Dopo gli sberloni assestati al marito, Brigitte Macron viene beccata mentre dà delle «brutte stronze» a un gruppetto di femministe e ancora una volta l’irruenza della prèmiere dame diventa virale. La consorte del presidente francese, che a maggio era stata immortalata mentre appioppava uno schiaffo a Emmanuel Macron pochi istanti prima di scendere dall’aereo ad Hanoi con una scena diventata tormentone (era davvero un ceffone o si trattava di un buffetto?), sta dividendo il popolo d’Oltralpe tra critiche feroci e apprezzamenti per la sua franchezza.
Questi i fatti. Sabato sera, alcune attiviste del collettivo femminista NousToutes, indossando maschere con l’immagine dell’umorista Ary Abittan avevano interrotto lo spettacolo dell’attore nel locale parigino Folies Bergère, scandendo lo slogan «Abittan stupratore». L’interprete cinquantunenne di film come Non sposate le mie figlie o Liberté, egalité, fraternité, nel 2021 era stato accusato da una giovane di 23 anni che allora frequentava di averla costretto ad avere rapporti sessuali non consensuali. Scomparso dalla scena pubblica, nell’aprile del 2024 Abittan aveva ottenuto l’archiviazione delle accuse, sentenza di non luogo a precedere confermata a gennaio di quest’anno. Per la Corte d’Appello di Parigi, dopo un’indagine durata oltre tre anni mancavano «prove serie o coerenti». Le testimonianze delle ex fidanzate lo avevano descritto come «un partner rispettoso», e le valutazioni psichiatriche e psicologiche escludevano «una sessualità deviante o impulsi sessuali aggressivi».
Certo, nulla esclude che la sera oggetto dell’accusa l’attore sia stato davvero violento, ma un tribunale ha archiviato il caso. Alle femministe poco importa, ritengono Abittan uno stupratore e da quando ha ripreso a recitare a ogni suo spettacolo inscenano proteste, chiedendo che le sue esibizioni vengano cancellate. Così è accaduto anche sabato scorso per Authentique, evento così presentato: «A 50 anni, tra paternità, amore e resilienza, Ary rivela le sue riflessioni sulle relazioni e sull’infanzia, intrecciando abilmente risate e momenti di autentica emozione».
Domenica sera, la signora Macron è andata a vedere lo spettacolo con la figlia Tiphaine Auziere e ha parlato con Abittan prima che salisse sul palco, secondo un video pubblicato lunedì dal sito di gossip Public e poi cancellato. Le immagini, riprese dai social, mostrano la moglie del presidente nel backstage mentre si avvicina sorridendo all’umorista e gli chiede: «Allora come stai?». «Ho paura», risponde lui. «Paura di che cosa?», ribatte madame. «Di tutto». «Se ci sono delle brutte stronze le sbatteremo fuori», lo rassicura Brigitte Macron ridendo. «Dici?», fa lui. «Soprattutto banditi mascherati», aggiunge la prèmiere dame.
Apriti cielo. Su Instagram, dove ha ripreso il video, il collettivo NousToutes scrive che «il sostegno pubblico a un uomo in un caso così inquietante sia un segnale disastroso inviato alle vittime di abusi sessuali». «Denunciamo l’ampia comunicazione volta a posizionarlo come individuo traumatizzato, umiliando e disprezzando la vittima», prosegue il post. «Denunciamo gli auditorium che fanno un tappeto rosso agli uomini accusati di stupro, normalizzazione della violenza sessista e sessuale. È un insulto pubblico alle vittime. Vittime vi crediamo, stupratori non vi perdoneremo!». Un’attivista che ha preso parte all’azione e ha usato lo pseudonimo di Gwen ha affermato che il collettivo è rimasto «profondamente scioccato e scandalizzato» dal linguaggio della signora Macron. «È l’ennesimo insulto alle vittime e ai gruppi femministi», ha affermato. Abittan resta colpevole per le femministe francesi e la moglie del presidente l’avrebbe fatta grossa, prendendo le sue difese. Inutilmente il team della first lady ha affermato che la critica era solo per il «metodo radicale» di protesta del collettivo che «indossando maschere, ha interrotto lo spettacolo sabato sera per impedire all’artista di esibirsi».
