2019-01-16
L'Eni può aiutarci in Libia, ma ci vorrà un accordo politico con Russia e Arabia Saudita
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La sentenza della Corte costituzionale n. 199, con la quale i giudici hanno di fatto legittimato l’imposizione del green pass, apre in teoria le porte all’estensione degli obblighi di trattamento sanitario. Finora, almeno formalmente, la Costituzione imponeva infatti che questi fossero legittimi solo se, oltre al ricevente, avessero tutelato anche la salute degli altri, «riducendo la circolazione del patogeno». Gli obblighi in questione sarebbero d’ora in poi costituzionalmente legittimi, anche se ritenuti efficaci per «tutelare la salute del solo ricevente», e/o per «contenere il carico ospedaliero».
Molti vaccini sono oggi presentati da fabbricanti e istituzioni con tali requisiti. Anche gran parte dei farmaci in commercio vanta tali proprietà: d’ora in poi quindi qualche autorità potrebbe pensare di renderli obbligatori per legge. Per scongiurare questa pericolosa deriva occorre entrare nel merito su tutti e tre i fronti: effetti sulla salute dei singoli, sulla trasmissione comunitaria e sul carico ospedaliero. Gli argomenti per farlo non mancano: la divulgazione «scientifica» propone un grande uso di farmaci quando, in realtà, le ricerche scientifiche suggerirebbero approcci più prudenti o ben diversi. Vediamo alcuni esempi.
1Lo screening con Psa del cancro alla prostata. Il New England journal of medicine ha appena pubblicato i risultati finali della più grande e valida ricerca randomizzata controllata su oltre 160.000 maschi di sette Paesi europei, in media di 60 anni al reclutamento e 83 dopo 23 anni di follow up. I gruppi di controllo erano confrontati con gruppi sottoposti a screening ripetuti con misura del Psa, per la diagnosi precoce del cancro prostatico. Gli autori dichiarano una (modica) riduzione significativa del 13% delle morti da cancro prostatico, grazie ai risultati di due soli Paesi, Olanda e Svezia, pur in presenza, nei gruppi con Psa, di una generale sovradiagnosi di tumori che non si sarebbero manifestati nel corso della vita. Nella maggioranza degli altri Paesi, però, la mortalità da cancro prostatico in tendenza è persino aumentata (in Italia +6%). Peggio ancora, in Italia è anche aumentata la mortalità totale: 67 morti in più nei 7.500 soggetti con Psa. Dunque, in Italia lo screening ha comportato in media svantaggi su tutti i fronti: più diagnosi, trattamenti e complicanze (e verosimili carichi ospedalieri), più danni individuali, più morti e costi per la comunità. Le regioni che hanno avviato screening organizzati dovrebbero rimetterli in discussione, smettere di promuoverli e, quanto meno, far figurare i risultati delle migliori prove a oggi sui modelli di consenso informato di chi vuole iniziare un Psa di screening, cui spesso seguono cascate di ulteriori test, anche invasivi, costi e danni.
2Le vaccinazioni pediatriche obbligatorie. Il tema, reso tabù, richiederà molti approfondimenti scientifici in contraddittorio. Basti per ora ricordare che in vaccinologia sono abituali questi inganni: usare falsi placebo nei gruppi di controllo, garantendo ai vaccini un’errata percezione di sicurezza, mentire su «protezioni di gregge» che gran parte dei vaccini non assicurano affatto, dichiarare del tutto sicure vaccinazioni multiple simultanee mai studiate in modo corretto - che i vaccini siano «efficaci e sicuri» come classe, anziché valutarli in modo scientifico critico uno per uno, come si dovrebbe per ogni farmaco - che i profarmaci a base di mRna siano «vaccini», per sottrarli a controlli di legge riservati ai farmaci, basare gran parte delle valutazioni di efficacia e sicurezza su studi clinici affidati ai produttori, in gravi conflitti di interessi.
