Il Napoli è supercampione d’Italia. A Riyadh gli azzurri battono 2-0 il Bologna e conquistano la seconda Supercoppa italiana della loro storia, chiudendo la finale già all’inizio della ripresa con la doppietta di Neres. In una finale mai realmente sfuggita al controllo degli azzurri è stata la squadra di Antonio Conte a confermarsi supercampione d’Italia. Il Bologna è rimasto in gara soltanto nel primo tempo fino al momento in cui il lampo di Neres ha abbagliato prima Ravaglia e poi tutti i 17.869 spettatori del Al-Awwal park, compresi i cosiddetti figuranti che durante la partita non hanno comunque fatto mancare la propria partecipazione da una parte e dall’altra urlando «Napuli, Napuli, Napuli» o «Bulugna, Bulugna, Bulugna»; ma che arrivato il triplice fischio di Colombo hanno pensato bene di abbandonare in fretta e furia lo stadio senza godersi nemmeno lo spettacolo della premiazione.
Fermo restando che il bilancio degli spettatori presenti alla finalissima ha comunque superato di circa un migliaio quello della semifinale di venerdì tra Bologna e Inter, va al tempo stesso sottolineato per dovere di cronaca che per evitare un colpo d’occhio non da finale le due curve del secondo anello sono state coperte con teloni raffiguranti il logo della Supercoppa e quelli dei club. Ma lo spettacolo è stato soprattutto quello confezionato dalla Lega Serie A prima del calcio d’inizio, con la passerella sul prato per alcune leggende del calcio italiano, da Roberto Baggio e Alessandro Del Piero a Fabio Capello, Christian Vieri e Marco Materazzi, Leonardo Bonucci, Ciro Ferrara, Vincent Candela e Christian Panucci. A completare lo show prepartita un mix di giochi di luci laser, getti di fuoco a bordo campo e fuochi d’artificio a illuminare il cielo di Riyadh. Finito lo spettacolo, finalmente il campo.
Conte non ha toccato nulla rispetto alla semifinale vinta contro il Milan e ha confermato l’undici titolare con Neres e McTominay ad agire alle spalle di Hojlund. Vincenzo Italiano, privo di Bernardeschi, ha inserito Cambiaghi e rilanciato Ferguson in mediana al posto di Moro. Per gran parte del primo tempo il Bologna ha provato a reggere l’urto generato dalle fiammate napoletane con attenzione difensiva, con la coppia dei centrali Heggem-Lucumi praticamente perfetta e un Ravaglia ancora una volta protagonista assoluto come contro l’Inter. La prima vera occasione è arrivata al 10’, quando Elmas è entrato in area da sinistra e ha calciato fuori a tu per tu con Ravaglia. È il segnale di un dominio territoriale che si è consolidato col passare dei minuti. Il Bologna ha tenuto, ma ha faticato a ripartire e si è affidato soprattutto alle iniziative di Orsolini. Al 31’ McTominay è andato vicino al vantaggio, poi al 37’ Spinazzola ha provato lo scavetto, trovando ancora la risposta del portiere rossoblù. Il muro, però, è crollato al 39’: Neres ha ricevuto su una rimessa laterale apparentemente innocua, si è spostato il pallone sul mancino e ha disegnato una traiettoria imparabile sotto l’incrocio. È l’1-0 che ha indirizzato la finale in maniera decisiva.
Nella ripresa il Napoli è infatti ripartito forte. Ravaglia ha salvato su Hojlund e Rrahmani, ma il Bologna può recriminare per non aver sfruttato la più grande occasione per rimettersi in carreggiata: al 55’ Orsolini ha sfondato a destra e servito Ferguson, che di testa non è riuscito però ad angolare, facilitando la presa di Milinkovic-Savic. È l’episodio che avrebbe potuto riaprire la gara. Un minuto dopo, invece, è arrivato il colpo del ko. Il raddoppio è un mix di pressione e errore: Heggem ha appoggiato corto, Ravaglia ha giocato male su Lucumi e Neres si è avventato sul pallone, anticipando tutti e superando il portiere con un tocco sotto per la doppietta personale. La finale è finita lì. Conte ha gestito, Italiano ha provato a cambiare uomini ma non l’inerzia. Il Napoli ha sfiorato anche il 3-0 nel finale, mentre il Bologna si è spento progressivamente, con qualche tentativo velleitario di Rowe.
