Ormai sembra diventato un disco rotto che appassiona milioni di italiani. La Nazionale di calcio perde o fa una figuraccia e per una settimana, solitamente quella in cui il campionato è fermo, non si parla d’altro, cercando di scovare l’origine del problema. Poi tutto torna a tacere e senza capire che il fallimento della Nazionale non è la causa, ma l’effetto che finisce per nascondere problemi molto più profondi e strutturali che da anni affliggono il calcio italiano.
Dalle categorie dilettantistiche fino al professionismo, passando per settori giovanili depotenziati, stadi inadeguati, norme contraddittorie e campionati sistematicamente falsati, il sistema mostra crepe che non si possono più ignorare. Michele Criscitiello, direttore di Sportitalia e presidente di un club di Serie D, la Folgore Caratese, vive questo mondo ogni giorno da una doppia prospettiva: quella del giornalista che osserva e racconta, e quella del dirigente che affronta sul campo costi, regole e paradossi.
Direttore, da anni ripeti che la crisi della Nazionale è solo la punta dell’iceberg.
«La Nazionale è l’ultimo dei problemi, non il primo. È quella che ha più vetrina, quindi quando non vai al Mondiale sembra che improvvisamente il calcio italiano sia un disastro. Ma il calcio italiano è un disastro anche quando ai Mondiali ci vai, o anche quando vinci un Europeo come è successo con Mancini».
Quali sono i problemi veri, quelli che non fanno notizia ma affossano tutto il sistema?
«Non c’è una conoscenza dei problemi che ci sono nel calcio giovanile, nel calcio dilettantistico, nel calcio periferico, dove non ci sono le strutture e nel fatto che non si riesce a cambiare mezza normativa perché, come spesso dice Gravina, ci sono dei cavilli burocratici. Ma non sono problemi nostri, devono essere problemi suoi che quando accetta il primo, il secondo e il terzo mandato deve essere in grado di poter cambiare. Altrimenti stiamo pensando solo ed esclusivamente alla poltrona».
Dopo il Mondiale del 2014 Abete si è dimesso. Nel 2018 Tavecchio idem. Nel 2022 Gravina è rimasto al suo posto. Ora rischiamo di non qualificarci per la terza volta di fila e ha dichiarato che anche senza Mondiale non si dimetterebbe. C’è un problema di responsabilità nel calcio italiano?
«Assolutamente sì, perché Gravina arriva a fare il presidente federale dopo una certa gavetta a livello di politica sportiva e si tiene stretto questa poltrona. Non avrebbe mai immaginato fallimenti del genere, dopo l’Europeo. Però mentre Tavecchio e Abete hanno dimostrato una dignità sportiva, lui no. Lui pensa solo al suo ego e alla sua posizione».
Quindi il punto è il ruolo stesso del presidente federale?
«Il presidente federale non è il Lotito o il Cairo di turno. Rappresenta la nazione. Se la Nazionale fallisce, si deve dimettere. Non può decidere lui, “mi dimetto o non mi dimetto” in base alla sua dignità sportiva. Secondo me nello statuto futuro va scritta una regola chiara: se fallisci due grandi obiettivi - Europeo o Mondiale - sei fuori. Il fatto che Gravina resti è solo uno dei tanti cortocircuiti del sistema. È stato eletto dalle componenti che non vogliono scardinare il sistema, quindi tutto resta com’è».
Mancano alternative concrete?
«Sì, perché non ci sono candidati credibili in vista di un ricambio. Si stava presentando Del Piero ma ha rinunciato, potrebbe farlo Maldini ma è antipatico a molti, Albertini stava crescendo ma è troppo legato all’Aic, Tommasi troppo vicino ai calciatori e poi si è messo in politica. Oggi una vera alternativa è difficile da individuare. Potrebbe esserci Marani, però visto i problemi che ci sono nella Lega Pro, non cambio Gravina con Marani, con tutto il rispetto».
