Continua il braccio di ferro tra il governo e la Bce sulle riserve auree della Banca d’Italia. Le «modifiche apportate» in una nuova formulazione non bastano: «Non è ancora chiaro quale sia la concreta finalità della proposta di disposizione rivista», torna a ribadire l’Eurotower. Che manda un messaggio al governo di Giorgia Meloni: «riconsideri» la proposta. L’ultima riformulazione dell’emendamento è arrivata il 4 dicembre a Francoforte. Peraltro «non è accompagnata da alcuna relazione illustrativa che ne illustri la ratio». E la Bce, che già il 3 dicembre si era già espressa su una precedente versione lanciando il primo altolà, continua a non gradire.
Francoforte riconosce «alcune novità che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi, ma restano i dubbi sulla finalità della norma. «Nonostante le modifiche apportate», «non è ancora chiaro quale sia la concreta finalità», spiega l’Eurotower. «Per questo motivo, e in assenza di spiegazioni», le autorità italiane sono «invitate a riconsiderare la proposta», anche al fine di «preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali» della Banca d’Italia.
È una presa di posizione che rischia di complicare il rebus della manovra, proprio mentre i lavori in Senato si apprestano ad entrare nel vivo, con il pacchetto di emendamenti del governo atteso per giovedì. Le decisioni definitive delle modifiche sono strettamente legate all’esito del lavoro sulle coperture. Sono attese correzioni sul tema degli affitti brevi, con il ritorno della cedolare secca al 21% per il primo immobile e la riduzione da 5 a 3 della soglia da cui scatta l’attività d’impresa. Si lavora anche sui dividendi (la stretta verrebbe limitata alle partecipazione sotto il 5%), sull’esclusione delle holding industriali dall’aumento dell’Irap, sullo stop al divieto di portare in compensazione i crediti, sull’allargamento dell’esenzione Isee sulla prima casa. Si valutano anche detrazioni per i libri e la stabilizzazione triennale dell’iperammortamento. In arrivo qualcosa anche per le forze dell’ordine, i cui sindacati sono stati convocati domani a Palazzo Chigi.
Fa discutere l’emendamento di Fdi che raddoppia il tetto al contante (attualmente di 5.000 euro), introducendo un’imposta speciale di bollo di 500 euro su ogni pagamento in contanti per importi tra 5.001 e 10.000 euro.
L’imposta che scatterebbe per i pagamenti cash compresi tra i 5.001 e 10.000 euro, ha il risvolto di assicurare un gettito fiscale. La soglia di 5.000 euro era stata fissata proprio dal governo Meloni nel 2023 che l’aveva innalzata dai 2.000 euro precedenti.
L’emendamento stabilisce che l’imposta di 500 euro, scatti dal 1° gennaio 2026 e riguarderebbe italiani e stranieri che decidono di effettuare questo tipo di pagamenti. Inoltre, le transazioni sono soggette a obbligo di fattura che dovrà essere consegnata al fornitore del bene o del servizio, consentendo all’Agenzia delle Entrate di effettuare controlli sulla regolarità dell’operazione. Un meccanismo che punta a preservare un livello di tracciabilità anche laddove venga scelto il contante.
L’emendamento ha scatenato la grancassa polemica dell’opposizione. «Aumenta la tolleranza nei confronti dei pagamenti cash. Evidentemente il governo è così disperato e non sa più cosa fare per racimolare risorse» tuona il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia. E aggiunge che «mentre le società avanzate investono in trasparenza e tracciabilità per proteggere cittadini e imprese da evasione e riciclaggio, il governo Meloni riporta l’Italia indietro di vent’anni». In realtà in questo modo il nostro Paese si allinea alla media Europea e anticipa una decisione della stessa Commissione Europea che ha spinto per un innalzamento del tetto dei pagamenti in contanti. La Ue già prevede un limite uniforme di 10.000 euro per tutti gli Stati membri dal 10 luglio 2027 per superare le disparità. L’arringa del Pd come di Avs contro il nuovo tetto non tiene quindi conto dell’orientamento della Commissione.
Inoltre secondo il think tank CashEssentials, un limite uniforme europeo consentirebbe maggiori controlli sulle operazioni sospette senza abolire il contante che resta uno strumento legittimo di pagamento in quasi tutti gli Stati membri. L’Italia ha storicamente oscillato tra aperture e restrizioni. Negli ultimi vent’anni il limite al contante è passato da 12.500 euro del 2002 al minimo di mille euro imposto nel 2011, risalito a 3.000 nel 2016 e poi nuovamente sceso a 2.000 nel 2020. L’attuale soglia di 4.999.99 euro è in vigore da gennaio 2023 per effetto della prendente manovra.
