Ursula von der Leyen (Ansa)
Da domani scatta il Cbam: chi importa cemento, ferro, energia, alluminio e acciaio dovrà pagare la carbon tax I trattori bloccano mezza Europa contro il trattato di libero scambio col Sudamerica con tanto di benedizione.
Non c’è pace tra gli ulivi in Grecia, nelle stalle del Belgio e della Francia dove addirittura la polizia spiana i fucili per fermare gli agricoltori mentre il Vescovo di Cambrai che dice Messa su un altare di balle di paglia benedice i trattori della protesta. Tornano a farsi sentire i contadini dei paesi ai confini con l’Ucraina; già provati dal dumping generato dai prodotti che arrivano da oltreconfine senza alcuna compensazione temono come la peste un frettoloso ingresso di Kiev nell’Ue.
L’Europa è lontanissima da questi milioni di cittadini che sudano la terra e vedono l’accordo col Mercosur come una minaccia alla loro sopravvivenza, ma è anche ostile alle imprese. Nessuno se lo ricorda, ma da domani 1 gennaio l’Ue fa scattare dazi pesantissimi: i Cbam. Non contenta di aver distrutto il comparto dell’auto la presidente della Commissione va avanti con il Green deal e da domani chi importa cemento, ferro, elettricità, alluminio, acciaio e idrogeno dovrà pagare una carbon tax. Bruxelles riesce nel capolavoro di aver distrutto con il Green deal la manifattura europea e sempre in nome dell’ambientalismo di impedire alle aziende sopravvissute di rifornirsi all’estero. Il caso dell’acciaio è emblematico: l’Europa è ridotta a non più dell’8% della produzione mondiale, ma chiunque debba costruire con quel materiale da domani paga dazio.
Questo vale per moltissimi settori. Una stima prudenziale dice che i pannelli solari potrebbero rincarare del 10%, il cemento del 15%, lo stesso l’acciaio, l’allumino fino al 25% con un’impennata inflattiva. Il che spiega perché Isabel Schnabel e la presidente Christine Lagarde dalla Bce abbiano messo le mani avanti per un aumento dei tassi. Ursula von der Leyen si è scagliata contro Donald Trump per i dazi americani, ma oggi sta facendo di peggio. È cominciata una guerra doganale con la Cina - partita con i dazi sui pacchi postali al di sotto dei 150 euro gravati da una tariffa fissa di 3 euro - a tutto danno di nuovo degli agricoltori. Per difendere l’industria del legno fiaccata da leggi europee come la riforestazione la Von der Leyen ha varato nuove tariffe sull’importazione di pavimenti in legno: 21,3%-36,1% sul parquet, fino al 62,4% o più su compensato.
La risposta di Pechino è immediata: dazi provvisori tra il 21,9% e il 42,7% sui latticini europei che fanno seguito ai dazi al 19,8% sulla carne di maiale e al 41% sul vino. Come non bastasse nella lista dei Cbam, i dazi ecologici, ci sono anche i fertilizzanti. Quelli russi e bielorussi sono già colpiti con una tariffa di «guerra» del 6,5%, quelli che arrivano da altri paesi pagheranno fino a 430 euro a tonnellata, ma quelli ucraini potrebbero entrare «gratis». Ancora una volta un aggravio di costo a danno degli agricoltori che ormai avvertono Bruxelles come un nemico.
Ne sanno qualcosa i nostri olivicoltori che con i Cbam avranno ulteriori spese per i concimi, ne sanno tantissimo i produttori d’olio della Grecia. A Creta ci sono stati scontri tra i manifestanti e la polizia, da un mese gli agricoltori di Chania, Messenia, Laconia bloccano le strade. Protestano per i prezzi troppo bassi e contro il Mercosur; negli ultimi giorni a loro si sono uniti allevatori, apicoltori e pescatori che con colonne di trattori hanno bloccato strade e autostrade. Ce l’hanno col governo di Atene per lo scandalo sui contributi agricoli, ma ce l’hanno soprattutto con l’Europa.
La Spagna che ha devastato il mercato con le coltivazioni iperintensive ora in crisi sta vendendo l’olio a 5 euro al litro, le importazioni dai paesi non Ue facilitate dalla Commissione sono esplose e l’extravergine greco si vende sotto i 4 euro.
In Francia lo scenario è lo stesso. Da mesi gli allevatori dell’Occitania, in unità con quelli spagnoli dell’Aragona e della Catalogna, bloccano le strade. Il valico di Biriatou tra Francia e Spagna non è praticabile e il governo di Madrid ha sospeso la circolazione. Anche in Francia le ragioni della protesta sono duplici. Ce l’hanno con Parigi perché gli interventi per fermare l’epidemia di dermatite nodulare che ha attaccato le stalle sono giudicati errati e tardivi, ma ce l’hanno con l’Ue per i tagli della Pac e l’accordo del Mercosur. Il comparto zootecnico è quello di gran lunga più svantaggiato dall’intesa commerciale - per ora sospesa - con Brasile e associati.