Perché?
«È stato un grande giornalista, ha sempre seguito la Serie A, la Champions League, i grandi livelli, ma ora fa il presidente della Lega Pro e prima non aveva mai visto una partita di Serie C. E per fare il presidente di Serie C devi conoscere i problemi dei presidenti di quei club».
Per esempio?
«Sotto al calcio dei grandi c’è un mondo che non funziona. Parliamo dei giovani. Ci impongono l’utilizzo, ma allora noi li utilizziamo perché sono forti o perché sono giovani? La risposta è perché sono giovani. Siamo obbligati a farli giocare, ma l’anno dopo che diventano senior e non under non giocano più a calcio. E quindi cosa mi stai portando? Niente».
La riforma Zola è stata un flop?
«Lo dico da due anni che è un flop. Se tu mi metti il 400% di incasso sul minutaggio di un giovane del tuo vivaio, ma scarso, che qualità dai? Se io ho il giovane forte, non mi devi obbligare a metterlo. Sono interessi miei che lo valorizzo e poi lo vendo e l’indotto gira. E poi c’è un’altra anomalia».
Quale?
«Se un presidente di Serie A vuole acquistare un giocatore italiano deve mettere una fideiussione a garanzia. Se lo prende straniero no. Ma è ovvio che io da presidente penso ai miei interessi e mi vado a prendere quello che non mi costa la fideiussione. Poi ci lamentiamo che il Como gioca con tutti gli stranieri, ma fanno bene. C’è una legge che lo vieta? C’è un vantaggio sotto alcuni punti di vista che ti incentiva a far giocare gli italiani? No. Corvino vince la Primavera a Lecce con tutti stranieri. Il problema è Corvino? No. Il problema è il sistema del calcio italiano».
Queste anomalie, alla fine, pesano anche sui conti dei club?
«Non è normale che tutti i presidenti di Serie C e di Serie B perdano soldi. Tutta la Serie A perde soldi, se non quelli che fanno le plusvalenze e che vanno in Europa».
Entrando più nel dettaglio?
«Sessanta società non possono reggere il professionismo. La Serie D a nove gironi con 160 società sono troppe. Bastano sei gironi di Serie D e due di C, con una tassazione massima del 23%. Punto. Perché io non posso permettermi di pagare tutti quei soldi per giocatori che poi devono avere anche il minimo federale. E poi vediamo le società fallire».
Per ultima il Rimini.
«L’anno scorso Turris, Taranto, Lucchese, quest’anno il Rimini. La Triestina adesso sta ancora a meno due dopo che era partita da meno 20».
Così si falsano i campionati?
«Tutti gli anni sono falsati. Perché è normale un sistema dove il Brescia presenta un’iscrizione farlocca e non fa ripescare il Caldiero che aveva investito quasi 2 milioni sulla struttura?».
Cos’è successo al Caldiero?
«È la fotografia di come non funzioni il calcio italiano. Dalla Serie D inaspettatamente va in Serie C. Non ha lo stadio, va a giocare sul campo della Virtus Verona. Nel frattempo fa i lavori, spende 1.800.000 euro per sistemare il suo stadio. A febbraio comincia a giocare a casa propria, a maggio è retrocesso, poteva essere ripescato, non l’hanno ripescato. Hanno speso per due mesi di partite in casa 1.800.000 euro. Adesso è di nuovo in Serie D a tre punti dai play-out».
Perché, nonostante questi problemi siano evidenti da anni, non si riesce mai a fare una riforma vera?
«Perché non c’è voglia di migliorarsi. Non c’è il coraggio di fare un cambiamento vero, anche a costo di essere contestati per due o tre anni. E invece si va avanti per inerzia, perché tanto va bene a tutti e stiamo solo facendo finta di non vedere che il calcio italiano, strutturalmente, non sta più in piedi».
Quante volte hai provato a invitare Gravina in trasmissione?