Però le critiche si sono rapidamente spostate sul piano politico. «Abbiamo iniziato con i diritti delle donne come “grande causa del mandato quinquennale”, e stiamo finendo con gli insulti», ha dichiarato su X Manon Aubry, eurodeputata di France Unbowed, la sinistra radicale. «È ora che la coppia Macron se ne vada». L’ex presidente francese, Francois Hollande, ai microfoni di radio Rtl, ha rimproverato la signora di essersi espressa con «volgarità». Ha detto: «Ci possono essere forme di protesta che ci urtano. Ma bisogna provare, quando si ha una funzione, una responsabilità, una presenza, di cercare la pacificazione e non ricercare l’escalation verbale». Per poi aggiungere che però «in Francia non esiste uno statuto di première dame. È libera, madame Macron, di dire ciò che pensa».
Brigitte, che già deve difendersi da anni dalle maldicenze che la vogliono uomo, travestito, addirittura padre dei suoi tre figli avuti dal primo marito André-Louis Auzière, adesso deve spiegare che non era sua intenzione prendere le difese di uno stupratore. Judith Godrèche, l’attrice francese che ha chiesto un’indagine sugli abusi sessuali nel cinema francese, è intervenuta su Instagram per criticarla. «Anch’io sono una stupida stronza. E sostengo tutti gli altri», ha scritto.
Il deputato del Rassemblement National, Jean-Philippe Tanguy, afferma invece che i commenti della moglie del presidente sono stati pronunciati in privato e «rubati». L’Eliseo, intanto, cerca di tamponare: la consorte del presidente «non sta in alcun modo attaccando una causa», fa sapere.
La stessa Alessandra Ghisleri ha posto l’accento sul dato emerso dal sondaggio condotto da Only numbers. La seconda domanda, posta al campione di italiani e riferita alla legge sul consenso nei rapporti sessuali, chiedeva se la si ritiene «utile nella prevenzione di episodi di violenza e/o comportamenti non rispettosi». Le donne hanno risposto no, riferiva la politologa e direttrice di Euromedia Research.
Il 43,8 % degli italiani ha detto di non ritenerla utile. «È una riflessione importante», osservava Ghisleri nel programma Realpolitik di Tommaso Labate su Rete 4, «perché vorrebbe dire che la legge sul consenso verrebbe utilizzata come deterrente, ma non sarebbe utile perché manca l’educazione». Ricordiamo che la legge, che introduce nel Codice penale il concetto di «consenso libero e attuale», è stata approvata all’unanimità alla Camera e presentata come un accordo bipartisan tra il premier Giorgia Meloni e il segretario del Pd, Elly Schlein. In commissione Giustizia, la coalizione di governo ha chiesto un nuovo passaggio, scatenando la reazione dell’opposizione che ha parlato di un «voltafaccia», di patto politico tradito. Ancor più singolare è che, nel sondaggio, sia stato il 37,6% delle donne a non ritenere la norma sullo stupro utile a scoraggiare o impedire la violenza sessuale, rispetto a un 38,8% convinto che serva. Perciò, se il 51,6% degli italiani interpellati crede che sia necessaria una legge che inasprisca il reato, ridefinendone le modalità (il ddl torna questa settimana in commissione a Palazzo Madama), la maggior parte di questo campione non lo considera un deterrente effettivo.
Inevitabile chiedersi il senso, allora, di una legge che complica all’inverosimile l’onere della prova di un consenso non «libero e attuale» (e il non poterlo provare può diventare equivalente all’aver commesso il reato), mentre poco inciderebbe nella protezione delle donne. Non la crede utile non solo l’elettorato di centrodestra (47,9% delle risposte, rispetto al 38,2% di «sì»), ma anche una bella fetta di coloro che votano a sinistra (34,3% i «no», 43,3 % i «sì»). E se può non sorprendere che il 53,6% degli elettori di Fratelli d’Italia abbia detto di con credere alla legge come prevenzione di episodi di violenza, è significativo che la pensi allo stesso modo il 38,5% di quanti votano Pd e che appena il 36,5% dei dem la consideri, invece, utile.