3Una ricerca scomoda. Tanti studi di confronto «vaccinati verso non vaccinati» erano stati respinti non per avere dati deboli, ma perché questi non erano graditi, sostenendo che non provenivano da istituzioni di alto livello o non apparivano sulle maggiori riviste mediche. Ciò ha spinto il regista Del Bigtree a rivolgersi al dottor Zervos, importante infettivologo Usa dello stimato centro medico Henry Ford Health. Bigtree chiese a Zervos, convinto fautore dei vaccini, di dimostrare che i no vax sbagliavano, attuando la maggior ricerca di confronto su 16.500 vaccinati e 2.000 non vaccinati seguiti fino a dieci anni, completata nel 2020. I risultati furono devastanti per i vaccinati contro le convinzioni di Zervos, che però scelse di non pubblicarli.
Nel 2022, Bigtree lo convinse a spiegare il perché, registrando con una telecamera nascosta. Zervos ammise apertamente: «Se pubblicassi una cosa simile, sarebbe la mia fine». Tale episodio reale, insieme ai risultati della ricerca, consegnata a Bigtree, compaiono nel film An inconvenient study, che mostra che i bambini vaccinati hanno avuto probabilità:
• 4,29 volte maggiore di soffrire d’asma;
• 3 volte maggiore di malattie atopiche (come l’eczema);
• quasi 6 volte maggiore di patologie autoimmuni, con oltre 80 diverse malattie;
• 5,5 volte più disturbi del neurosviluppo;
• 2,9 volte più disabilità motorie;
• 4,5 volte più disturbi del linguaggio;
• 3 volte più ritardi di sviluppo;
• 6 volte più infezioni acute/croniche dell’orecchio;
• In circa 2.000 bambini non vaccinati non si sono avuti disturbi d’attenzione/iperattività (Adhd), diabete, problemi comportamentali, difficoltà d’apprendimento, disabilità intellettive, tic o altri disturbi psicologici.
La ricerca ha concluso che, contrariamente alle aspettative, l’esposizione alle vaccinazioni si associava in modo indipendente a un aumento complessivo di 2,5 volte della probabilità di una condizione di salute cronica rispetto ai non vaccinati, che hanno avuto nei dieci anni studiati il 17% di probabilità di malattia cronica, contro il 57% nei vaccinati, con evidente aumento di danni individuali e carico ospedaliero.
Pur di non darla vinta a Donald Trump, quasi quasi fanno diventare la Nigeria un Paese sicuro. «Nessuna prova che i cristiani siano uccisi più dei musulmani», titolava ieri l’Ansa, citando le analisi dei «gruppi che monitorano la violenza» nel Paese centrafricano. «Ma i cattolici sono davvero nel mirino?», si domandava il Corriere, rispolverando un pezzo del 27 novembre che riprendeva l’agenzia Dire («I sequestri non sarebbero legati a ostilità di carattere religioso», si leggeva, semmai «aumentano le persone che aderiscono alle bande armate per ragioni economiche») e il Financial Times, secondo cui il governo di Nairobi «non riesce a proteggere nessuno, a prescindere dalla fede».
D’altronde, quando la Casa Bianca aveva minacciato la prima volta un intervento militare, era stato addirittura il consigliere della Segreteria di Stato vaticana, padre Giulio Albanese, a descrivere alla Stampa l’«equilibrio quasi perfetto tra cristiani e musulmani» in Nigeria, turbato dal tycoon allo scopo di «consolidare consenso in casa». E allora, come funziona davvero tale fulgido esempio di coesistenza tra confessioni diverse?
Un dato dice tutto: i cristiani rischiano 6 volte e mezzo di più dei musulmani di finire uccisi e cinque volte di più di essere rapiti. Lo si evince dai report dell’Osservatorio per la libertà religiosa in Africa (Orfa). Quelli della Fondazione Porte aperte sono altrettanto sconvolgenti: nel 2025, l’82% degli omicidi e dei rapimenti di fedeli di Gesù nel mondo è risultato concentrato in Nigeria. Nei primi sette mesi dell’anno, hanno perso la vita oltre 7.000 cristiani. È una tendenza ormai consolidata. Tra ottobre 2019 e settembre 2023 - sempre stando alle ricerche Orfa, illustrate anche dal portale Aciafrica - la violenza religiosa, nella nazione affacciata sul Golfo di Guinea, ha provocato la morte di 55.910 persone in 9.970 attentati. I cristiani ammazzati sono stati 16.769, i musulmani 6.235. Di 7.722 vittime civili non si conosceva la religione. Nello stesso periodo, i rapiti cristiani sono stati 21.621. La World watch list, per il 2024, ha contato 3.100 vittime cristiane, oltre a 2.380 sequestrati. La relazione di Aics-Aiuto alla Chiesa che soffre sottolineava che, lo scorso anno, la Nigeria era all’ottavo posto nella ignominiosa classifica del Global terrorism index. «Sebbene anche i musulmani siano vittime delle violenze», precisava il documento, «i cristiani rappresentano il bersaglio di gran lunga prevalente».