Al fischio finale è festa azzurra sotto le luci dell’Al-Awwal Park, con il trofeo sollevato al cielo di Riyadh da Di Lorenzo sulle note di ’O surdato ’nnammurato. Secondo trofeo per Conte alla guida del Napoli, conferma di una squadra che ha saputo trasformare la Supercoppa in una naturale estensione della stagione precedente.
Nelle parole dei protagonisti c’è la fotografia della serata. Conte ha celebrato la voglia di vincere dei suoi e ha reso onore al Bologna: «Siam venuti qui per difendere lo Scudetto sulla maglia e difendere il motivo perchè abbiamo lo Scudetto sulla maglia. Abbiamo fatto un’ottima semifinale contro il Milan che è una grandissima squadra. Oggi abbiamo battuto il Bologna, non parlerei di rivincita ma faccio i complimenti ai ragazzi perché trasudavano voglia di vincere questo trofeo. Voglia di mettere in bacheca e di continuare a scrivere la storia. Complimenti a loro quindi. Però nella vittoria vorrei sottolineare ciò che sta facendo il Bologna: complimenti a loro, sono cresciuti tantissimo, una certezza è diventata, come l’Atalanta. Ha eliminato l’Inter, in campionato ci ha battuto e grande merito a Vincenzo Italiano e onore non solo ai vincitori ma anche a chi non ha vinto. Non mi piace dire sconfitti. Vanno i miei più grandi complimenti». Italiano, invece, ha fatto i complimenti ai suoi ragazzi e rivendicato il percorso: «Non ho nulla da recriminare ai ragazzi. Merito al Napoli. Noi ci dobbiamo portare dentro questa bellissima esperienza e secondo me cresceremo ancora perché dobbiamo affrontare altre tre competizioni importanti e questa esperienza ci insegnerà tanto. Mi dispiace per la nostra gente, ma noi abbiamo dato il massimo, ma ripeto merito al nostro avversario che è una squadra fortissima che oggi secondo me ha over performato e ha fatto una partita straordinaria. Noi abbiamo dato e di questo nessuno può dire nulla. Cercheremo di fare meglio in futuro».
Il calcio africano ha riacceso i riflettori in Marocco, dove è cominciata la Coppa d'Africa delle Nazioni 2025, torneo che negli ultimi anni ha ampliato pubblico, peso e attenzione ben oltre i confini del continente.
Il torneo, giunto alla 35ª edizione, si è aperto domenica sera con il successo dei padroni di casa contro le Comore e accompagnerà il calcio africano fino al 18 gennaio, quando allo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat si assegnerà il titolo. Un mese intenso, nel cuore della stagione europea, che racconta meglio di qualsiasi slogan come il torneo continentale africano sia ormai diventato - al di là di ogni polemica relativa al calendario - un appuntamento globale, seguito con attenzione anche in Italia e nel resto d’Europa. Nel nostro Paese, la Coppa d’Africa sarà visibile in chiaro ed esclusiva su Sportitalia, che per la seconda edizione consecutiva ha acquisito i diritti, confermando l’interesse crescente anche nel nostro pubblico.
Il format è quello ormai consolidato: 24 nazionali divise in sei gironi, passaggio agli ottavi per le prime due di ciascun gruppo e per le quattro migliori terze. Da lì, eliminazione diretta fino alla finale. La Costa d’Avorio arriva da campione in carica, ma l’impressione è che questa Coppa d’Africa sia più aperta che mai, con un equilibrio diffuso e diverse squadre attrezzate per arrivare in fondo.
Il Marocco, spinto dal fattore campo e da una struttura organizzativa imponente, parte inevitabilmente tra i favoriti. Non solo per i risultati, ma per il contesto: nove stadi, sei città coinvolte e un piano infrastrutturale che guarda già al Mondiale 2030. La Coppa d'Africa 2025 si gioca infatti in impianti che rappresentano il nuovo volto del calcio marocchino, tra arene ultramoderne appena inaugurate e stadi storici rinnovati. Un investimento enorme, non privo di tensioni sociali interne, che però consegna al torneo una cornice di primo livello. Il cuore pulsante della manifestazione è Rabat, con il nuovo Prince Moulay Abdellah destinato a ospitare tutte le partite della nazionale di casa e la finale. Casablanca resta il tempio della tradizione con il Mohammed V, mentre Tangeri chiude il cerchio con l’impianto più grande del Paese. Marrakech, Agadir e Fès completano una mappa che racconta un torneo diffuso e strategico, anche politicamente.
