La rete di Mohammad Hannoun in Italia era vasta e radicata ma non negli ambienti dell’estremismo islamico come si potrebbe immaginare, ma all’interno della politica e delle istituzioni del nostro Paese. A sinistra in molti addirittura vantavano l’amicizia con l’architetto giordano accusato dai servizi israeliani e adesso anche dall’Italia, di raccogliere fondi per finanziare Hamas. Non un fulmine a ciel sereno perché l’uomo è stato al centro di altre indagini per le attività di raccolta fondi destinate alle famiglie dei kamikaze palestinesi.
Magistrati, forze dell’ordine e servizi segreti osservano le sue mosse da anni considerandolo di fatto uno dei bracci finanziari di Hamas in Europa. Dal 2002, dopo l’attentato alle Torri gemelle, è entrato in tutte le liste nere possibili e Israele l’ha dichiarato soggetto indesiderato sul proprio territorio. A questo giornale le sue attività sono note da tempo. Giacomo Amadori il 27 ottobre 2023 sulla Verità si occupava della rete e delle amicizie del filoterrorista. Presiede l’associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp) di cui l’Investigative project on terrorism statunitense già nel 2010 scriveva che era affiliata alla cosiddetta Unione del Bene e che manteneva rapporti stretti e di lunga data con la leadership di Hamas a Damasco e a Gaza.
Per l’Ipt l’Unione del Bene è una coalizione radicale di enti di beneficenza islamici che fornisce sostegno finanziario sia all’infrastruttura «sociale» di Hamas, sia alle sue attività terroristiche.
Eppure nell’aprile del 2017 Abspp, insieme all’Associazione dei palestinesi in Italia (guidata sempre da Hannoun), organizzò una festa a Milano per la solidarietà alla Palestina che vide la partecipazione dei deputati Arturo Scotto del Pd (tra i parlamentari che si sono imbarcati quest’estate sulla Freedom Flotilla) e Manlio Di Stefano (M5s), che poi divenne sottosegretario agli Esteri.
L’associazione di Hannoun, già nel 2010 era considerata dal nostro Antiriciclaggio come «sospettata di distrarre i fondi raccolti a favore di orfani palestinesi, al fine di finanziare l’attività terroristica di Hamas nel Medio Oriente e o sostenere le famiglie e gli orfani di attentatori suicidi». Scriveva Amadori nel 2023. Ci sono voluti anni per arrivare all’arresto. Nel frattempo in Italia a sinistra si continuava a sostenerlo. Nel 2018 si organizzò la conferenza dei palestinesi d’Europa e in quel caso a partecipare fu Marco Furfaro, parlamentare e membro della segreteria nazionale del Pd. Tra gli ospiti era segnalata anche l’attuale segretario del partito, Elly Schlein, notoriamente vicina agli ambienti pro Pal diffusi soprattutto nei centri sociali.
Nel 2022 il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, gli diede la possibilità di tenere una conferenza stampa a Montecitorio. Così come poi lo invitò nel febbraio 2023 Stefania Ascari (M5s), che con lui e Alessandro Di Battista, ex collega di partito, fece anche un viaggio in Palestina.
Matteo Orfini (Pd), Stefano Fassina (Sinistra italiana) e l’ex presidente della Camera e deputata del Pd, Laura Boldrini, sono solo alcuni degli altri politici di spicco della sinistra che lo hanno incontrato e con cui si sospetta che abbia avuto rapporti.
«Ricordiamo loro che sono dei colonizzatori, dei suprematisti, dei razzisti e che nel mondo multipolare non ci sarà posto per loro». Sulla sanguinaria operazione di Hamas: «Noi ci atteniamo al concetto di Resistenza prevista dalla legalità internazionale […] abbiamo imparato dalla Resistenza italiana ed europea con tutti i tipi di lotta». Ha negato la decapitazione dei bambini israeliani («vergognosa fake»), non ha condannato la strage di civili e anzi ha sottolineato che chi «rimane nella terra altrui» non può «lamentarsi di venire colpito dai combattenti della Resistenza». Sono solo alcune delle frasi incredibili che ha saputo pronunciare. Questo non ha impedito però ad alcuni a sinistra di accompagnarcisi, anche in occasioni pubbliche consentendogli di fatto di entrare nelle istituzioni italiane.