La lotta dei trattori in Francia va da Nord a Sud. A Cambrai l’arcivescovo Vincent Dollmann e diversi sacerdoti hanno celebrato la messa su un altare di paglia in sostegno agli agricoltori in difficoltà. Il prelato ha elogiato la «dignità» dei contadini che da diverse settimane manifestano contro l’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Mercosur e l’abbattimento sistematico delle mandrie di bovini colpite dalla Lsd. Nel Pas-de-Calais, alcune decine di agricoltori vogliono bloccare il principale centro logistico dei supermercati Leclerc vicino ad Arras in risposta alle dichiarazioni di Michel-Édouard Leclerc che chiedeva «Mercosur subito». In Occitania ad Auch, regione del Sud fortemente agricola capitale dell’Armagnac, si è sfiorato il dramma: tre poliziotti hanno spinato le armi contro un agricoltore che protestava. L’Occitania è paralizzata e altre zone della Francia sono tenute sotto scacco dai trattori: a Carbonne (Alta Garonna) sulla A64, a Sévérac (Aveyron) e Le Buisson (Lozère) sulla A75 ci sono blocchi stradali.
Gli agricoltori polacchi hanno organizzato blocchi su strade nazionali, superstrade e autostrade in tutto il Paese per protestare contro la imminente firma dell’accordo commerciale tra l’Unione europea e il blocco di nazioni sudamericane Mercosur. Gli agricoltori in Polonia e di altre parti d'Europa temono che un afflusso di prodotti agricoli sudamericani più economici inondi i mercati europei, faccia scendere i prezzi e spinga potenzialmente le aziende agricole più piccole e meno competitive al fallimento. Le nazioni altamente industrializzate d’Europa, come la Germania, sono ottimiste sul fatto che l'accordo di libero scambio faciliterà l'accesso ai mercati sudamericani per i loro prodotti industriali.
Contro l’Ue ci sono proteste anche in Belgio. L’aeroporto di Liegi è «presidiato» dai trattori mobilitati dopo l’imponente manifestazione del 18 dicembre quando per impedire la firma del Mercosur i palazzi dell’Ue a Bruxelles sono stati accerchiati da 10.000 agricoltori e oltre 1.000 mezzi agricoli arrivati da tutta Europa. Forse è stato solo l’inizio.
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Sullo sfondo lo stabilimento Ilva, nel riquadro Michael Flacks (Ansa)
Michael Flacks annuncia su Linkedin la volontà di rilevare il polo siderurgico tenendo lo Stato al 40%. Si parla di investimenti per 5 miliardi e garanzie per 8500 lavoratori. La Procura di Taranto però tiene ancora spento l’altoforno 1, bloccato da inizio maggio.
Michael Flacks annuncia l’accordo, ma l’accordo non c’è. Almeno non ancora. Il miliardario americano, a capo del fondo Flacks Group con sede a Miami, ha scritto ieri su LinkedIn di aver «raggiunto un accordo con il governo italiano per acquisire Ilva Steel, il più grande stabilimento siderurgico integrato d’Europa». In realtà nessun contratto è stato firmato. Semplicemente i comitati di sorveglianza di Ilva in amministrazione straordinaria (proprietaria degli impianti) e di Acciaierie d’Italia (gestore) hanno autorizzato l’avvio di una trattativa in esclusiva per la cessione dell’intero gruppo con il fondo americano di Flacks. La sua offerta è stata giudicata la migliore, superando quella dell’altro fondo statunitense in corsa per l’acquisizione integrale, Bedrock.
Il via libera dei comitati di sorveglianza comunque pesa, perché in quegli organismi siedono anche i rappresentanti dei creditori. Ma si tratta solo di uno step. Ora la palla passa ai commissari straordinari, che – una volta incassato il placet del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso – dovranno negoziare nel dettaglio con il fondo di Miami contenuti e condizioni dell’offerta ovvero investimenti, occupazione, piano industriale e impegni ambientali. L’obiettivo del governo è arrivare alla firma del contratto nella prima parte del 2026. Serviranno anche altri passaggi chiave: dall’ok dell’Antitrust europeo all’eventuale esercizio del Golden Power, se Palazzo Chigi riterrà strategica la produzione dell’acciaio. E soprattutto incombe la partita sindacale, che si annuncia complessa. Flacks parla di 8.500 occupati, ma Acciaierie d’Italia conta oggi poco meno di 10mila addetti, a cui si aggiungono circa 1.600 lavoratori Ilva in amministrazione straordinaria da anni in attesa di ricollocazione.