Sul campo, la sensazione è che la Coppa d'Africa di quest'anno non abbia un copione già scritto. L’Egitto si affida ancora una volta alla stella Mohamed Salah, alla ricerca di un titolo che gli è sempre sfuggito e di un riscatto personale dopo le ultime vicissitudini che lo hanno portato ai ferri corti con il Liverpool, mentre la Nigeria si presenta con Victor Osimhen e Ademola Lookman come riferimenti offensivi e l’obbligo di cancellare la delusione per il mancato accesso ai Mondiali. Senegal, Algeria e Costa d’Avorio restano certezze, ma il margine tra big e outsider si è assottigliato. Ed è proprio questo uno dei segreti del fascino della Coppa d’Africa. Accanto alle grandi potenze storiche, emergono squadre capaci di complicare i piani a chiunque. L’Angola arriva da un percorso di qualificazione impeccabile, il Benin e l’Uganda hanno mostrato solidità e organizzazione, mentre Zambia e Guinea Equatoriale rappresentano le classiche mine vaganti. Anche il Mali, pur con qualche incognita legata alla condizione dei suoi uomini chiave, resta una nazionale di grande qualità. Poi ci sono le storie più fragili e simboliche, come Sudan, Zimbabwe o Botswana, per le quali la sola partecipazione è già un traguardo. Contesti difficili, problemi strutturali, crisi interne: la Coppa d’Africa è anche questo, uno specchio fedele di un continente complesso, che trova nel calcio uno spazio di espressione e riscatto.
L’interesse italiano passa inevitabilmente anche dai tanti giocatori impegnati nei nostri campionati. La Serie A e le serie minori forniscono un contributo significativo al torneo, con convocati che vanno dai top club fino alla Serie D. Un filo diretto che spiega perché la Coppa d'Africa non sia più percepita come un evento lontano, ma come una competizione che incide concretamente sul calcio europeo, sugli equilibri dei club e sull’immaginario degli appassionati.
Sette titoli dell’Egitto, cinque del Camerun, quattro del Ghana: l’albo d’oro racconta la storia della competizione. Il Marocco - che avrebbe dovuto ospitare anche il torneo del 2015, ma si ritirò per timori legati all’epidemia di Ebola in alcuni paesi africani - ospita la Coppa d’Africa per la seconda volta nella sua storia, dopo aver organizzato il torneo nel 1988, e punta a bissare l’unico successo della sua storia del 1976, contando sul fattore campo e sul sostegno del pubblico. In ogni caso ora la Coppa d’Africa sembra muoversi in una direzione più precisa rispetto al passato, fatta di equilibrio, infrastrutture rinnovate e una competitività sempre più trasversale. In Marocco si gioca un torneo che non chiede più attenzione per curiosità o emergenza, ma per valore tecnico, organizzazione e impatto reale sul calcio globale.
A volte il calcio ristabilisce una logica. A giocarsi la finale della Supercoppa italiana, lunedì 22 dicembre a Riyadh, saranno Napoli e Bologna: i vincitori dello Scudetto contro i vincitori della Coppa Italia. Una finale inedita, forse non quella desiderata dal pubblico saudita - riempire lo stadio senza il Milan o l'Inter a queste latitudini è assai complicato - ma certamente quella decretata dal campo.
Quel campo che stasera ha premiato un Bologna che dopo lo schiaffo preso in apertura di partita, con il gol di Marcus Thuram arrivato quando il cronometro non era arrivato nemmeno a due minuti, ha saputo ricompattarsi, reagire e giocarsela faccia a faccia con l’Inter. Protagonista assoluto di questa impresa, che comunque andrà la finale contro il Napoli rimarrà nella storia del club felsineo, è stato Federico Ravaglia. L’eroe che non ti aspetti. Il secondo portiere della rosa di Vincenzo Italiano, chiamato a difendere i pali rossoblù per l’infortunio di Skorupski. La risposta non poteva essere delle migliori: tre parate decisive nei 90 minuti regolamentari, di cui due ai limiti del miracoloso, e due rigori neutralizzati a Bastoni e Bonny.