Il numero uno del Viminale Matteo Piantedosi, ringraziando la polizia e l’Antiterrorismo per l’arresto di Hannoun ha spiegato: «È stato squarciato il velo su comportamenti e attività che, dietro il paravento di iniziative a favore delle popolazioni palestinesi, celavano il sostegno e la partecipazione a organizzazioni con vere e proprie finalità terroristiche di matrice islamista». Il premier, Giorgia Meloni, esprime «apprezzamento e soddisfazione per l’operazione, di particolare complessità e importanza, che ha consentito di eseguire gli arresti di nove persone accusate di aver finanziato Hamas, attraverso alcune associazioni, sedicenti benefiche, per oltre 7 milioni di euro». Per il presidente del Senato, Ignazio La Russa, non ci deve essere «tolleranza per chi fiancheggia gruppi terroristici». Il vicepremier Matteo Salvini chiede che la «sinistra prenda le distanze dal suo amico Hannoun».
Poche le voci tuttavia. Nel Pd Deborah Serracchiani e Pina Picierno. Il portavoce di Avs, Angelo Bonelli, riconosce che il terrorismo debba essere combattuto ma al tempo stesso denuncia una destra «silente sui crimini di Netanyahu». Mentre in serata il M5s ha dato prova di equilibrismo. Se da un lato i pentastellati chiedono «massima fermezza, trasparenza e nessuna zona grigia», dall’altro si scagliano contro «l’ennesima opera di strumentalizzazione di chi ha la coscienza sporca e dopo avere offerto complicità politica e diplomatica con Netanyahu si precipita a tentare di infangare la nostra forza politica».
Da tempo in prima linea a denunciare con forza e decisione i movimenti di Hannoun, Sara Kelany, deputato Fdi. «La politica che lo ha irresponsabilmente e colpevolmente coccolato non deve soltanto scusarsi con gli italiani per aver messo in serio pericolo la collettività, sponsorizzando un calibro del genere, ma è chiaro che chi sta dalla parte di questi soggetti non può ricoprire ruoli istituzionali».
Si chiama price cap e sono molti i Paesi europei ad averlo attivato anche se in ambiti diversi. L'ultimo in ordine cronologico è la Germania.
Il governo tedesco ha deciso di fissare un tetto al prezzo dell’elettricità per i settori industriali ad alta intensità energetica, previsto tra il 2026 e il 2028, con lo scopo di salvaguardare la competitività della sua base manifatturiera. Secondo l’Agenzia Federale Tedesca per le Reti, il prezzo medio dell’elettricità per l’industria nel 2024 era di 16,77 centesimi di euro per kWh e di 10,47 centesimi di euro per kWh per le aziende che beneficiavano di tariffe ridotte. Il regime di aiuti, che è regolamentato in modo molto rigido, è limitato a tre anni, dal 1° gennaio 2026 fine del 2028. L’importo totale del sussidio è stimato tra i 3 e i 5 miliardi di euro.
L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
Da Roma a Milano. La torcia olimpica è ancora in viaggio. Sessanta le tappe che si chiuderanno il 5 febbraio. 63 giorni di viaggio, 60 città e 12.000 chilometri da percorrere toccando tutte le 110 province della penisola. Dalle piazze alle montagne, dai borghi alle metropoli, ogni tappa diventa un momento di celebrazione nazionale e di orgoglio condiviso.
Jasmine Paolini, Ambassador di Milano Cortina 2026 ha accompagnato la Fiamma Olimpica dall’antica Grecia all’Italia. L’attuale numero otto del ranking WTA, oro nel doppio a Parigi 2024, il 4 dicembre è stata la prima tedofora e ad Atene, durante la Cerimonia di Consegna, e, insieme al campione Olimpico di ciclismo Filippo Ganna, ha accompagnato la Fiamma fino a Roma. Da lì in poi è iniziato il percorso italiano della torcia più famosa di sempre .
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.