Procede intanto il lavoro sulle coperture: si starebbe ragionando ancora sull’operazione di affrancamento oro con imposta sostitutiva agevolata al 12,5% per far emergere l’oro fisico non documentato. In un primo momento si sperava in un gettito fino a due miliardi, ma ora si valuta un effetto limitato (al massimo 290 milioni), perché l’orientamento è aprire solo a piccoli importi, come l’oro di famiglia con provenienza certa, per evitare il pericolo di riciclaggio. Sul tavolo anche la possibilità di un sostegno economico alle forze dell’ordine con un meccanismo premiale per chi svolge funzioni su strada per garantire sicurezza e ordine pubblico. Si tratterebbe di fatto di una sorta di indennizzo straordinario, ma la misura sarebbe ancora allo studio.
Le 2.452 tonnellate sono detenute dalla Banca d’Italia, che però ovviamente non le possiede: le gestisce per conto del popolo. La Bce ora si oppone al fatto che ciò venga specificato nel testo della manovra. Che attende l’ultima formulazione del Mef.
La Bce entra a gamba tesa sul tema delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia. Non bastava la fredda nota a ridosso della presentazione dell’emendamento di Fratelli d’Italia alla manovra. Nonostante la riformulazione del testo in una chiave più «diplomatica», che avrebbe dovuto soddisfare le perplessità di Francoforte, ecco che martedì sera la Banca centrale europea ha inviato un parere al ministero dell’Economia in cui chiede in modo esplicito di chiarire la finalità dell’emendamento. Come dire: non ci fidiamo, che state tramando? Fateci sapere.
Ma anche: quell’oro ci interessa eccome e non può uscire dal nostro perimetro di influenza. La nota della Bce è incisiva: «Non è chiaro quale sia la concreta finalità della proposta di disposizione. Per questo motivo, e in assenza di spiegazioni in merito, le Autorità italiane sono invitate a riconsiderarla, anche al fine di preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali connessi al Sebc della Banca d’Italia ai sensi del Trattato». Eppure l’emendamento di Fdi - primo firmatario il capogruppo in Senato, Lucio Malan - nella versione riformulata è sufficientemente cauto. Stabilisce che «le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono al popolo italiano», togliendo la frase «incriminata» ovvero che «appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano» indicata nell’emendamento originario.
Ma questo non è bastato. Ieri, il presidente dell’istituto centrale, Christine Lagarde, è intervenuta pesantemente sul tema. Cogliendo l’occasione di un’audizione al Parlamento europeo, a chi le ha chiesto un parere sulle misure allo studio in Italia circa le riserve auree, ha risposto: «È la Banca d’Italia che ha la piena autorità sulle riserve d’oro». E aggiunge: «Non è una questione di poco conto perché l’Italia è il terzo maggiore detentore di oro tra le Banche centrali». Poi chiama in causa i Trattati: «Dicono, molto chiaramente, che le riserve e la loro gestione appartengono alla Banca centrale di ogni Stato. E la Banca d’Italia non è diversa da qualsiasi banca centrale nazionale, quindi ha il dovere di detenere e gestire tali riserve». E insiste che «dal 2019 il parere della Bce è lo stesso».
Che cosa c’è dietro questo polverone? Il sospetto è che la Bce, possedendo un ammontare di riserve auree pari a 507 tonnellate, inferiore a quelle di Italia (2.452), Germania, Francia e Stati Uniti, vuole in qualche modo avere influenza su quanto detenuto dagli istituti centrali dei Paesi membri. Dalla creazione dell’euro, le banche nazionali sono rimaste proprietarie delle loro riserve, ma la Bce ha voce in capitolo nella loro gestione in quanto ciò deriva dal suo mandato. Questo fa capire la levata di scudi di Francoforte. Va poi ricordato che le banche centrali possono mettere a disposizione dello Stato le riserve, come ha fatto la Francia una quindicina di anni fa.
Per uscire da questo cul de sac, il governo starebbe lavorando a una nuova riformulazione dell’emendamento. «La soluzione migliore sarebbe di riproporre esattamente il mio testo del 2019 perché ha già il parere positivo della Bce», afferma il relatore della legge di Bilancio, Claudio Borghi (Lega), che allude alla proposta di legge da lui presentata sul tema nel 2019 e approvata da Francoforte, di cui era stato sentito il parere. Il senatore esclude che questo passaggio possa allungare i tempi dell’approvazione della legge di Bilancio, con il rischio di andare in esercizio provvisorio, come qualcuno a sinistra ha paventato.
«L’emendamento di Fdi non mette in alcun modo in discussione l’autonomia di Bankitalia e sorprende tanto allarmismo», incalza Francesco Filini di Fratelli d’Italia.
