«Little Disasters»: tra maternità e dilemmi familiari la nuova serie di Sarah Vaughan
La serie Little Disasters: L'errore di una madre, tratta dal romanzo di Sarah Vaughan, esplora con delicatezza le complessità della maternità, tra dubbi, solitudine e relazioni fragili, senza retorica né colpi di scena eccessivi.
Little Disasters, cui la traduzione italiana ha apposto un sottotitolo, L'errore di una madre, è nato come romanzo. Uno di quelli scritti da Sarah Vaughan, celebrata all'estero come nuovo genio della letteratura dimenticabile: quella, per intendersi, che non cementifichi in pietra miliare, ma consenta a chi ne fruisca di vivere fra le pagine di un libro, dimentico del mondo circostante.
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
«The Rainmaker» torna in tv: il legal drama di Grisham cambia città e prospettiva
La nuova serie di The Rainmaker, prodotta anche da John Grisham, approda su Sky rinnovata per una seconda stagione. Dieci episodi tra Charleston e le zone d’ombra della legalità, seguendo il percorso di un Rudy Baylor più ingenuo e disincantato.
The Rainmaker ha già avuto i suoi passaggi fortunati, prima bestseller, poi pellicola a firma di Francis Ford Coppola. Ma la storia di John Grisham, parabola perfetta per descrivere la mutevolezza delle idee, specie di quelle che l'ambizione, il potere e il denaro possono plasmare a proprio piacimento, non ha finito di chiedere adattamenti. L'ultimo, voluto tra gli altri dallo stesso Grisham, annoverato tra i produttori esecutivi, ha la forma di un racconto seriale, declinato in dieci episodi e rinnovato anzitempo per una seconda stagione.
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
Su Netflix arriva «L’amore è cieco», il reality che mette alla prova i sentimenti al buio
L'amore è cieco, sulla cui locandina campeggiano sorridenti Fabio Caressa e Benedetta Parodi, dovrebbe portare con sé un punto di domanda: qualcosa che lasci aperto agli interrogativi, al dubbio, all'idea che no, l'amore possa avere bisogno di vederci benissimo. Lo show, il cui titolo rievoca la saggezza (presunta) popolare, cerca di provare empiricamente la veridicità del detto. Non è, dunque, un dating show canonico, in cui single stanchi della propria solitudine si mettano a disposizione di chi, come loro, voglia trovare una controparte per la vita.
Non è, nemmeno, un reality costruito sulla falsa riga di Matrimonio a prima vista. L'amore è cieco, al debutto su Netflix da lunedì primo dicembre, è, piuttosto, una via di mezzo, il tentativo di capire se ci sia un principio di bontà in programmi come quelli sopra citati. Cosa sceglierebbero, cioè, i poveri mariti e mogli wannabe se, davanti all'altare di Matrimonio a prima vista, potessero scappare urlando da lontano un sonoro "Scherzavo"? E cosare farebbero le coppie di 90 giorni per innamorarsi se in palio, oltre l'amore, non ci fosse la possibilità di vivere legittimamente negli Stati Uniti d'America?L'amore è cieco, che tra Usa ed Europa ha già avuto svariate versioni e adattamenti, parte da un gruppo di single determinati a cambiare il proprio status. Li sceglie pari numero, in modo tale che ad ogni uomo possa corrispondere una donna. Poi, tenendoli separati per sesso, li invita ad infilarsi in apposite cabine: stanze senza finestre né pareti in vetro, il cui muro frontale confini, però, con quello di un'altra cabina. In questo modo, separati da una parete sottile, l'uomo e la donna single hanno la chance di parlarsi senza vedersi in faccia, cosicché nessuna sovrastruttura - meno che mai quella estetica - vizi il giudizio relativo alla reciproca compatibilità. La conversazione deve fluire spontaneamente, gli interessi affiorare. E, solo sulla base delle parole dette, i due devono scegliere se darsi una possibilità che sia anche fisica. I single, che in dieci giorni di cecità parlano con ogni altro single del sesso opposto, annotando su un apposito quadernetto i pro e i contro di quelle chiacchierate, possono decidere se accoppiarsi con chi abbia dato loro le vibrazioni migliori. Allora, il programma li porterà nel mondo reale, dove potranno toccare con mano il frutto delle proprie scelte. L'amore potrà dimostrarsi cieco, e i due decidere di sposarsi. Oppure l'amore potrà rivendicare il proprio diritto alla vista, portando le neonate coppie a scoppiare in men che non si dica.





