L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.
«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.
L’Alleanza atlantica, quindi, non bombarderà Mosca. Ma poiché essa stessa ritiene che i blitz virtuali, almeno quelli dalle conseguenze più gravi, rendano necessario attivare l’articolo 5 sulla mutua assistenza, realizzare la proposta di Cavo Dragone equivarrebbe a compiere un atto di guerra nei confronti della Federazione di Vladimir Putin. Sia pure al fine esclusivo di scoraggiare hackeraggi, sconfinamenti nello spazio aereo europeo e disinformazione.
Il punto è che il Trattato Nordatlantico indica nella sicurezza collettiva gli scopi della partnership. La Nato è un’alleanza difensiva. È questo il senso degli articoli 4 e 5 del suo documento fondativo, relativi alle consultazioni tra Stati in caso di minaccia esterna e al soccorso reciproco, nell’eventualità in cui uno di essi venga colpito. Inoltre, come specifica, con estrema trasparenza, persino il sito Web dell’organizzazione, qualunque incursione informatica contro ospedali, reti energetiche, sistemi di difesa e che, in ogni caso, provochi effetti paragonabili a quelli di un raid missilistico, va trattata esattamente come un «attacco armato» convenzionale.
Del dettaglio si è reso conto lo stesso Cavo Dragone, che ritiene di aver trovato un escamotage: l’«attacco preventivo», ha spiegato al quotidiano britannico, potrebbe essere ritenuto «un’azione difensiva», dal momento che scongiurerebbe le imboscate «sporche» del Cremlino. Per la serie: l’attacco è la miglior difesa. Qui, però, non stiamo parlando di catenaccio o di calcio totale. E c’è di mezzo un enorme intoppo legale. Il capo militare della Nato ha ammesso che questo scenario «va oltre il nostro solito modo di pensare e di comportarci». L’organizzazione, da anni, riconosce che quello cyber è un «dominio» analogo a terra, aria, mare e spazio; tuttavia, nemmeno il suo attuale segretario generale, Mark Rutte, si è spinto oltre l’invito a impiegare «l’intera gamma di capacità per dissuadere, difendersi e reagire a tutto lo spettro di minacce cyber». «Forse», ha riflettuto l’ammiraglio sul Financial Times, «dovremmo agire in maniera più aggressiva del nostro avversario». Ma ciò solleverebbe una serie di «domande» sul «quadro giuridico» e sulla «giurisdizione: chi lo farà?».
I nostri partner dell’Europa dell’Est, probabilmente. I quali un po’ si sentono sul collo il fiato di Mosca; un po’ temono una conclusione sfavorevole all’Occidente del conflitto in Ucraina; e un po’ sono convinti che i tempi siano maturi per chiudere le antiche dispute con i rivali russi. Sarebbero proprio i diplomatici di questi Paesi ad aver chiesto al quartier generale di Bruxelles di non limitarsi più a «reagire», bensì di passare alla controffensiva.
In ballo c’è l’interpretazione del concetto di deterrenza: in che modo la si ottiene? «Attraverso azioni di ritorsione», si è interrogato l’ammiraglio, oppure «attraverso un attacco preventivo?». Cavo Dragone ha preso ad esempio l’operazione Baltic Sentry, mirata a prevenire il taglio dei cavi sottomarini: da quando è iniziata, ha osservato, «non è successo nulla». I nemici hanno abbassato la cresta. Ma un conto è pattugliare nostre infrastrutture, un conto è danneggiare quelle degli altri. E un conto sarebbe portare a termine piccole iniziative, un conto sarebbe condurre un’unica missione più eclatante, a mo’ di avvertimento, un conto sarebbe iniziare una vera guerra ibrida su larga scala. Con il pericolo che il confronto si trasformi in uno scontro di artiglierie, duelli aerei e testate ipersoniche.
In Russia - era scontato - non l’hanno presa bene: le dichiarazioni del dirigente Nato, ha affermato Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, sono «un passo estremamente irresponsabile, che indica la volontà di continuare a spingersi verso un’escalation». Non che i sabotaggi di Mosca siano gesti di grande assennatezza...
Le cancellerie occidentali rimangono caute. Il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, ha confermato: «Certamente dobbiamo adottare delle contromisure» alle offensive russe. Quella delle minacce cyber, però, a suo parere «è una questione che deve seguire la Nato». Dopodiché, nell’Alleanza esiste un Consiglio incaricato di assumere le decisioni politiche e formato dai rappresentanti delle nazioni alleate. Per la Lega, «gettare benzina sul fuoco con toni bellici o evocando “attacchi preventivi” significa alimentare l’escalation. Serve responsabilità, non provocazioni». Sarebbe interessante conoscere la posizione ufficiale dell’Italia, visto che la Nato ha percorso un metro in più verso il baratro. I suoi Paesi membri, ha commentato col giornale inglese Cavo Dragone, hanno «molti più vincoli rispetto ai nostri avversari, a causa di etica, leggi e giurisdizione». Già. Ha dimenticato solo di citare quel fastidioso orpello che è la democrazia.