Quindi nei due partiti rappresentati da Giorgia Meloni e da Elly Schlein sono più forti le perplessità, circa l’approvazione del ddl come misura deterrente. Quanto all’impatto del reato di violenza sessuale riformato sulla base di un accordo Meloni-Schlein, restano sempre forti le riserve degli italiani. Non tanto perché non serva una legge dura (oltre il 53% sia a sinistra sia a destra si dice a favore), ma in quanto non risulta ben formulata. Non definisce che cosa costituisce consenso, anche nelle forme non verbali e nemmeno chiarisce quali elementi probatori possono dimostrarlo o escluderlo. «Si pensa che questi requisiti di libertà e attualità siano puntualizzati a tutela della donna e a vincolo e controllo per l’uomo: anche qui siamo di fronte a un ribaltamento concettuale e fisico della prova, spesso sono le donne che prendono l’iniziativa e non si può “pregiudizialmente” pensare al maschio come attaccante-persecutore, attizzatore di incendi passionali che si trasformano in atti di coercizione nel “fare” e nell’insistere», osservava due giorni fa su Startmag Francesco Provinciali, già giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Fanno pensare, inoltre, gli esiti di un altro sondaggio che è stato riportato sempre da Ghisleri. «Abbiamo chiesto quali sono le paure più grandi (degli italiani, ndr), al primo posto ci sono le aggressioni e le minacce (22,7%), seguite da rapine in casa (20,5%), furti e rapine (19,4%), truffe e frodi (16,6%)». La violenza sessuale risultava solo al quinto posto (9,4%) come preoccupazione. Eppure, dai primi dati emersi dall’indagine 2025 sulla violenza contro le donne condotta dal dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio e l’Istat denominata «Sicurezza delle donne», risultano aumentate «dal 30,1% al 36,3% le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai Centri antiviolenza e gli altri servizi specializzati (dal 4,4 del 2014 all’8,7% del 2025)».
Evidentemente, la certezza della pena non è un deterrente. Rispetto al passato, c’è una diversa sensibilità verso la violenza sessuale e i diversi contenuti giuridici che il reato ha assunto nel tempo, però occorrono strategie volte all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della violenza, formando operatori (dalla scuola alla magistratura, passando per i servizi sociali). Serve rendere operativo ovunque il percorso di tutela per le donne che hanno subito violenza e perseguire chi l’ha provocata. Discutere di pertinenza e liceità all’interno della coppia, criminalizzando a priori, non argina la violenza sessuale.
Il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (Acip) dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) ha messo fine alla raccomandazione che da oltre tre decenni prevedeva negli Stati Uniti la somministrazione a tutti i neonati del vaccino contro l’epatite B, entro ventiquattr’ore dalla loro venuta al mondo. La revisione del calendario vaccinale è passata con 8 voti a favore e 3 contrari, dopo la riunione di Atlanta ripresa per la prima volta da telecamere televisive.
D’ora in avanti, le donne che risultano negative al test per l’epatite B potranno decidere, consultando il proprio medico, se vaccinare o no alla nascita il proprio bambino. I membri che hanno votato a favore delle nuove raccomandazioni hanno sostenuto che il rischio di contrarre il virus è basso, e che i vaccini dovrebbero essere personalizzati.
Il gruppo di lavoro dell’Acip, rinnovato dallo scorso giugno dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha suggerito di attendere almeno i 2 mesi di età per la prima dose. La vaccinazione continuerà a essere somministrata ai neonati di madri che risultano positive, o il cui stato di salute è sconosciuto. Il direttore facente funzioni dei Cdc, Jim O’Neill, ora dovrà decidere se adottare o meno queste raccomandazioni.
La commissione ha inoltre votato a favore della consultazione dei genitori con gli operatori sanitari, per sottoporre i figli a test sulla ricerca degli anticorpi contro l’epatite B prima di decidere se sia necessario somministrare altre dosi del vaccino. Attualmente, dopo la prima i bambini ricevono la seconda a 1-2 mesi di età e la terza tra i 6 e i 18 mesi.