Ciò non significa che gli islamici se la spassino, oppure che i jihadisti non approfittino della povertà per attirare miliziani e conseguire obiettivi politici ed economici, tipo il controllo delle risorse naturali. Le sofferenze dei musulmani sono atroci. Per dire: la sera del 21 dicembre, 28 persone, tra cui donne e bambini, sono state catturate nello Stato di Plateau, nel centro del Paese, mentre si recavano a un raduno per la festività maomettana del Mawlid, in cui si onora la nascita del «profeta». Pochi giorni prima, le autorità avevano ottenuto il rilascio di 130 tra studenti e insegnanti di alcune scuole cattoliche.
Un mese fa, intervistato da Agensir, padre Tobias Chikezie Ihejirika, prete somasco nigeriano, di stanza nel Foggiano, era stato chiaro: «I responsabili di questi attacchi sono quasi sempre musulmani». E la classe dirigente, esattamente come lamentato da Trump, non ha profuso grandi sforzi per prevenire i massacri: alcuni criminali, riferiva padre Tobias, sono persino «figure protette all’interno del governo. […] Sarebbe di grande aiuto se le organizzazioni internazionali tracciassero il flusso di denaro destinato alla risoluzione dei conflitti e identificassero coloro che ci speculano su. Questi fondi dovrebbero essere impiegati per risolvere i problemi, non per alimentare la violenza». Solito quadretto dell’ipocrisia occidentale: noi ci laviamo la coscienza spedendo aiuti, il denaro finisce in mani sbagliate e gli innocenti continuano a morire. Bombardare è inutile? Ma anche le strade battute finora si sono rivelate vicoli ciechi.
Stando alle indagini più recenti del Pew research center (2020), il 56,1% della popolazione, specie nel Nord della Nigeria, è islamica, con una nettissima prevalenza di sunniti. I cristiani sono il 43,4%, in maggioranza protestanti (74% del totale dei fedeli, contro il 25% di cattolici e l’1% di altre Chiese, compresa la ortodossa).
L’elenco di omicidi e rapimenti è agghiacciante. E in occasione delle festività, la ferocia aumenta. A Pasqua 2025, in vari attentati, erano stati assassinati 170 cristiani. A giugno, 100 o addirittura 200 sfollati erano stati presi di mira da bande armate; molti di loro erano cristiani. Il Natale più sanguinoso, forse, è stato quello di due anni fa: 200 morti e 500 feriti in una scia di attacchi jihadisti. E poi ci sono i sequestri dei sacerdoti. Gli ultimi, tra novembre e dicembre 2025: padre Emmanuel Ezema, della diocesi di Zaria, nella parte nordoccidentale del Paese; e padre Bobbo Paschal, parroco della chiesa di Santo Stefano, nello Stato di Kaduna, Centro-Nord della Nigeria. Proprio il primo martire della Chiesa è stato invocato ieri dal Papa, affinché «sostenga le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza cristiana». Trump? Bene: chi ha idee migliori, che non siano restare a guardare?
Le minacce di Donald Trump alla Nigeria sono diventate realtà quando una serie di raid aerei hanno colpito il nord-ovest della grande nazione africana. Il tycoon americano ha definito quest’operazione come un potente e mortale attacco contro le forze dello Stato islamico in Nigeria, un’azione resasi necessaria per difendere le popolazioni cristiane perseguitate e uccise nelle regioni settentrionali. Questo raid è stata pianificata dal Pentagono per circa un mese, identificando alcune zone specifiche dove si troverebbero i centri di comando delle cellule dello Stato islamico in questa parte d’Africa.