Intanto la maggioranza fissa ben salde le sue «bandierine» per la manovra, in attesa delle ultime riformulazioni e di dare il via al voto degli emendamenti dalla prossima settimana in commissione Bilancio al Senato. Ieri, con l’inammissibilità di 21 nuove proposte di modifica, è stata depennata la proroga di Opzione donna sostenuta da Fdi. Non sono passate le ipotesi di estendere i beneficiari delle detassazioni contrattuali e delle decontribuzioni per le assunzioni stabili al Sud (entrambre di Fdi). Stop anche al progetto della Lega di una flat tax per i giovani, mentre torna in pista la nuova formulazione dell’emendamento della Lega per la vendita della quota italiana del fondo salva Stati Ue, il Mes. Tra i cavalli di battaglia della Lega anche il blocco all’aumento dell’età pensionabile. I leghisti chiedono anche più fondi per la sicurezza nelle strade. In bilico il Piano Casa. In cima alle richieste di Forza Italia, lo stop all’aumento dell’Irap, non solo per le banche ma per tutte le imprese, e lo stop alla tassa sui dividendi e sugli affitti brevi.
Al lavoro anche la sinistra, che annuncia di essere pronta a fare le barricate se i Lep (i Livelli essenziali di prestazione) saranno inseriti nella manovra. «Se vogliono un duro ostruzionismo siamo qui», afferma il capogruppo pd al Senato, Francesco Boccia, minacciando l’esercizio provvisorio: «Non è neanche preoccupante, tanto la manovra è nulla». Quello che nel 2024 suggeriva Marcello Degni, il consigliere della Corte dei Conti che si lagnava per l’occasione persa di far «sbavare di rabbia» il governo mandando il Paese in esercizio provvisorio attraverso l’ostruzionismo. Al Nazareno hanno imparato la lezione.
Mario Draghi torna a sferzare l’Europa. Da quando non indossa più i panni del premier, non perde occasione per mettere in evidenza le fragilità di un’istituzione che da Palazzo Chigi magnificava in modo incondizionato. Al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini aveva parlato di una Ue «marginale e spettatrice» che «ha perso l’illusione di essere protagonista della scena internazionale» e delle necessità di «riformare la sua organizzazione politica». Ieri, con toni non meno polemici, intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Milano, si è rivolto ai giovani parlando di nuove tecnologie. Sulle quali, attacca l’ex premier, l’Europa è indietro. La prospettiva è «un futuro di stagnazione se non sarà colmato il divario che ci separa da altri Paesi, nello sviluppo dell’Intelligenza artificiale».
Draghi indica ancora una volta la strada da seguire. «Le economie avanzate non possono basarsi solo sul lavoro e il capitale per la prosperità, ma le tecnologie devono diventare più centrali». E per tecnologie Draghi intende essenzialmente l’Intelligenza artificiale. La posta in gioco, e qui si ricollega a quella «marginalità» indicata al Meeting di Rimini, è di non rimanere indietro e schiacciati, tra le due potenze competitor, Stati Uniti e Cina.
L’analisi di Draghi è impietosa: «Negli ultimi 20 anni», ricorda, «siamo passati dall’essere un continente che accoglieva le nuove tecnologie, riducendo il divario con gli Stati Uniti, a uno che ha progressivamente eretto barriere all’innovazione e alla sua adozione. Nella prima fase della rivoluzione digitale, la crescita della produttività europea è scesa a circa la metà del ritmo statunitense. Ora questo schema si ripete con l’intelligenza artificiale».
Andando nello specifico, dice che «lo scorso anno gli Usa hanno prodotto 40 grandi modelli fondamentali, la Cina 15, la Ue solo 3». Questo divario che si ritrova in numerosi campi dell’innovazione tecnologica va colmato.
La causa di questa arretratezza è ormai nota: l’iper regolamentazione, la mancanza di flessibilità e di velocità decisionale. «L’Europa si è inceppata sulle regole per l’Intelligenza artificiale», accusa. «Una politica efficace richiede adattabilità, di rivedere le ipotesi, di adeguare rapidamente le regole. Abbiamo trattato valutazioni iniziali e provvisorie come se fossero dottrina consolidata inserendole in leggi difficili da modificare. Alcune delle regole ostacolano la fase successiva all’innovazione, soprattutto per le imprese giovani che non dispongono di risorse». Questo spiega la fuga dei cervelli. «Gli europei che vogliono muoversi rapidamente vanno all’estero per costruire e crescere. Due terzi delle startup europee», ha detto Draghi, «si espandono negli Stati Uniti già nella fase di pre-avviamento; cinque anni fa erano un terzo».
Il limite dell’Europa, dice Draghi, è «di aver spesso adottato un approccio improntato alla cautela radicato nel principio di precauzione. Occorre agilità e saper riconoscere quando la regolamentazione è stata resa obsoleta dagli sviluppi della tecnologia e modificarla rapidamente».
Ai giovani, Draghi non dice di non partire. «C’è un debito di gratitudine verso chi ha investito in voi ma ripagare questo debito», avverte, «non significa che dobbiate rimanere in Italia o in Europa. La tecnologia è globale e il talento va dove ha le migliori opportunità, ma non rinunciate a costruire qui. Pretendete di avere le stesse condizioni che permettono ai vostri coetanei di avere successo in altre parti del mondo».





