2020-05-09
Il Russiagate perde il teste chiave. Trump: «L’Fbi inventò un crimine»
Donald Trump (Doug Mills-Pool/Getty Images)
Il Dipartimento di giustizia fa marcia indietro lasciando cadere tutte le accuse contro l'ex consigliere Michael Flynn e i dem sbroccano. Il tycoon festeggia e gioca la sua carta per le elezioni: «Biden e Obama erano coinvolti».L'inchiesta Russiagate è tornata al centro della scena. Il Dipartimento di Giustizia americano ha lasciato cadere le accuse contro il generale Michael Flynn. Primo consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, si dimise il 13 febbraio del 2017, quando emersero informazioni secondo cui aveva ingannato l'Fbi e il vicepresidente Mike Pence in riferimento ad alcuni colloqui tenuti con l'ambasciatore russo Sergej Kislyak: colloqui in cui era stato trattato anche il delicato tema delle sanzioni contro Mosca. Nel dicembre 2017 - davanti al procuratore speciale Robert Mueller - il generale si dichiarò colpevole di aver mentito al Bureau nel corso di un interrogatorio, avvenuto il 24 gennaio 2017: ammissione di colpevolezza che tuttavia lo scorso gennaio Flynn aveva chiesto di ritrattare. Il Dipartimento di Giustizia ha dichiarato giovedì di aver concluso che quell'interrogatorio fosse stato «condotto senza alcuna base investigativa legittima». Il procuratore che ha analizzato il dossier Flynn, Jeff Jensen, ha inoltre affermato: «Nel corso della mia revisione del caso del generale Flynn, ho concluso che la corretta e giusta direzione era quella di archiviare il caso».Se Trump ha esultato, i democratici sono invece andati all'attacco, accusando il ministro della Giustizia, William Barr, di partigianeria. «Un Dipartimento di Giustizia politicizzato e completamente corrotto lascerà semplicemente andare l'amichetto del presidente», ha sostenuto il deputato democratico, Jerrold Nadler. Si è intanto infiammato lo scontro politico, con i repubblicani che vogliono chiamare il generale a parlare in Senato e i democratici che chiedono le dimissioni di Barr. Il punto è che il ruolo dell'Fbi non risulta particolarmente cristallino in questa faccenda. A fine aprile, i legali di Flynn hanno infatti diffuso email e note manoscritte del Bureau, dedicate a come gli agenti si stessero preparando ad indagare sul generale. «Qual è l'obiettivo? Verità/ammissione o indurlo a mentire, così che possiamo incriminarlo o farlo licenziare?», si legge in una delle note, redatte prima dell'interrogatorio del 24 gennaio 2017. Questa documentazione ha innescato la durissima reazione di Trump, mentre gli avvocati di Flynn hanno sostenuto che l'Fbi abbia cercato di incastrare il loro cliente, muovendo da tesi precostituite. È pur vero che, secondo alcuni, si tratterebbe di normali tecniche di interrogatorio. Ricordiamo, però, che a dicembre l'ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, pur escludendo l'ipotesi di partigianeria politica, abbia comunque riscontrato ben 17 violazioni procedurali nelle modalità con cui l'Fbi ha condotto la sua indagine sulle presunte collusioni tra il comitato di Trump e il Cremlino. Inoltre, uno degli agenti che interrogò Flynn fu Peter Strzok: esattamente colui che, in un messaggio inviato alla sua amante nel 2016, assicurò che sarebbe riuscito a bloccare l'ascesa politica di Trump. «Lo fermeremo», scrisse.Nelle scorse ore, la commissione Intelligence della Camera ha diffuso 6.000 pagine di trascrizioni delle audizioni tenutesi tra il 2017 e il 2018 dedicate all'indagine russa. Secondo quanto riferito ieri da Fox News, da questi documenti emergerebbe che numerosi alti funzionari dell'amministrazione Obama abbiano ammesso di non aver avuto delle «evidenze empiriche» per dimostrare la tesi di una collusione tra Trump e Mosca: in siffatti termini si sono per esempio espressi l'ex direttore dell'intelligence nazionale James Clapper, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice, l'ex ambasciatrice alle Nazioni Unite Samantha Power e l'ex ministro della Giustizia, Loretta Lynch. Tutto ciò, mentre - stando ai nuovi documenti - pare che Obama in persona fosse informatissimo sulle telefonate intercettate di Flynn: fattore che lasciò ai tempi sorpreso l'ex viceministro della Giustizia, Sally Yates. Lo stesso ex direttore ad interim del Bureau, Andrew McCabe, dichiarò nel 2017 di non poter confermare l'accuratezza del dossier Steele (su cui si basò a lungo l'impianto accusatorio del Russiagate). Trump è quindi tornato a sostenere che Obama abbia usato indebitamente l'Fbi per danneggiarlo e ha chiamato in causa anche Joe Biden, vice del suo predecessore e attuale (probabile) candidato democratico alla Casa Bianca. «Quello che avete visto finora», ha detto Trump, «è incredibile, soprattutto per quanto riguarda il presidente Obama, perché se qualcuno pensa che lui e Sleepy Joe Biden non sapessero cosa stesse succedendo, avrà altre cose in arrivo». Tutto questo, mentre l'ufficio stampa della Casa Bianca ha di fatto accusato l'Fbi diaver «prodotto un crimine» contro Flynn. Esagerato? Ma se le prove per giustificare un'indagine sulla collusione con i russi non c'erano, non è che l'intento del Bureau fosse realmente politico? Un'ipotesi che, in caso, non potrebbe non chiamare in causa Obama. E, se così fosse, che cosa direbbero quelli che, appena quattro mesi fa, accusavano Trump di abuso di potere?