«Il cittadino potrà pensare che, se funziona così, la nostra giustizia è una pergamena marcita». Persa nella guerra tra le correnti, alle prese con presunti corvi, dossier e violazioni di legge, la magistratura ha smarrito una buona fetta di credibilità guadagnata negli ultimi anni. Di fronte alla «crisi epocale» delle toghe, Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto a Venezia, non ha dubbi: «La magistratura inquirente vada fino in fondo, dallo scandalo Palamara a quello più grave nato con la diffusione dei verbali di Piero Amara. Se non lo facesse, allora sì che toccheremmo il punto più basso della nostra storia».
Dottor Nordio, un italiano su due non ha più fiducia nel sistema giudiziario. Come si è arrivati a questo punto?
«Per via di una serie di ragioni: la lentezza dei processi, innanzitutto, poi la diffusione di notizie riservate, con una stampa che spesso fa la velina delle Procure, la vergogna delle intercettazioni che violano la nostra intimità. E infine il mercimonio delle cariche al Csm, con le liti tra magistrati come quelle recenti tra Piercamillo Davigo e compagnia. Mi sembra ce ne sia abbastanza».
Secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia, il diritto all'equo processo è stato violato 226 volte negli ultimi 20 anni; inoltre, più del 60% dei processi penali si risolve in un nulla di fatto, con l'archiviazione. Si spiega anche con questi numeri la crisi del sistema?
«Molte indagini nascono sulla base di ipotesi preconcette, non su notizie di reato che provengono dalla polizia giudiziaria».
Insomma, pregiudizi. Di che tipo?
«Di varia natura, compresi i pregiudizi di tipo politico. Per di più, molti Gup, invece di selezionare i rinvii a giudizio, limitandosi a quelli sostenuti da solide prove, mandano tutto in tribunale, intasando i ruoli con processi che non hanno alcuna probabilità di condanna».
Come giudica l'idea di una «pagella delle toghe»?
«Qui la “pagella" non servirebbe, perché mancherebbero parametri oggettivi di valutazione. Il rimedio è quello di procedere solo in seguito a una denuncia qualificata della polizia giudiziaria e non lasciare al pm l'iniziativa di indagare quando, come e chi vuole».
La pandemia aumenterà il numero dei procedimenti in arretrato, anche, se non soprattutto, quelli di natura civile: il sistema reggerà all'onda lunga dei fallimenti e dei licenziamenti?
«Reggerà solo con una radicale semplificazione delle procedure, una massiccia assunzione di collaboratori amministrativi del giudice e una definitiva sistemazione dei giudici onorari, che tengono in piedi una buona fetta di cause e sono trattati da precari sottopagati».
La riforma della giustizia, messa in cantiere dal ministro Marta Cartabia, è uno dei fronti più caldi nella maggioranza. Che ne pensa del pacchetto di proposte elaborato dalla commissione di giuristi che affianca il governo?
«Per la riforma del processo civile la strada è buona, non dovrebbe trovare ostacoli ideologici».
Sul fronte penale, invece?
«La riforma è troppo timida, non tocca i nodi del problema: i poteri del pm, la separazione delle carriere, l'obbligatorietà dell'azione penale, l'arbitrio nella scelta delle indagini, la disciplina delle intercettazioni, l'abuso della custodia cautelare. Insomma, il codice Vassalli va rifatto, perché è stato così snaturato che nessuno ci capisce più nulla, e lascia alle Procure un arbitrio intollerabile e pericoloso».
Crede che andrà in porto o resterà intrappolata nelle dispute parlamentari?
«Una riforma del genere credo sia impossibile: questa maggioranza parlamentare è ancora troppo contigua al settore più giustizialista dei magistrati. Mi accontenterei di un paio di provvedimenti utili a rilanciare la nostra economia, paralizzata dalla cosiddetta “amministrazione difensiva"».
A cosa si riferisce?
«Alla eliminazione di alcuni reati, come l'abuso d'ufficio, il traffico di influenze e la legge Severino».
Che cosa non va nella legge Severino?
«Innanzitutto confligge con la presunzione di innocenza, perché scatta dopo la condanna di primo grado, anche in presenza dell'impugnazione. Molte condanne vengono riformate, ma intanto il danno è stato fatto. Ciò intimidisce i pubblici amministratori e li spinge verso la cosiddetta “amministrazione difensiva", cioè non firmano più niente».