«Privatamente, anche tramite agganci privati, due o tre volte. Pubblicamente tutte le settimane».
Perché pensi voglia evitare questo confronto?
«Non so. Ma lui se venisse ne uscirebbe anche bene. Abbiamo fatto un pranzo insieme e lui le spiega bene le cose perché è una persona intelligente. Però la teoria è una cosa, i fatti sono un’altra».
Il 2 gennaio parte il mercato invernale. Che ti aspetti?
«Non mi aspetto chissà cosa. Se il Milan riesce a sistemare qualcosa in avanti con la punta, ci sta, però per il resto non vedo grandi rivoluzioni o grandi investimenti».
A Firenze che cosa sta succedendo?
«Purtroppo hanno avuto la tragedia di Joe Barone che ha lasciato il vuoto sia nella dirigenza che nella proprietà, perché fondamentalmente era l’uomo di Commisso. Quella figura non è stata sostituita, o meglio è stata sostituita malissimo, e la società è completamente allo sbando. Al di là dei giocatori, c’è proprio la gestione che manca».
Quest’anno più che gli allenatori stanno pagando i ds. Perché?
«Innanzitutto perché i presidenti sono sempre più protagonisti. Poi anche perché i direttori sono più deboli rispetto al passato. Prima la figura del ds sostituiva quella del presidente, ora è il contrario. Ci sono tanti direttori che molte volte accettano questo pur di lavorare, ma non sono autentici ds».
Elkann dovrebbe vendere la Juventus?
«Il calcio lo puoi fare solo se hai una passione matta e se sei pazzo. Elkann mi sembra che non ce l’abbia, l’ha dimostrato negli anni. Lo fa per economia e finanza, però la Juve deve avere un futuro proprietario diverso, perché la famiglia Agnelli basava tutto sulla volontà, sulla voglia e sulla passione di Gianni e Umberto. L’unico appassionato di calcio della famiglia è Andrea, ma se lo considerano non idoneo per gestire le casse della Juventus, allora vendi e basta».
È partita la Coppa d’Africa in Marocco, vostra esclusiva per il secondo anno. Che risultati avete avuto e cosa vi aspettate?
«La prima è stata un grandissimo successo, forse anche inaspettato. Secondo me lì c’è da fare uno studio sociale, più che sportivo televisivo. Non pensavo una roba del genere, abbiamo fatto dei numeri da calcio in chiaro di Serie A. Quest’anno firmerei per avere gli stessi ascolti della prima edizione».
È un calcio che piace sempre di più al pubblico?
«È un calcio sempre più fisico e imprevedibile. Poi ci mettono la passione. Malu Mpasinkatu mi racconta che per gli africani è più importante del Mondiale. E poi gli stadi. Parliamo tanto degli stadi che fanno schifo, diciamo il Terzo Mondo, ma il Terzo Mondo non sono loro, siamo noi. Nel 2023 in Costa d’Avorio era tutto bellissimo. Ora in Marocco, da quello che sto vedendo, gli stadi sono perfetti. Noi non riusciamo a organizzare un Europeo e nemmeno una finale di Champions».
Accuse reciproche e confine in fiamme: cresce la tensione tra Cambogia e Thailandia
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
Gli Stati Uniti hanno colpito basi dell’Isis nel Nord-Ovest della Nigeria. Trump rivendica un’operazione «potente e letale» contro i terroristi accusati di massacri di cristiani. «L’uccisione di cristiani innocenti deve finire», avverte il capo del Pentagono Hegseth. Conferme da Africom e dal governo di Abuja.
Gli Stati Uniti hanno condotto una serie di raid aerei contro obiettivi riconducibili allo Stato Islamico nella parte Nord occidentale della Nigeria. A darne notizia è stato direttamente il presidente americano Donald Trump, che nella notte ha annunciato l’operazione attraverso un post pubblicato su Truth, rivendicandone la portata militare e politica.
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».





