«Di fronte al rispetto delle norme fondamentali dello Stato di diritto», il presidente della Conferenza episcopale spagnola (Cee) non è «neutrale». Così Luis Argüello, capo dei vescovi e arcivescovo di Valladolid, ha replicato alla protesta formale del ministro della Presidenza e della Giustizia, Félix Bolaños, che in una lettera lo esortava: «Vi chiedo espressamente di astenervi dal violare la vostra neutralità politica e di agire con rispetto per la democrazia e il governo».
Argüello sarebbe colpevole di aver dichiarato domenica, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Vanguardia, che la situazione di grave impasse del governo di Pedro Sánchez va risolta con un «voto di fiducia o una mozione di sfiducia, ovvero dando voce al popolo. In altre parole, ciò che prevede la Costituzione».
Già lo stesso giorno il premier, durante un comizio a Cáceres, aveva criticato l’esternazione del presidente della Cee esortandolo a «rispettare il risultato delle elezioni anche se non gli piace», perché «il periodo in cui i vescovi si sono intromessi nella politica ha posto fine alla democrazia». Poi è arrivata la lettera di Bolaños che ha accusato il monsignore di aver violato la neutralità chiedendo la fine della legislatura.
Il numero uno dei vescovi cattolici l’ha detto chiaro, rispondendo con un post su X: non può essere neutrale. Sia quando si tratta di rispetto delle norme fondamentali dello Stato di diritto, sia quando in gioco ci sono «il rispetto della vita e della sua dignità, la comprensione e il sostegno alle famiglie nell’alloggio e nell’istruzione, l’accoglienza degli immigrati». Su quest’ultimo punto, monsignore aveva precisato che «è fondamentale combattere le cause profonde delle migrazioni, siano esse dovute a guerre o a fattori economici. La Chiesa è anche chiara sul fatto che la tratta di esseri umani è inaccettabile».
È la seconda volta, e nel giro di pochi mesi, che Argüello invoca dimissioni del governo. Lo scorso luglio aveva chiesto elezioni generali immediate in Spagna. Adesso, dice, «la situazione è ancora più in stallo». Ricorda che «nel corso della storia della Conferenza, ci sono stati pronunciamenti forti sul terrorismo, sullo stato morale della società spagnola, sull’aborto, sulla famiglia, sul diritto all’istruzione... E alcuni particolarmente controversi sulla questione della nazionalità e delle nazionalità. Il momento attuale è unico, con una legislatura che opera senza bilancio».
Con l’esecutivo travolto da numerose inchieste giudiziarie e due ex pezzi grossi del Psoe, Santos Cerdán e José Luis Ábalos, già in carcere accusati di una serie di reati di corruzione e di criminalità organizzata; mentre si indaga su finanziamenti irregolari all’interno del Partito socialista e la scorsa settimana la Guardia Civil ha fatto diversi controlli nei ministeri per presunte irregolarità nei contratti della Holding statale spagnola (Sepi); con la consorte Begoña Gómez accusata di cinque reati di corruzione (nell’aprile 2024 Sánchez annunciò che si sarebbe preso una pausa di cinque giorni per riflettere su possibili dimissioni, che alla fine non diede), ieri nella relazione di fine anno il premier ha dichiarato di non avere motivo di dimettersi.
Nella conferenza stampa alla Moncloa ha nuovamente escluso elezioni anticipate e ha promesso una risposta «forte» contro le molestie sessuali e la corruzione di cui sono accusati leader del Psoe. Secondo la vicesegretaria generale per la rigenerazione istituzionale del Pp, Cuca Gamarra, il premier «sta portando la Spagna sull’orlo del baratro». Il presidente di Vox, Santiago Abascal, ha chiesto la presentazione di una «mozione di sfiducia» e la successiva convocazione di «elezioni immediate».
Clamorosamente, il settimanale l’Espresso ha invece definito Pedro Sánchez «Persona dell’anno 2025», dedicandogli la prima pagina e provocando una valanga di commenti sarcastici sui social spagnoli. «L’uomo più accusato di corruzione dell’anno», lo sfottono, chiedendo quanto avrà pagato il governo di Madrid per avere quella copertina. Qualcuno ha giocato con le parole, «Next-presso», preso in spagnolo indica il carcerato, rilanciando un’immagine del premier che sorseggia un caffè in divisa da galeotto.
Il ministro Bolaños suggerisce che il presidente della Cee «preferirebbe che i suoi interlocutori fossero forze politiche diverse», riferendosi al Partito popolare e a Vox, ma la spiegazione è forse più semplice. In un clima sempre più sfiduciato, la voce del capo dei vescovi ha voluto farsi sentire.
