
A Milano, ma non solo, mi succede con una certa frequenza di incrociare auto di grossa cilindrata con targa ucraina. Non penso si tratti di turisti, né di imprenditori in viaggio d’affari. Immagino siano persone che possono permettersi di fuggire dalla guerra.
Ovviamente non li biasimo: al posto loro probabilmente anche io cercherei di salvare la pelle, mettendo migliaia di chilometri tra me e le bombe di Putin. Però è un dato di fatto che a quasi quattro anni di distanza dall’inizio dell’invasione russa, gli ucraini non ne possano più dei missili che cadono sulle loro teste ogni giorno. Domenica un lettore, che ringrazio perché spesso mi segnala articoli apparsi sulla stampa estera, insieme con gli auguri mi ha mandato un rapporto dell’Unhcr (cioè dell’Onu) sul numero di rifugiati con passaporto di Kiev. Dei 41 milioni di ucraini, almeno otto milioni sarebbero da tempo lontani dalla madre patria. Cioè, un quinto dei residenti a seguito dell’invasione è scappato. Più di un milione e mezzo avrebbe trovato asilo in Polonia, quasi un milione in Germania, 500.000 nella Repubblica Ceca, poi a seguire vengono tutti gli altri Paesi europei: con un’eccezione, gli oltre due milioni e mezzo di profughi che sarebbero riparati in Russia.
Sono certo che tra gli otto milioni di ucraini fuggiti dal loro Paese e dalle bombe ci sono molte donne e bambini. Tuttavia, del numero diffuso dall’alto commissariato delle Nazioni unite fa parte un milione o due di maschi, molti dei quali hanno l’età per essere spediti al fronte. E infatti, per non finirci, disertano: in totale, sarebbero centinaia di migliaia gli ucraini con i requisiti per essere arruolati che se la sono data a gambe levate. Qualcuno attraversando la frontiera a rischio della vita, qualcun altro pagando, perché così come esiste la corruzione nelle forniture (che ha consentito alla nomenclatura di Kiev di farsi i cessi d’oro), esiste anche la corruzione nelle esenzioni e chi se lo può permettere paga per non dover finire in prima linea, accampando malattie e facendo perdere il prima possibile le proprie tracce.
Come detto, non li biasimo: la guerra ha già mietuto centinaia di migliaia di vittime. È di ieri la notizia che negli ultimi dieci mesi del 2025 i russi avrebbero perso 350.000 soldati. Un numero che, se confermato, sarebbe spaventoso. Tuttavia, di fronte ai caduti di Mosca nessuno ci svela quanti siano quelli di Kiev. Possibile che Putin abbia visto morire più di 350.000 uomini e Zelensky nessuno? Vogliamo dire che gli ucraini abbiano subito la metà delle perdite degli invasori? Oppure un quarto? Fosse anche così sarebbero pur sempre 80-90.000 persone, una cifra enorme, soprattutto se confrontata con la popolazione ucraina, per non parlare degli effettivi delle forze armate di Kiev.
Lo so, le mie possono apparire banali considerazioni. Ma in realtà, quando sento dire che Putin manda al macello centinaia di migliaia di russi penso che anche Zelensky stia mandando al macello centinaia di migliaia di ucraini. E senza una pace - oppure, se credete ancora nella pace giusta, chiamatela tregua - non vedo possibilità alcuna di porre fine alla carneficina. Chi se lo può permettere scappa, gli altri vanno a morire. Ma fino a quando? Chi verrà mandato al fronte a combattere per Kiev quando le guarnigioni rimarranno sguarnite? Putin può arruolare con la forza o con le menzogne molti disgraziati che provengono da regioni lontane, ma Zelensky chi può schierare? In teoria l’Europa ha milioni di uomini e molti hanno l’età per essere mandati al fronte, ma non credo che ci sia un solo governo della Ue (ma anche dell’Occidente) che sia pronto a perdere i propri soldati in guerra. L’opinione pubblica delle cosiddette democrazie non potrebbe accettare di vedere tornare le bare dei caduti avvolte nelle bandiere. Dunque, continuare a inviare armi e soldi non ha senso. Così come non ha senso invocare altre sanzioni. Se quattro anni fa si fosse cercata un’intesa per raggiungere una tregua ci saremmo risparmiati milioni di morti, centinaia di migliaia di danni e una crisi economica che ha reso fragile e vulnerabile l’industria europea. Soprattutto avremmo evitato un conflitto con cui si è dimostrato al mondo che non sempre, come nei film, vincono i buoni. La prima e la seconda guerra mondiale hanno rappresentato nella percezione collettiva il trionfo del bene sul male. Il conflitto in Ucraina rischia di testimoniare che, a volte, ad averla vinta è il male. E non è un bell’insegnamento in un mondo in cui le dittature governano gran parte della popolazione mondiale.






