre: il ministro David Van Weel ha annunciato un accordo con l’Uganda, che «diventerà un centro di transito dove potremo inviare» gli irregolari, in attesa di rimpatrio. È il modello Albania di Amsterdam.Il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, non ha potuto recarsi personalmente al summit lussemburghese, trattenuto qui dalla tragedia dei carabinieri uccisi nel Veronese e dalla necessità di seguire da vicino la situazione a Udine, in vista della partita con Israele. L’Italia, che ha inviato il suo ambasciatore, intanto sta lavorando su almeno tre fronti. Primo, il rafforzamento della dimensione esterna in materia di rimpatri, che include non solo la realizzazione degli hub, ma anche la possibilità di gestire le pratiche direttamente in Paesi extra Ue. Secondo, l’adozione delle procedure accelerate di frontiera. Terzo, il potenziamento del sistema dei rimpatri volontari assistiti. Il che implicherebbe un incremento delle risorse comunitarie indirizzate all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, responsabile di coordinare i progetti avviati soprattutto con la Libia. Nel 2024, il meccanismo è valso 20.000 sbarchi in meno. Di fronte a un’Unione sospesa tra egoismo e cooperazione, è impossibile non notare che i formati più promettenti non sono quelli centralizzati, bensì quelli basati sull’interlocuzione tra nazioni che condividono interessi comuni. Capaci di tradurre l’identità di vedute in istanze da far valere in sede di Consiglio. Nel caso dei migranti, parliamo di Med5 (l’alleanza Italia-Cipro-Grecia-Malta-Spagna), il trilaterale sui confini di terra con Slovenia e Croazia, il triduo con Parigi e Berlino lanciato lo scorso agosto. L’Europa funziona meglio quando ce n’è di meno.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
iStock
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
Per scaricare il numero di «Valore Donna» basta cliccare sul link qui sotto.
Valore Donna-Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci