Stanno facendo discutere e creano non poche preoccupazioni nelle aziende farmaceutiche, anche fuori dagli Stati Uniti, le dichiarazioni di Vinay Prasad, direttore della divisione vaccini della Food and drug administration (Fda), che venerdì in una nota interna rivolta al personale dell’agenzia ha sostenuto che «non meno di dieci» dei 96 decessi infantili segnalati tra il 2021 e il 2024 al Vaccine adverse event reporting system (Vaers), il sistema federale di segnalazione degli eventi avversi da vaccino, erano «correlati» alle somministrazioni di dosi contro il Covid.
«Per la prima volta la Fda riconoscerà che i vaccini contro il Covid-19 hanno ucciso bambini americani», ha scritto l’ematologo e oncologo americano nel promemoria. La morte dei piccoli risulterebbe collegata alla miocardite, però non è stato reso noto il nome del produttore coinvolto.
Prasad è stato chiaro: «Non ho dubbi che molti vaccini abbiano salvato milioni di vite in tutto il mondo e molti abbiano benefici che superano di gran lunga i rischi, ma i vaccini sono come qualsiasi altro prodotto medico. Il farmaco giusto somministrato al paziente giusto al momento giusto è ottimo, ma lo stesso farmaco può essere somministrato in modo inappropriato, causando danni». L’esperto afferma, inoltre che la Fda «rivedrà il quadro annuale per la vaccinazione antinfluenzale», che definisce «una catastrofe basata sull’evidenza», modificando il suo approccio alle immunizzazioni per le malattie respiratorie. Altra grossa questione che riguarda pure l’Italia.
La nota è uscita a ridosso di un incontro chiave previsto questa settimana, il 4 e 5 dicembre, con una potenziale revisione del programma vaccinale infantile e il rafforzamento delle nuove linee guida volute dal ministro della Salute Robert F. Kennedy Jr, che raccomandano il vaccino Covid solo agli over 65 e con patologie pregresse, limitandone l’accesso alle donne in gravidanza sane e ai bambini sani. Il nuovo comitato consultivo sta valutando pure se ritardare di mesi o anni la somministrazione nei piccoli delle prime dosi del vaccino contro l’epatite B. Già sabato mattina, durante un’intervista a Fox News, il commissario della Fda Marty Makary ha affermato che l’agenzia non avrebbe più «approvato automaticamente i nuovi prodotti che non funzionano», sostenendo che ciò avrebbe «messo in ridicolo la scienza».
Come era prevedibile, l’uscita è stata fortemente criticata dai sostenitori della sicurezza degli inoculi. Il dottor Paul Offit, esperto di vaccini presso il Children’s Hospital di Philadelphia, ha definito il promemoria un esempio di scienza «da comunicato stampa». Prasad viene pure accusato di avere intimato al personale della Fda di dimettersi, se non è d’accordo con le sue conclusioni. Amesh Adalja, ricercatore senior presso il Johns Hopkins Center for health security e portavoce dell’Infectious disease society of America, ha dichiarato ad Abc News: «Il promemoria della Fda sui vaccini è privo di dati medici effettivi che potrebbero giustificare la loro conclusione che collega i decessi ai vaccini Covid».
Prasad però ha ricordato che Tracy Beth Hoeg, consulente senior per le scienze cliniche della Fda, la scorsa estate aveva indagato sulle segnalazioni di bambini deceduti dopo la somministrazione di un vaccino Covid e inviate al Vaers. A fine estate Hoeg aveva concluso «che in effetti c’erano stati dei decessi, un fatto che questa agenzia non aveva mai ammesso pubblicamente». La revisione delle segnalazioni era stata fatta.
Il predecessore di Prasad, Peter Marks, pur contestando la nota «ha concordato sul fatto che i resoconti dei casi di decessi infantili dovevano essere sottoposti a un esame più approfondito per determinare se fossero causati dai vaccini», riporta il New York Times.
Il promemoria formula precise accuse sulla gestione pandemica: «I bambini sani che correvano un rischio di morte estremamente basso sono stati costretti, su richiesta dell’amministrazione Biden, tramite obblighi scolastici e lavorativi, a ricevere un vaccino che avrebbe potuto causare la morte». Aggiungeva: «È orribile pensare che la normativa statunitense sui vaccini, comprese le nostre azioni, possa aver danneggiato più bambini di quanti ne abbiamo salvati».
Per Big pharma adesso la preoccupazione più grande riguarda le modifiche annunciate dalla Fda al processo di approvazione dei vaccini. L’attenzione è sulle riunioni di giovedì e venerdì del Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (Acip), i cui precedenti membri erano stati rimossi dal ministro della Salute lo scorso 9 giugno e sostituiti.
Nella prima giornata di questa quarta riunione del 2025 sono previste la valutazione del monitoraggio del rischio vaccinale dei Cdc, le considerazioni sul calendario vaccinale per l’infanzia/adolescenza e si discuterà di adiuvanti e contaminanti nei vaccini (un gruppo di lavoro ha studiato ulteriori modifiche significative nelle vaccinazioni infantili, tra cui l’eliminazione dei composti contenenti alluminio). Venerdì terrà banco la questione del vaccino contro l’epatite B ai neonati e si dovrebbe arrivare al voto, che a settembre era stato rinviato.
Tra i ruoli statutari dell’Acip rientra quello di sviluppare l’elenco dei vaccini coperti dal programma Vfc, che li fornisce gratuitamente ai bambini idonei. Quando i Cdc raccomandano un vaccino per la somministrazione di routine a bambini e donne in gravidanza, deve essere aggiunto alla tabella dei vaccini coperti dal Programma nazionale di compensazione dei danni da vaccino (Vicp), un sistema no-fault per risarcire le persone danneggiate.
Non solo i cittadini, ma anche medici e farmacisti ingannati. Perché i vaccini Covid somministrati a carico del Sistema sanitario nazionale (Ssn) non sono stati mai approvati per la prevenzione dell’infezione dell’agente Sars-Cov-2 e mai inseriti da Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, nell’apposito elenco previsto dalla legge 648/1996 per quanto riguarda le indicazioni fuori scheda tecnica. È stata violata la norma del farmaco, con un grave danno pure erariale che qualche giudice contabile dovrebbe finalmente degnarsi di prendere in considerazione. «Abbiamo mandato segnalazioni al ministero della Salute, agli Ordini professionali, a Procure, Guardia di finanza ma tutto viene silenziato da anni», denuncia il dirigente di una farmacia ospedaliera del Nord Italia.
Quello che è accaduto si riassume in poche righe. «Comirnaty è indicato per l’immunizzazione attiva per la prevenzione di Covid-19, malattia causata dal virus Sars-CoV-2, in soggetti di età pari o superiore a 16 anni», si leggeva nella scheda tecnica, riassunto delle caratteristiche del prodotto (Rcp) del primo vaccino (Pfizer) autorizzato contro il Covid dall’Agenzia europea del farmaco (Ema). Era il 21 dicembre 2020, dopo pochi giorni sarebbe partita la campagna vaccinale in Italia. Con il decreto del 2 gennaio 2021, l’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, aggiornava il «Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sars-CoV-2», già anticipato al parlamento. Somministrazioni che partirono in tutta Italia, a carico del Ssn. «Ma le schede tecniche dei vaccini Pfizer, Moderna, Astrazeneca, Jansenn non prevedevano l’indicazione terapeutica della prevenzione dell’infezione», fa notare il dirigente.
In Italia, ogni farmaco può essere utilizzato on-label (in conformità) a carico del Ssn solo ed esclusivamente secondo quanto previsto in scheda tecnica. Le eccezioni sono state previste dalla legge 648/1996: «Qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale; i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e i medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco».
Il farmacista, che non può esporsi perché già oggetto di provvedimenti disciplinari per le segnalazioni fatte, afferma che «Aifa non ha mai autorizzato l’utilizzo dei vaccini per tale scopo. Infatti i vaccini Covid non sono presenti nell’elenco pubblicato sul sito dell’Aifa. L’agenzia allora diretta da Nicola Magrini e presieduta da Giorgio Palù lo ha detto chiaramente, rispondendo a una delle istanze presentate da Arbitrium - Pronto soccorso giuridico per la tutela dei diritti inviolabili».
Basta controllare anche oggi, nell’elenco della legge non compare alcun vaccino Covid. Eppure la 648 è stata applicata più volte, anche quando è stata autorizzata la terza dose «che non era prevista nella scheda tecnica», per tutti i cittadini. «In ogni pubblicazione in Gazzetta Ufficiale si faceva riferimento al fatto che verranno inseriti e pubblicati i vaccini Covid negli elenchi previsti in legge 648/96, cosa mai avvenuta proprio perché ne mancherebbero i presupposti».
Già una sentenza del 24 ottobre 2024 del giudice del Lavoro di Velletri, Veronica Vaccaro, aveva spostato l’attenzione sulla normativa del farmaco, una questione enorme passata inosservata. Il magistrato aveva chiesto una consulenza tecnica d’ufficio medico-legale e l’esito della Ctu aveva evidenziato che le schede tecniche dei vaccini non prevedevano l’indicazione terapeutica della prevenzione dell’infezione, che non era mai stata autorizzata l’utilizzazione dei vaccini per tale scopo ai sensi della legge n. 648/1996, che non era stata attivata una procedura interna di autorizzazione off-label.
Inoltre, era stato accertato che nelle schede tecniche dei vaccini non rientrava la possibilità di utilizzarli su persone con pregressa malattia e che «la legge 648/96 non può essere mai applicata a persone senza una malattia, persone sane […]. Per questo motivo la legge 648/96 non può essere mai applicata nel caso di vaccini».
Il giudice aveva condiviso tutti gli approfondimenti del Ctu: «Le conclusioni sono condivise e fatte proprie dal giudicante», scriveva nella sentenza, disponendo il reintegro di una Oss sospesa dal lavoro perché non vaccinata.
Non solo. Il terzo articolo della legge 94 del 1998, nota anche come legge Di Bella, prevede che il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale, deve attenersi alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste. Se lo prescrive o lo somministra off label, lo deve fare in conformità a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale e la decisione è sua diretta responsabilità. «A livello di scudo penale, il medico doveva attenersi alla scheda tecnica, ma non l’ha fatto», evidenzia il farmacista, che aggiunge: «Aifa nemmeno disponeva del Psur, il rapporto periodico di aggiornamento sulla sicurezza dei vaccini di Pfizer, che è una valutazione periodica del rapporto beneficio-rischio. Dichiarò che erano protetti dal segreto militare, in realtà non poteva averli perché nel frattempo l’azienda farmaceutica aveva vaccinato il gruppo placebo interrompendo nei fatti la sperimentazione. Quindi Aifa doveva interrompere le somministrazioni in Italia».
L’ultima audizione in commissione parlamentare Covid di Antonio Chiappani, già procuratore capo presso il Tribunale di Bergamo, ha riassunto in modo netto le omissioni e le criticità che dovevano essere imputate all’allora ministro della salute Roberto Speranza. «Aver limitato con nota del 24 gennaio i voli solo tra Italia e Cina e aver disposto la sorveglianza epidemiologica solo dal 26 febbraio; aver omesso azioni di sanità pubblica come la dotazione di dispositivi di protezione individuale e sanitario; non aver provveduto tempestivamente all’approvvigionamento vista l’insufficienza delle scorte; aver omesso le azioni per garantire trattamento e assistenza e aver provveduto solo il 24 febbraio al censimento dei reparti di malattie infettive; aver omesso le azioni per garantire adeguata formazione al personale sanitario».
