2022-01-26
Mancano anestesisti. Le Asl chiamano la coop degli scandali
Per sopperire alle carenze di personale, le aziende sanitarie si rivolgono alla Fenice, accusata di irregolarità in mezza Italia.La Corte suprema dello Stato di New York blocca l’obbligo delle mascherine in scuole e luoghi pubblici voluto dai dem. Intanto l’Olanda riapre tutto e la Danimarca declassa il Covid: «Non è più emergenza».Lo speciale contiene due articoli.In ogni Regione continuano a mancare anestesisti e rianimatori, che spesso vengono forniti da cooperative. Servizi pagati tanto all’ora e ottenuti attraverso appalti, ma che possono far dubitare sulla qualità della prestazione professionale offerta. Una segnalazione venne fatta già nell’agosto scorso, al direttore generale dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (Asrem), da parte della presidente dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi della provincia di Campobasso, Carolina De Vincenzo, che esprimeva «grande preoccupazione per criticità e disservizi verificatisi a seguito del reclutamento di personale sanitario dalla cooperativa La Fenice di Sassuolo per conto dell’Asrem, che con essa ha stipulato contratti ad hoc». La dottoressa era perplessa per «l’affidamento di turni pur in assenza dei titoli e delle specializzazioni necessari per svolgere tale lavoro» e chiedeva se «oltre la parte economica, siano stati individuati indicatori per salvaguardare l’efficienza e la qualità dei servizi sanitari aziendali». La Fenice è una cooperativa conosciuta dai vertici delle Asl, nel bene e nel male. Il 24 febbraio 2020, l’Azienda Ulss 9 Scaligera che aveva cercato supporto anestesiologico per il Pronto soccorso dell’ospedale di Bussolengo, in provincia di Verona, esclude dalla gara La Fenice e la società di Patrizia Serafini perché «vi è un intreccio parentale tra gli organi rappresentativi» e perché hanno presentato «il documento relativo ai cv dei medici anestesisti che eseguiranno il servizio oggetto dell’appalto, praticamente identico». L’Ulss conclude che ci sia «un unico centro decisionale». All’azienda sanitaria tenta di replicare il 6 marzo Artemio Serafini, allora presidente della Fenice nonché fratello di Patrizia e Simonetta Serafini. Quest’ultima, nel giugno 2021 subentrerà come presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa che nel frattempo da Catania si era trasferita a Sassuolo, provincia di Modena, in via Tien An Men 4. Serafini, nel marzo 2020, spiega che «La Fenice ha la propria sede e fissa il luogo principale dell’esecuzione delle proprie attività societarie in Sicilia», mentre «la Serafini Patrizia opera come ditta individuale in provincia di Modena». La spiegazione non convince, la gara viene aggiudicata a una terza società. Venti giorni prima, sempre nel febbraio 2020, il Serafini otteneva invece il servizio di assistenza medica al Pronto soccorso e il servizio notturno di guardia ostetrico ginecologica del presidio ospedaliero di Melzo per circa 350.000 euro l’anno. Ma di che cosa si occupa La Fenice? Dal settembre 2019 opera nel campo dell’assistenza sociale e in un’infinità di altri settori, dai centri per anziani a quelli per extracomunitari. Si dice pure in grado di assicurare «lo svolgimento di servizi medici presso servizi di Pronto soccorso o reparti di degenza, attività ambulatoriale, riguardanti le varie specializzazioni». Dietro a questa cooperativa e dietro ad Artemio Serafini c’è la cooperativa Solaris, fallita, e la cooperativa sociale La Cometa, «con la quale ha stipulato un contratto di affitto di azienda», come spiega all’Ulss 8 Iberica che il 7 luglio 2021 respinge la domanda di partecipazione della Fenice alla fornitura di prestazioni mediche, per una serie di gravi inadempienze segnalate nella banca dati tenuta dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) e inviate dalle Marche, dal Trevigiano, da Melzo. Nello stesso mese, due giorni prima, l’Azienda socio sanitaria della Valle Olona, provincia di Varese, pur prendendo atto delle stesse annotazioni Anac, «stante l’emergenza da Covid-19 in corso e lo stato di emergenza» deliberava di affidare alla Fenice il servizio di 365 turni diurni e 365 turni notturni di anestesia e rianimazione per l’importo complessivo di 991.237 euro. Come dire, non convinceva ma altri non erano in grado di fornire medici. L’Asl1 Liguria, invece, il 17 settembre 2021 decide la risoluzione del contratto con La Fenice per «mancato avvio del servizio e la conseguente mancata copertura dei turni» dei medici.Ma torniamo ad Artemio Serafini, classe 1970, originario di Carpi. Si dà da fare in diverse cooperative rosse, eppure nel 2012 la prefettura di Brindisi lo esclude dal bando di gara riguardante l’affidamento del servizio di gestione del centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Restinco. La motivazione è che «la documentazione agli atti non permette di conoscere l’attuale rappresentante legale della cooperativa Solaris, né di converso la legittimità di tutta la documentazione sottoscritta e presentata dal signor Artemio Serafini quale dichiarante rappresentante legale/presidente». Il carpigiano non si dà molta pena, continuerà