«Negli ultimi mesi, i rapporti con il governo sono stati caratterizzati solo da due questioni: la Valle dei Caduti e il risarcimento per le vittime della pedofilia clericale. Con nostro grande rammarico, non abbiamo affrontato altre questioni cruciali, come l’istruzione, che è costantemente messa in discussione e richiede un accordo nazionale […] Ci sorprende che oggi ci siano giovani che non guardano alle democrazie liberali come modello. Chiediamoci perché», ha detto Argüello.
Il 41% degli italiani non ha fiducia in Francesca Albanese e solo il 17% si esprime a favore della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati. È quanto emerge dal sondaggio Youtrend pubblicato ieri. Un focus singolare, visto che non si tratta di un politico ma di un personaggio mediatico, ultimamente al centro di numerose polemiche e dibattiti.
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
Alla fine ha dato ascolto alle ripetute proteste dei cittadini. Il primo ministro bulgaro Rosen Zhelyazkov, che una settimana fa aveva detto «non abbiamo il diritto di abdicare», si è dimesso poco prima che il governo affrontasse un altro voto di fiducia, il sesto da quando ha preso il potere nel gennaio di quest’anno. E tre settimane prima che la Bulgaria adotti l’euro come moneta.
Il governo svolgerà le sue funzioni fino all’elezione del nuovo consiglio dei ministri. «Sentiamo la voce dei cittadini che protestano […] Giovani e anziani, persone di diverse etnie, di diverse religioni, hanno votato per le dimissioni», ha dichiarato Zhelyazkov. Anche gli studenti si erano uniti nell’ultima protesta antigovernativa di mercoledì, a Sofia e in altre città bulgare, contro la proposta di bilancio del governo per il 2026, la prima in euro. La prima proposta senza il coordinamento con le parti sociali e la prima a prevedere un aumento delle tasse e dei contributi previdenziali.
All’insegna del motto «Non ci lasceremo ingannare. Non ci lasceremo derubare», migliaia di dimostranti «portavano lanterne come segno simbolico per mettere in luce la mafia e la corruzione nel Paese», riferiva l’emittente nazionale Bnt. Chiedevano le dimissioni dell’oligarca Delyan Peevski e dell’ex primo ministro Boyko Borissov, sanzionato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito per presunta corruzione. Borissov mercoledì avrebbe dichiarato che i partiti della coalizione avevano concordato di rimanere al potere fino all’adesione della Bulgaria all’eurozona, il prossimo 1° gennaio.
Secondo Zhelyazkov, si trattava di una protesta «per i valori e il comportamento» e ha dichiarato che il governo è nato da una complessa coalizione tra partiti (i socialisti del Bsp e i populisti di Itn), diversi per natura politica, storia ed essenza, «ma uniti attorno all’obiettivo e al desiderio che la Bulgaria prosegua il suo percorso di sviluppo europeo». Mario Bikarski, analista senior per l’Europa presso la società di intelligence sui rischi Verisk Maplecroft, aveva affermato che le turbolenze politiche e il ritardo nel bilancio «creeranno incertezza finanziaria a partire da gennaio».
La sfiducia nel governo in realtà ha radici anche nel diffuso malcontento per l’entrata del Paese nell’eurozona, ottenuta a giugno dopo ripetuti ritardi dovuti all’instabilità politica e al mancato raggiungimento degli obiettivi di inflazione richiesti. Secondo i risultati di un sondaggio dell’Eurobarometro, i cui risultati sono stati pubblicati l’11 dicembre, il 49% dei bulgari è contrario all’euro, il 42% è favorevole e il 9% è indeciso. Guarda caso, la maggioranza degli intervistati in cinque Stati membri non appartenenti all’area dell’euro è contraria all'euro: Repubblica Ceca (67%), Danimarca (62%), Svezia (57%), Polonia (51%) e appunto Bulgaria.
Quasi la metà dei bulgari teme la perdita della sovranità nazionale, è contro la moneta unica e rimane affezionata alla propria moneta, al lev, che secondo Bloomberg rappresenta «un simbolo di stabilità» dopo la grave crisi economica di fine anni Novanta.
Se la Commissione europea ha ripetutamente messo in guardia contro le carenze dello stato di diritto in Bulgaria, affermando a luglio che il livello di indipendenza giudiziaria in quel Paese era «molto basso» e la strategia anticorruzione «limitata»; se per Transparency International è tra Paesi europei con il più alto tasso di percezione della corruzione ufficiale da parte dell’opinione pubblica, resta il fatto che i bulgari non scalpitano per entrare nell’eurozona.