Un elenco pesante, per ribadire che c’è stata «una cooperazione colposa, le criticità come fatti ci sono state […] Il focus non è la pandemia ma il non aver ostacolato la diffusione di cluster localizzati che era la fase tre del piano pandemico. Piano forse male interpretato anche dal punto di vista giudiziario».
L’ex procuratore capo ha tenuto a sottolineare che non vuole polemizzare con il tribunale dei ministri che ha archiviato la posizione dell’allora premier, Giuseppe Conte, e di Speranza, nell’indagine sulla gestione della prima fase della pandemia in val Seriana.
Però puntualizza: «Il tribunale di Brescia dice che Conte non aveva le informazioni sufficienti per poter fare la scelta della “zona rossa”, ma io avevo fatto la ricostruzione delle possibili conoscenze del Comitato tecnico scientifico (Cts) e di quelle governative. I tecnici avevano tutti i giorni, più volte al giorno, delle informazioni che arrivavano. Non so che rapporto ci fosse tra il Cts e la parte politica, ma parlando di conoscenza e partendo dal 22 febbraio c’era stata una escalation. Concateno le cose, non poteva non sapere l’allora presidente del Consiglio». Per poi ricordare: «Il Cts era un organo consultivo, aveva potere di appoggio, non decisionale».
Chiappani è stato ancor più chiaro: «Non è vero quello che dichiarò a verbale Conte, che lui aveva saputo della situazione drammatica della Bergamasca solo il 5 marzo, e Speranza solo il 4 marzo. A meno che Cts e governo non si parlassero tra di loro».
Alla domanda se la mancata istituzione della zona rossa può avere inciso sull’eccesso di mortalità, l’ex magistrato non ha avuto dubbi: «Se il 28 e il 29 c’era stato il raddoppio dei contagi, aspettare tre, quattro, sei giorni significava morti in più perché era in corso una progressione esponenziale».
Per Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Covid, «questa ricostruzione smentisce quanto dichiarato finora da Conte e Speranza riguardo alle tempistiche con cui sarebbero stati avvisati della gravità della situazione. Avrebbero dovuto chiudere prima e soltanto un territorio limitato, invece hanno chiuso tutta l’Italia e tardivamente. Questa loro inerzia, come accertato dalla Procura di Bergamo, potrebbe aver inciso sulla eccessiva mortalità». Il mancato contenimento del focolaio è causa di addebito di tipo penale. La prevenzione, il distanziamento sociale avrebbero arginato la diffusione, invece «siamo arrivati con l’acqua alla gola quando i morti erano per strada», ha dichiarato Chiappani. Per poi ricordare che nel maggio 2020 l’Italia diede 10 milioni di contributo volontario all’Oms, proprio nei giorni in cui la stampa italiana diffondeva la notizia che stava per essere pubblicato il rapporto di Francesco Zambon, fortemente critico sulla gestione della pandemia in Italia. «Rapporto che, è utile ricordare, è stato poi rapidamente ritirato. Si è trattato solo di una strana coincidenza oppure qualcuno, con questa lauta donazione, sperava di censurare il rapporto Zambon?», si interroga Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fdi. L’impreparazione del Paese a fronteggiare la pandemia è stata sottolineata anche dall’audizione di Giovanni Ferrari, esperto di pianificazione emergenze e crisi. «Un piano di gestione pandemia non è emergenziale, è un piano di gestione crisi in grado di essere applicabile in presenza di qualsiasi virus», ha spiegato. Questo significa che «non so che cosa capiterà, non so l’intensità, la violenza dell’agente biologico o virus ma so quali possono essere le conseguenze sul sistema nazionale, so che ci saranno problemi con gli ospedali. Uno dei primi problemi della pianificazione è la riorganizzazione ospedaliera». L’Italia non era preparata, «era inutile bloccare i voli da Wuhan», ha detto Ferrari. «Servivano implementazioni dei piani, bisognava attivarsi per modificare tutte le proprie strutture, a livello nazionale e territoriale». È mancata «la capacità di rendersi conto il più rapidamente possibile che c’era una pandemia in corso».





