
Il leader decaduto può contare su un paracadute da 34 miliardi di dollari, tra contanti nei paradisi fiscali e lingotti d’oro, ottenuti frodando gli aiuti Onu ma soprattutto trafficando Captagon, la «droga della jihad».La famiglia Assad non è più padrona della Siria e la parola fine l’hanno messa ieri all’alba i jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) guidati dall’astuto Abu Mohammad Al Jolani , jihadista di lunga data che ha tratto insegnamento dagli errori di Osama Bin Laden e del suo mentore Abu Musab al-Zarqawi, fondatori rispettivamente di Al Qaeda e dell’Isis, passato poi nelle mani di Abu Bakr Al Baghdadi. A quest’ultimo Al Jolani non si sottomise e la rottura lo portò col passare del tempo a far nascere il Fronte del soccorso al popolo di Siria (Jabbat al Nusra), sigla confluita poi in Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante). Abu Mohammed Al Jolani evita di suscitare terrore: si presenta come un salafita moderato e promette di governare il Paese in modo inclusivo, garantendo rappresentanza a tutte le etnie e religioni. Ma è solo una commedia perché altri non è che un jihadista duro e puro e per l’Italia tutto questo è un vero disastro perché è facile immaginare che il Mediterraneo sarà letteralmente preso d’assalto da migliaia di disperati in fuga dai suoi tagliagole. Hafiz Al Assad, al potere dal 1971 fino alla morte avvenuta nel 2000, il suo successore il figlio Bashar laureato in oftalmologia a Londra che era entrato nella linea di successione al potere dopo la morte del fratello Basil, il delfino designato di Hafiz, vittima di un incidente stradale nel 1994, insieme ai fratelli e al resto del clan familiare hanno depredato il Paese di ogni sua risorsa compresi gli aiuti della comunità internazionale gestiti in gran parte da Asma Al Assad moglie di Bashar e da altri membri del clan. A proposito di loro nessuno sa con certezza dove si trovino dopo che il presidente siriano deposto ha lasciato domenica sera la Siria con un aereo del quale da ore non si hanno notizie. Funzionari siriani hanno dichiarato alla Reuters che l’aereo di Assad è precipitato, ma la notizia non è stata confermata. La moglie e i tre figli invece sarebbero a Mosca da giorni ma si tratta di indiscrezioni non confermate. Secondo quanto riportato dalla Siria, anche il cognato di Assad sarebbe fuggito per tempo e si troverebbe attualmente negli Emirati Arabi Uniti.A proposito delle ruberie degli Assad è emblematico il caso scoperto nell’ottobre 2021 dai ricercatori del Center for strategic and international studies (Csis), del think tank Operations & policy center e del Center for operational analysis and research. Nonostante le sanzioni imposte al presidente siriano Bashar Al Assad dopo la guerra civile del 2011, il regime è riuscito a trasformare queste circostanze avverse in una delle sue principali fonti di approvvigionamento di valuta forte. Infatti il clan di Assad non si è limitato a trarre vantaggio dalla crisi che lui stesso ha innescato: ha costruito un sistema che lo ha premiato proporzionalmente al costante peggioramento della situazione. I ricercatori hanno scoperto che il governo ha rubato decine di milioni di dollari di aiuti esteri costringendo le agenzie delle Nazioni Unite a utilizzare un tasso di cambio più basso. La Banca centrale siriana, sanzionata da Regno Unito, Stati Uniti e Unione europea, ha di fatto guadagnato 60 milioni di dollari solo nel 2020 intascando 0,51 dollari per ogni dollaro di aiuti inviati alla Siria, al punto che le Nazioni Unite sono state una delle principali fonti di guadagno per l’ormai ex presidente Bashar Al Assad e il suo governo. In un momento in cui la maggior parte della popolazione siriana soffre di fame e povertà, le informazioni rilasciate da fonti straniere hanno rivelato l’entità dell’enorme ricchezza di Bashar Al Assad e della sua famiglia. Il quotidiano saudita Elav ha rivelato in un recente rapporto l’entità dell’enorme ricchezza del dittatore siriano: citando una fonte britannica che si appoggiava alle stime elaborate dal servizio di intelligence britannico MI6, si tratterebbero di 200 tonnellate di oro, 16 miliardi di dollari e 5 miliardi di euro. Calcolando la suddetta ricchezza di Assad rispetto al dollaro, è approssimativamente pari a 34 miliardi di dollari, che equivale all’intero bilancio della Siria per 7 anni, rispetto al bilancio della Siria per l’anno 2023, che era equivalente a 5,4 miliardi di dollari secondo il tasso di cambio ufficiale stabilito dalla Banca centrale del regime di Assad. Dove sono tutti questi soldi? Gran parte del patrimonio di Assad si trova in Russia, a Hong Kong e in diversi paradisi fiscali offshore, una strategia volta a ridurre il rischio di eventuali conseguenze e si ritiene che una sofisticata rete di società e trust sia stata creata per celare beni riconducibili ai membri della famiglia. Tantissimi soldi ma nulla in confronto al patrimonio di Muammar Gheddafi, morto il 20 ottobre 2011 a Sirte (Libia), stimato in 200 miliardi di dollari (circa 1 miliardo investito in Italia), diviso su conti bancari, immobili e investimenti in azienda sparse in tutto il mondo. Ad alimentare le finanze del regime degli Assad c’è la produzione e il traffico di Captagon, una droga composta da anfetamina e teofillina conosciuta anche come «la droga della jihad», dato che assumendola in pastiglie tra altre cose si perde ogni freno inibitorio. I jihadisti dell’Isis ne fanno largo uso così come i terroristi di Hamas ne erano imbottiti la mattina del 7 ottobre 2023. Dal 2011, la regione del Golfo ha assistito a un significativo incremento nella portata e nella complessità del traffico di droga, in particolare del Captagon. Questa sostanza rappresenta una grave minaccia per la stabilità sociale. Tuttavia, il fenomeno non si limita alla sfera della criminalità organizzata, ma si intreccia profondamente con dinamiche politiche. Il regime siriano guidato da Bashar Al Assad, insieme ai suoi alleati, ha sfruttato il traffico di Captagon come strumento di pressione politica nei confronti degli Stati del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita dove questa droga sintetica dilaga tra i giovani. Tale strategia mirava a favorire la reintegrazione della Siria nel panorama arabo e a ottenere concessioni che potessero rafforzare il potere del regime che non si è mai ripreso dalla guerra degli anni scorsi. Quanto ha guadagnato il regime siriano dal commercio di Captagon? Un’inchiesta condotta dal quotidiano tedesco Der Spiegel ha stimato che nel 2021 i proventi derivanti da questa droga abbiano raggiunto i 5,7 miliardi di dollari. Tuttavia, altre fonti indicano una cifra ancora più alta, pari a 30 miliardi di dollari per lo stesso anno. Nel frattempo, la Banca mondiale ha calcolato che il prodotto nazionale lordo della Siria per il 2021 si attestava a 8,9 miliardi di dollari, segnando un drastico calo rispetto ai 60,04 miliardi registrati nel 2010. Questi dati evidenziano non solo la perdita di entrate del governo siriano a causa del conflitto in corso, ma anche l’importanza cruciale del traffico di Captagon nell’attuale economia siriana. Secondo gli Stati Uniti e il Regno Unito, il valore economico del commercio di Captagon in Siria sarebbe circa tre volte superiore a quello generato dai cartelli messicani.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