Cosa pensa della possibilità di restringere l'appellabilità delle sentenze, sia per i pm che per gli avvocati?
«L'appello contro una condanna è una conquista della civiltà giuridica che non può minimamente essere limitato. Al contrario, quello del pm contro l'assoluzione è in contrasto con il principio “al di là di ogni ragionevole dubbio". Come puoi condannare una persona sulla cui colpevolezza il giudice precedente ha già dubitato? Certo, se intervengono nuove prove si può fare, ma allora bisognerebbe rifare tutto il dibattimento e non un appello cartaceo, come avviene adesso, magari integrato da qualche parziale rinnovamento di istruttoria».
Un altro nodo è quello della prescrizione, su cui il Movimento 5 stelle promette battaglia. Come giudica l'impianto della riforma?
«È un compromesso che va nella direzione giusta, ma non risolve il problema. La prescrizione ubbidisce a due principi: il venir meno dell'interesse dello Stato a punire e il diritto dell'imputato a una ragionevole durata del processo. Per il primo è giusto stabilire un termine, correlato alla gravità del reato e all'entità della pena. Per il secondo si può stabilire che questo termine decorra non dalla commissione del reato, ma da quando l'imputato viene messo, per così dire, sulla graticola giudiziaria».
Che cosa intende?
«Alcuni reati, quelli flagranti, si scoprono subito, e i due termini coincidono. Ma altri si scoprono solo molto tempo dopo la loro commissione, perché presuppongono indagini accurate: per esempio, falsi in bilancio e frodi fiscali. In questi casi, quando si inizia l'azione penale metà del tempo della prescrizione se n'è già andato, e quindi è giusto rivedere i termini. Ma non certo sospendendoli dopo la sentenza di primo grado, come ha fatto Alfonso Bonafede, condannando l'imputato a un processo infinito».
Lei non crede nella riforma del Consiglio superiore della magistratura. Per quale motivo?
«La semplice riforma del sistema elettorale lascerà intatto il potere delle correnti, che hanno completamente screditato l'istituzione. Da 25 anni sostengo che l'unico rimedio contro questo mercimonio è il sorteggio, nell'ambito di un canestro composto da persone qualificate e preparate: magistrati di appello e Cassazione, docenti universitari di materie giuridiche, presidenti degli ordini forensi».
Il «Sistema», insomma, resterebbe in piedi? Come si è arrivati alla guerra per bande?
«Quando la politica ha cercato di mettere ordine nel “Sistema", la magistratura glielo ha impedito, in nome del principio della sua autonomia e indipendenza: parole che nascondevano autoreferenzialità e paura di perdere un immenso potere. Dalla stessa magistratura le voci dissidenti sono state poche, per timidezza, convenienza o semplice disinteresse».
Il vicepresidente del Csm, David Ermini, invita al «secco ripudio del carrierismo e dei metodi correntizi». Siamo fuori tempo massimo?
«Ermini arriva in ritardo. E poi, contesta dei criteri di cui lui stesso ha beneficiato».
Al correntismo si sono aggiunti i veleni del caso Amara.
«La storia orribile di Milano, con la divulgazione di verbali secretati, alti magistrati, componenti del Csm e di altre istituzioni che si smentiscono tra loro è di una gravità inaudita, peggio dello scandalo Palamara».
Addirittura peggiore?
«Ci sono state flagranti violazioni di legge da parte di magistrati, le cui versioni vengono smentite da altri magistrati, e addirittura dal presidente della commissione Antimafia».
Il presidente Mattarella avrebbe potuto assumere un ruolo diverso? Meno defilato?
«I poteri del presidente sono assai limitati. Credo abbia esercitato una giusta moral suasion, ma che non lo abbiano ascoltato».
«Dopo Mani pulite, la magistratura si è trovata a svolgere una funzione di supplenza alle incapacità della politica nel decidere sui grandi problemi del Paese», ha scritto Massimo Cacciari. Crede anche lei che alle toghe sia stato assegnato un compito eccessivo?
«Certamente. La colpa maggiore è della politica, che ha concesso questo potere: sicuramente per paura, ma anche per ingraziarsi gli attori del «Sistema», nella speranza di eliminare attraverso le indagini gli avversari che non si riusciva a battere nelle urne. Speriamo che ora la politica si riappropri del suo ruolo, l'unico a esser legittimato dal consenso popolare attraverso il voto».