Gli attacchi dell’aviazione statunitense sono stati concordati anche con il governo di Abuja, che ha subito confermato i bombardamenti contro i terroristi. Il presidente della Nigeria, Bola Tinubu, aveva cercato di minimizzare il problema, dopo le accuse di Donald Trump, ma la situazione sul campo resta critica per la minoranza cristiana che ancora non ha abbandonato gli Stati del nord come ha già fatto la maggioranza. Yusuf Maitama Tuggar è un diplomatico di lunga esperienza e da circa un anno e mezzo guida il ministero degli Esteri della Nigeria, dopo essere stato ambasciatore in Germania.
Ministro Tuggar, il governo nigeriano ha dichiarato di essere al corrente dell’attacco degli Stati Uniti.
«Il presidente Tinubu e tutto il suo gabinetto ministeriale, così come i vertici delle forze armate, erano stati preventivamente informati delle operazioni militari statunitense. Si tratta di attacchi chirurgici che hanno ucciso un numero ancora imprecisato di pericolosi terroristi. La Nigeria vuole collaborare con gli Stati Uniti, che è un grande alleato e che come noi vuole distruggere il terrorismo islamico. Gli Stati di Sokoto e Kebbi, al confine con Niger e Benin, vivono una situazione complicata per le continue infiltrazioni di gruppi islamisti provenienti dalle nazioni vicine. Non escludiamo che in futuro potremmo operare ancora insieme su obiettivi militari molto precisi e sempre nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale. Una cooperazione che comprende scambio di intelligence, coordinamento strategico e altre forme di supporto, tutto sempre nel rispetto del diritto internazionale e della sovranità nazionale».
Gli Stati Uniti accusano lo Stato islamico di voler sterminare i cristiani nigeriani e il vostro governo di non fare abbastanza per difenderli.
«Utilizzare il termine Stato islamico è una semplificazione, perché si tratta di una galassia molto complessa. Nella nostra nazione non c’è una presenza significativa dell’Isis in quell’area. Nel nord-ovest, abbiamo bande criminali, chiamate localmente banditi, e di recente è arrivato un gruppo chiamato Lakurawa. Si tratta di miliziani che hanno iniziato a riversarsi in Nigeria dal Sahel, ma negli ultimi 18 mesi-due anni si sono stabiliti negli Stati di Sokoto e Kebbi. I capi delle tribù locali hanno fatto un errore permettendo a questo gruppo di insediarsi nelle loro province per utilizzarli per difendersi dalla criminalità comune, ma la situazione è degenerata e adesso sono un pericolo per tutti. I Lakurawa sono un gruppo terroristico, ma smentiamo che siano ufficialmente parte della Provincia dello Stato Islamico del Sahel (Issp), l’ex Provincia dello Stato islamico del Grande Sahara (Isgs). Questo gruppo agisce soprattutto nelle zone occidentali vicino al lago Ciad e le nostre forze armate lo stanno costringendo a lasciare il nostro territorio. Voglio smentire ufficialmente che il governo nigeriano faccia poco per difendere i cristiani. Tutti i cittadini hanno uguali diritti e sono sotto la protezione dello Stato. Questi terroristi uccidono anche musulmani ed animisti, perché sono dei criminali».
Tutta l’Africa centrale e occidentale rischia di essere travolta dal terrorismo islamico e molte nazioni appaiono impotenti.
«La Nigeria ha istituito una serie di corpi speciali per la lotta all’estremismo islamico che agisce sul territorio. La settimana scorsa abbiamo liberato 30 studentesse rapite da una scuola, arrestando gli uomini che le avevano prese. Il governo federale e quello locale stanno anche portando avanti una serie di azioni di reintegro per tutti quelli che abbandonano i gruppi armati. Nel Sahel ci sono province in mano ai terroristi che vogliono occupare anche il nord della Nigeria. Per questo motivo collaboriamo con diversi stati confinanti in operazioni militari congiunte e siamo felici che gli Stati Uniti ci vogliono aiutare, ma sempre nel rispetto delle decisioni del governo di Abuja».
