Arsenale e Simest (Cdp) hanno chiuso un accordo per finanziare «Dream of the Desert», progetto che porta il gruppo industriale italiano nel settore dei viaggi di lusso in Arabia Saudita. Inoltre, la struttura supera i 70 milioni di euro: 37 milioni di investimento equity congiunto Arsenale-Simest e 35 milioni di finanziamento del Tourism Development Fund saudita. L’accordo si innesta sull’intesa già siglata con Saudi Arabia Railways per l’utilizzo della rete ferroviaria nazionale.
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
Le centrali di telecomunicazioni e gli edifici che ospitano apparati di rete, alimentazione e sistemi di raffreddamento sono fra le componenti più energivore dell’infrastruttura digitale. L’idea lanciata da Fibercop ed Enercop è usare questa capillarità territoriale come leva per produrre energia rinnovabile in prossimità dei consumi, trasformando progressivamente siti tecnici e patrimonio immobiliare in una rete fotovoltaica diffusa.
Le due aziende, entrambe parte del gruppo Optics Holdco, impostano l’operazione come un investimento strutturale: la produzione in sito, replicata su migliaia di asset, mira a sommare contributi unitari in un volume energetico significativo, riducendo al contempo l’impronta carbonica dell’infrastruttura digitale.
Il programma, battezzato «Progetto Solare», mira alla realizzazione di oltre 2.000 impianti entro il 2027 e a circa 200 gigawattora di energia rinnovabile all’anno, così da incrementare in modo sostanziale l’autosufficienza energetica della rete di Fibercop. La prima fase esecutiva è già partita: 26 impianti in installazione, con completamento previsto entro l’inizio del 2026.
La dimensione industriale emerge dai numeri della tranche iniziale: potenza complessiva superiore a 3 megawatt peak (la potenza nominale di generatore di picco che si utilizza negli impianti fotovoltaici) e produzione attesa di circa 4,35 gigawattora l’anno. L’impatto ambientale stimato è immediato, con circa 1.435 tonnellate di anidride carbonica risparmiate annualmente. Come spiegano le due aziende in una nota, l’ordine di grandezza viene descritto con equivalenze come l’assorbimento di oltre 120.000 alberi adulti o la rimozione di più di 700 automobili dalla circolazione stradale per un anno.
«L’integrazione di fonti rinnovabili nei nostri asset è una leva strategica per rendere le reti più sostenibili e resilienti», ha affermato Massimo Sarmi, presidente e amministratore delegato di Fibercop. «L’energia autoprodotta ci consente di ottimizzare l’efficienza operativa e di rafforzare il nostro contributo alla decarbonizzazione. A regime, il progetto ci permetterà di coprire tramite fotovoltaico circa il 35% dei consumi complessivi di Fibercop.»
I 26 impianti sono distribuiti lungo il territorio nazionale e includono siti di particolare rilievo: tra quelli citati, l’impianto di via Oriolo Romano, a Roma, con 1.100,84 chilowatt peak di potenza, è uno dei più significativi della prima tranche del progetto.
Un punto di discontinuità riguarda l’architettura di autoconsumo. Per ciascun impianto è prevista l’attivazione della configurazione Cacer (Configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile), un meccanismo che permette a un utente di usare l’energia prodotta dai propri impianti rinnovabili anche se si trovano in un punto diverso rispetto al luogo in cui consuma l’elettricità. Oggi la configurazione Cacer è già operativa su due impianti, consentendo l’autoconsumo istantaneo dell’energia prodotta e l’ottimizzazione dei flussi energetici a beneficio delle infrastrutture di rete. Tutti i nuovi impianti che verranno progressivamente realizzati saranno iscritti al Gse, al fine di attivare la configurazione Cacer non appena tecnicamente possibile. Questo approccio permetterà di massimizzare il valore dell’energia autoprodotta, ridurre ulteriormente i prelievi dalla rete e abilitare modelli avanzati di condivisione dell’energia rinnovabile, rafforzando la sostenibilità economica e ambientale del progetto.
«L’avvio di questa prima fase rappresenta un traguardo fondamentale per Enercop e conferma il nostro impegno nell’integrazione delle energie rinnovabili nel settore delle telecomunicazioni», ha dichiarato Giulio Carone, amministratore delegato di Enercop. «La collaborazione con Fibercop è orientata a soluzioni energetiche innovative, in linea con gli obiettivi nazionali di sostenibilità».
Nel disegno complessivo dell’operazione, la metrica chiave sarà l’impatto sul profilo di consumo: l’obiettivo dichiarato è arrivare a coprire tramite fotovoltaico circa il 35% dei consumi complessivi di Fibercop. Se la roadmap verrà rispettata, «Progetto Solare» potrà ridefinire il ruolo energetico delle centrali di telecomunicazioni: da punti di consumo a nodi ibridi capaci di produrre e condividere energia rinnovabile a supporto di una rete sempre più critica per cittadini, imprese e servizi pubblici.
Che a Stellantis la recente revisione del piano Ue sul Full electric non fosse piaciuto era risaputo. Ma ieri l’ad del gruppo, Antonio Filosa, ha spinto le critiche un bel pezzetto più in là fino a parlare di marcia indietro sugli investimenti nelVecchio continente.
Il manager sulle pagine del Financial Times ha respinto l’idea che l’Ue stia offrendo una «via d’uscita» credibile rispetto all’addio ai motori termici a partire dal 2035: per il top manager il pacchetto «non è all’altezza» e, soprattutto, «mancano del tutto le misure urgenti necessarie per riportare il settore automotive europeo alla crescita». La spiegazione non è solo ideologica: è industriale e riguarda la capacità del quadro regolatorio di trasformarsi in investimenti sostenibili lungo tutta la filiera.
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.