Kennedy ha già limitato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e raccomandato che i neonati vengano vaccinati separatamente contro la varicella. Susan Kressly, presidente dell’American academy of pediatrics, ha affermato che il cambiamento apportato dall’Acip renderà i bambini americani meno sicuri. «Esorto i genitori a parlare con il pediatra e a vaccinarsi contro l’epatite B alla nascita, indipendentemente dallo stato di salute della madre», è stato il suo appello.
Il presidente Donald Trump, invece, ha commentato soddisfatto l’esito della votazione. Con un post su Truth, venerdì sera aveva definito «un’ottima decisione porre fine alla raccomandazione sul vaccino contro l’epatite B per i neonati, la stragrande maggioranza dei quali non corre alcun rischio di contrarre una malattia che si trasmette principalmente per via sessuale o tramite aghi infetti. Il calendario vaccinale infantile americano richiedeva da tempo 72 “iniezioni” per bambini perfettamente sani, molto più di qualsiasi altro Paese al mondo e molto più del necessario. In effetti, è ridicolo! Molti genitori e scienziati hanno messo in dubbio, così come me, l’efficacia di questo “programma”».
Trump ha poi annunciato di avere appena firmato «un memorandum presidenziale che ordina al dipartimento della Salute e dei Servizi Umani di “accelerare” una valutazione completa dei calendari vaccinali di altri Paesi del mondo e di allineare meglio quello statunitense, in modo che sia finalmente radicato nel Gold Standard della scienza e del buon senso», ha concluso il presidente.
Prima del voto, questa settimana dodici ex dirigenti della Fda avevano contestato sul The New England journal of medicine la proposta di revisione delle approvazioni dei vaccini da parte dell’agenzia, sostenendo che i cambiamenti minacciano gli standard basati sulle prove, indeboliscono le pratiche di immunobridging (strategia scientifica e normativa che confronta i marcatori della risposta immunitaria indotti da un vaccino in diverse situazioni per stimare l’efficacia del vaccino) e rischiano di erodere la fiducia del pubblico.
A proposito della nota interna di Vinay Prasad, direttore della divisione vaccini della Food and drug administration (Fda), che dieci giorni ha sostenuto che «non meno di 10» dei 96 decessi infantili segnalati tra il 2021 e il 2024 al Vaers, il sistema federale di segnalazione degli eventi avversi da vaccino, erano «correlati» alle somministrazioni di dosi contro il Covid, i dodici si affannano a criticarla. «Prove sostanziali dimostrano che la vaccinazione può ridurre il rischio di malattie gravi e di ospedalizzazione in molti bambini e adolescenti», dichiarano. Dati che non risultano confermati da nessuno studio o revisione paritaria.
Sul continuo attacco alle scelte operate nel campo delle vaccinazioni dalla nuova amministrazione americana interviene il professor Francesco Cetta, ordinario di Chirurgia e docente di Intelligenza artificiale umanizzata presso lo Iassp (Istituto di alti studi strategici e politici). «Trump non è contro la scienza, come urla ad alta voce la sinistra nostrana», commenta. «Al contrario, pragmaticamente, per i problemi che non conosce, ha insediato nuove commissioni indipendenti di esperti, in grado di acclarare in tempi brevi, per quanto possibile, la verità su due argomenti particolarmente sensibili come le vaccinazioni e gli effetti dei cambiamenti climatici. E su che cosa si può fare in concreto per controllarli. Con quali costi e benefici per la comunità».
Il professore aggiunge: «Bisogna evitare le terapie a tappeto, indistintamente uguali per tutti, ma adattare ad ogni malato il suo trattamento come un “abito su misura”. In particolare, per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza, bisogna valutare con attenzione vantaggi e svantaggi della somministrazione di ogni farmaco, incluso i vaccini, che determinano una perturbazione delle difese immunitarie individuali».
Considerazioni che dovrebbero essere fatte anche dal nostro ministero della Salute e dalle varie associazioni mediche che non ammettono revisioni dei metodi vaccinali.