Il presidente francese Emmanuel Macron è «pienamente mobilitato» per ottenere il rilascio di Laurent Vinatier «il più rapidamente possibile», in quanto è detenuto ingiustamente e la «propaganda» contro di lui «non corrisponde alla realtà», fa sapere l’Eliseo. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov ha dichiarato ai giornalisti che la Russia ha fatto «un’offerta ai francesi» riguardo al politologo, arrestato a Mosca l’anno scorso e condannato per aver raccolto informazioni militari, e che «ora la palla è nel campo della Francia». Peskov si è rifiutato di fornire dettagli, citando la delicatezza della questione.
Vinatier, 49 anni, a giugno 2024 era stato arrestato dalle forze di sicurezza russe con l’accusa di spionaggio: non si era registrato come «agente straniero» mentre raccoglieva informazioni sulle «attività militari e tecnico-militari» della Russia, che avrebbero potuto essere utilizzate a scapito della sicurezza nazionale. All’epoca il francese, la cui moglie è di origine russa, era consulente dell’Ong svizzera Centro per il dialogo umanitario e aveva stabilito nell’ambito del suo lavoro contatti con politologi, economisti, funzionari ed esperti militari.
A ottobre 2024 era arrivata la condanna «amministrativa» a Vinatier, tre anni di reclusione per la mancata registrazione nell’elenco degli agenti stranieri. La difesa aveva chiesto una multa per l’errore che l’imputato ha riconosciuto di aver commesso «per ignoranza», mentre l’accusa chiedeva 3 anni e 3 mesi. Lo scorso 24 febbraio, questa condanna estremamente severa è stata confermata in appello sulla base della legislazione contro i presunti agenti stranieri.
Nell’agosto 2025, un fascicolo sul sito web del tribunale del distretto di Lefortovo a Mosca ha rivelato che un cittadino francese è accusato di spionaggio. Rischia fino a vent’anni di carcere ai sensi dell’articolo 276 del codice penale russo. «Il caso Vinatier ha ottenuto visibilità solo dopo che il giornalista di TF1 Jérôme Garraud, durante la conferenza stampa annuale del presidente russo Vladimir Putin il 19 dicembre, ha chiesto al capo dello Stato: “Sappiamo che in questo momento c’è molta tensione tra Russia e Francia, ma il nuovo anno si avvicina. La sua famiglia (di Laurent Vinatier, ndr) può sperare in uno scambio o nella grazia presidenziale?”. Il presidente russo ha risposto di non sapere nulla del caso ma ha promesso di indagare», sostiene TopWar.ru sito web russo di notizie e analisi militari. Putin ha aggiunto che «se esiste una possibilità di risolvere positivamente questa questione, se la legge russa lo consente, faremo ogni sforzo per riuscirci».
Il politologo è attualmente detenuto nella prigione di Lefortovo, penitenziario di massima sicurezza. Prima era «in un altro carcere a Mosca e poi per un mese a Donskoy nella regione di Tula, a Sud della capitale», ha riferito la figlia Camille alla rivista Altraeconomia spiegando che il padre «si occupa di diplomazia “secondaria”, ha studiato la geopolitica post-sovietica e negli ultimi anni si è occupato della guerra tra Russia e Ucraina» e che il secondo processo, dopo quello relativo a questioni amministrative è per accuse di spionaggio. Sarebbe vittima delle tensioni tra Mosca e Parigi a causa della guerra in Ucraina.
«Questo arresto e le accuse sono davvero mosse da una scelta politica e avvengono in un contesto specifico di crescenti tensioni tra Francia e Russia […] la chiave di tutto questo sta nella politica, non nella legge», concludeva la figlia, confermando l’ipotesi di uno scambio di prigionieri come possibile chiave di svolta della vicenda Vinatier.
L’avvocato della famiglia, Frederic Belot, ha affermato che sperano nel rilascio entro il Natale ortodosso del 7 gennaio. Uno scambio di prigionieri è possibile, ma vuole essere «estremamente prudente».