ad occuparsi di migranti come al centro di Eraclea in Veneto dove è il referente della cooperativa Solaris. Nel 2015 viene accusato di non pagare gli operatori, a luglio di quell’anno un centinaio di migranti ospiti al residence Mimose gettano in strada i vassoi con la cena per protestare sulla gestione del centro. L’anno prima, furono i dodici dipendenti di un centro diurno sempre gestito dalla Solaris a protestare perché non ricevevano lo stipendio. Dai migranti agli anestesisti, Serafini sembra occuparsi di tutto e si aggiudica appalti. «Non c’è più tempo. Troppo scarsa la dotazione organica di anestesisti e rianimatori negli ospedali del Padovano per continuare a garantire i servizi essenziali, pena il rischio di interruzione di pubblico servizio», scriveva qualche giorno fa Il Mattino di Padova. A vincere la gara è stata ancora una volta La Fenice, che per un mese garantirà 110 turni al costo di 135.960 euro, una cifra superiore a quella proposta da un altro concorrente che partecipava all’appalto ma, scrive sempre il quotidiano locale, «secondo la valutazione dell’Uls 6 Euganea, questa cooperativa “evidenzia una maggiore esperienza nell’effettuazione di servizi medici di vario genere presso strutture sanitarie diverse, con un’organizzazione maggiormente consolidata”».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mancano-anestesisti-asl-coop-scandali-2656478813.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mascherine-bocciate-a-new-york" data-post-id="2656478813" data-published-at="1643173600" data-use-pagination="False"> Mascherine bocciate a New York «Seppur le intenzioni del commissario Mary Bassett e del governatore Kathy Hochul appaiano mirate a fare ciò che credono sia giusto per proteggere i cittadini dello Stato di New York, devono portare il caso all’Assemblea dello Stato di New York». È in queste poche righe il succo della motivazione con cui Thomas Rademaker, giudice della Corte suprema della contea di Nassau, ha bocciato l’obbligo di mascherina imposto dal governatore e dal commissario alla Salute dello Stato di New York. È stato fatto scattare nelle scuole e nei luoghi pubblici lo scorso 13 dicembre con l’obiettivo di frenare la diffusione della variante Omicron. Il punto è semplice: secondo il giudice il governo statale non ha l’autorità di imporre un tale obbligo senza il via libera dei deputati. «Per essere chiari», si legge nella motivazione, «questa Corte non intende mettere in discussione in alcun modo questa decisione o comunque opinare sull’efficacia, sulla necessità o sull’obbligo di mascherina come mezzo o strumento per affrontare il virus Covid-19». Piuttosto, il giudice ha giudicato «se la norma in questione è stata promulgata correttamente e, in tal caso, se può essere applicata». Risposta: no. Per questo,«se i parlamentari dello Stato, che rappresentano e sono stati votati dai cittadini di New York, dopo un dibattito aperto al pubblico, decidessero di promulgare leggi che impongono protezioni per il viso nelle scuole e in altri luoghi pubblici, il commissario avrebbe sicuramente un buon fondamento nelle regole correttamente promulgate ed emanate per integrare tali leggi», continua il giudice Rademaker. Ma il governatore dem e i suoi non ci stanno. Hochul ha detto di essere «fortemente» in disaccordo con la sentenza: «La mia responsabilità come governatore è di proteggere i newyorchesi in questa difficile situazione per la salute pubblica, e queste misure aiutano a prevenire la diffusione del Covid-19 e a salvare vite», ha detto. E così il suo esecutivo ha deciso di sfidare la sentenza. Le scuole «devono continuare a seguire la regola della mascherina», si legge in una nota inviata dal dipartimento dell’Educazione agli istituti e pubblicata dall’emittente Cnn. Il dipartimento della Salute farà appello, «il che comporterà una sospensione automatica che ripristinerà inequivocabilmente la regola della mascherina fino al momento in cui una Corte d’appello emetterà una nuova sentenza», recita ancora il documento. Nelle scorse settimane Bruce Blakeman, a capo della contea di Nassau, aveva firmato un ordine esecutive che attribuiva ai consigli scolastici della contea di Long Island la facoltà di decidere se gli studenti debbano o meno indossare le mascherine a scuola. Dopo la decisione del giudice Rademaker ha scritto su Twitter: «Questa è una vittoria importante per studenti e genitori». Ma è anche la vittoria del Partito repubblicano, che infatti festeggia. Intanto, anche in Europa, l’aria rispetto al Covid sembra stia cambiando. Nei Paesi Bassi, da oggi, bar, ristoranti e teatri - chiusi da metà dicembre - possono riaprire, come annunciato ieri dal primo ministro Mark Rutte. I locali potranno ora aprire dalle 5 alle 22, a capienza ridotta e con regole di distanziamento sociale. In Danimarca, invece, la premier Mette Frederiksen dovrebbe annunciare oggi che le restrizioni scadranno il 31 gennaio. Il Covid-19, inoltre, non sarà più classificato come una minaccia critica per la società, con conseguente diminuzione delle possibilità di intervento sulla vita sociale del governo.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)