A onor di cronaca va riconosciuto che l’Inter di occasioni per chiuderla prima della lotteria dei rigori ne ha avute molte. A fine partita le statistiche sono emblematiche: 14 tiri totali a dimostrazione del fatto che la squadra di Chivu macina azione offensive ma raccoglie decisamente meno di quanto semina. I nerazzurri vivono ancora di fiammate all’interno della partita e se non capitalizzano quanto costruiscono, contro una squadra ben organizzata e forte come il Bologna può accadere di pagare dazio.
Nel match dell’Al-Awwal Park, davanti a 16.591 spettatori – molti meno rispetto alla prima semifinale – i favori del pronostico erano tutti per l'Inter. In campo, però, il Bologna ha dimostrato ancora una volta di avere anima, organizzazione e carattere, riuscendo a rientrare in una partita che si era compromessa fin da subito. A partire fortissimo, infatti, è stata proprio la squadra nerazzurra che dopo appena due minuti si è portata in vantaggio: Bastoni sfonda a sinistra e pennella sul secondo palo per Thuram, che in acrobazia non lascia scampo a Ravaglia. Sembrava l’inizio di una serata in discesa, confermata subito dopo dalla ripartenza di Bonny (fermato dopo la conclusione fuori di poco dal fuorigioco) e da altre accelerazioni interiste. Ma il Bologna non si è scomposto, è cresciuto e col passare dei minuti ha cominciato a prendere campo. Josef Martinez, schierato titolare al posto di Sommer, ha dovuto opporsi prima a Bernardeschi, ma nulla ha potuto quando al 35', grazie all'intervento del Var, Chiffi ha spedito sul dischetto Orsolini in seguito a un tocco di braccio di Bisseck in area di rigore.
Nella ripresa la partita si è accesa definitivamente, pur rimanendo sull'1-1 fino al fischio finale. L’Inter ha costruito molto, soprattutto sulla corsia sinistra con Dimarco, ma ha sbattuto ripetutamente su Ravaglia. Una nuova svolta sarebbe potuta arrivare al 56', quando Chiffi prima ha assegnato un rigore per un presunto intervento scomposto di Heggem su Bonny, salvo revocarlo dopo il consulto al monitor. Al 70' Chivu ha provato ad aumentare il peso specifico dell'attacco inserendo Lautaro Martinez al posto di un Thuram che dopo il gol iniziale si è eclissato, oltre a Frattesi e Diouf per Mkhitaryan e Luis Henrique. Dall'altra parte Italiano ha rimescolato le carte con Immobile, Ferguson e Fabbian al posto di Castro, Odegaard e Pobega. E le occasioni non sono mancate, da una parte e dall'altra: Lautaro, Dimarco e Zielinski ci hanno provato per l'Inter trovando come ostacolo insormontabile il solito Ravaglia; per il Bologna Fabbian, con un destro a giro dal limite in pieno recupero, ha impegnato in una parata capolavoro Josef Martinez. Ma il risultato non è cambiato e la semifinale si è decisa dal dischetto. Dove al primo round segnano Lautaro e Ferguson. Poi Ravaglia ipnotizza Bastoni e Martinez risponde su Moro. Barella calcia alto e Miranda lo imita. Al quarto rigore Ravaglia para anche il pessimo tiro di Bonny, mentre Rowe non sbaglia e porta avanti il Bologna. Il quinto rigore è quello decisivo: De Vrij, con l'aiuto della traversa, dà ancora una chance all'Inter; ma Immobile, che qui ha già vinto il trofeo nel 2019 con la maglia della Lazio, la mette sotto il sette e fissa l’ultimo sigillo che spedisce per la prima volta nella storia il Bologna in una finale di Supercoppa italiana.
A fine partita c’è amarezza nelle parole di Chivu, che però difende la prestazione: «Mi prendo quello che abbiamo fatto, soprattutto nel secondo tempo. Abbiamo dominato ma sottoporta abbiamo sbagliato. Nel calcio come nella vita si cade e ci si rialza». Italiano, invece, si gode l’impresa: «Questa squadra ha un’anima. Andare sotto dopo due minuti poteva ammazzarci, invece siamo rimasti in partita. Ora ci giochiamo una partita storica». Lunedì, contro il Napoli, il Bologna avrà la possibilità di scrivere una pagina che fino a poco tempo fa sembrava impensabile.