I sindacati sono divisi. La Fim Cisl invita a concentrarsi sui piani e non sui nomi. Uilm e Fiom esprimono invece forti perplessità. Rocco Palombella (Uilm) chiede un incontro urgente a Palazzo Chigi con la presidente Meloni per conoscere nel dettaglio l’offerta e avverte: «Non tollereremo pacchi preconfezionati». Per la Fiom Cgil, con Loris Scarpa, è «inaccettabile trattare con fondi speculativi alle spalle dei lavoratori» e torna la richiesta di una società a maggioranza pubblica.
Gli ostacoli tuttavia non sono finiti. Bisogna contare anche il ruolo della magistratura. Proprio nelle ore decisive per l’avvio della trattativa in esclusiva, la Procura di Taranto ha respinto per la seconda volta la richiesta di dissequestro dell’altoforno 1, fermo dopo l’incendio del 7 maggio scorso a una tubiera. L’impianto è sotto sequestro senza facoltà d’uso e l’area siderurgica marcia da mesi con un solo altoforno operativo, il numero 4. Acciaierie d’Italia farà ricorso al gip contro il provvedimento firmato dal pm Mariano Buccoliero e vistato dalla procuratrice capo Eugenia Pontassuglia. Secondo l’azienda, il protrarsi del sequestro non sarebbe compatibile con i principi del sequestro probatorio e con la giurisprudenza della Cassazione. La Procura, invece, ritiene necessari ulteriori accertamenti, nonostante l’attività di indagine – con consulenti nominati – si sia chiusa a fine ottobre. Il mancato dissequestro continua a depotenziare la capacità produttiva e a incidere sui piani industriali, come più volte sottolineato dal ministro Urso.
Intanto Flacks, nel suo post, promette fino a 5 miliardi di euro di investimenti per modernizzazione, elettrificazione e decarbonizzazione, con il governo italiano indicato come partner strategico al 40% e un’opzione per il fondo di salire ulteriormente nel capitale. Chissà...
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Ansa
Meloni: 153 miliardi dall’Ue, Italia capofila. Ok finale della Camera alla legge di bilancio.
Con 216 sì e 126 voti contrari la Camera ha approvato in via definitiva la legge di Bilancio. Una manovra da 22,5 miliardi, «costruita in un contesto complesso, che concentra le limitate risorse a disposizione su alcune priorità fondamentali: famiglie, lavoro, imprese e sanità» ha commentato la premier Giorgia Meloni sottolineando che il governo prosegue «nel percorso di riduzione dell’Irpef per il ceto medio, nel sostegno alla natalità e al lavoro, nel rafforzamento della sanità pubblica e nel supporto alle imprese».
Interventi resi possibili soprattutto il taglio delle aliquote dell’Irpef, grazie al prelievo su banche e assicurazioni. Per le banche, infatti, è stato aumentato del 2% l’Irap, con un gettito di circa 1,3 miliardi di euro. Inoltre, è stata ulteriormente ridotta la deducibilità sulle perdite pregresse: le percentuali scendono dal 43% al 35% per il 2026 e dal 54% al 42% per il 2027. In questo caso, le risorse garantite sono circa 600 milioni di euro in due anni. Irap più pesante anche per le assicurazioni, per le quali, in aggiunta, è stata innalzata al 12,5% l’aliquota sulla polizza Rc auto per gli infortuni al conducente. Alle compagnie sono richiesti 1,3 miliardi attraverso il versamento di un acconto pari all’85% del contributo sul premio delle assicurazioni dei veicoli e dei natanti, dovuto per l’anno precedente al gettito dalla manovra è tutto qui. Altre risorse, circa mezzo miliardo, arrivano dall’aumento delle accise sui carburanti, mentre 213 dal rincaro dei tabacchi.
Il pilastro della manovra è rappresentato dal taglio della seconda aliquota dell’Irpef per i redditi fino a 50.000 euro, dal 35 al 33%. Tra le altre voci la tassazione agevolata al 5% sugli incrementi contrattuali (per i redditi fino a 33.000 euro e per i contratti rinnovati dal 2024 al 2026). Sui premi di risultato e forme di partecipazione agli utili d’impresa, fino a 5.000 euro, l’imposta sostitutiva scende all’1%. Sale da 8 a 10 euro la soglia esentasse dei buoni pasto.
A sostegno delle imprese ci sono l’estensione fino al 30 settembre 2028 dell’iperammortamento, le risorse per il credito d’imposta Transizione 5.0 (1,3 miliardi) e Zes (532,64 milioni). L’altro destinatario delle risorse è la famiglia, alla quale sono state destinati 1,5 miliardi di euro. La manovra promette agevolazioni per il calcolo dell’Isee. Le paritarie potranno anche essere esentate dall’Imu. A neodiplomati la nuova Carta Valore Cultura per l’acquisto di materiali e prodotti culturali.
Tra i temi più dibattuti ci sono la rottamazione quinquies e gli affitti brevi. I debiti maturati dall’1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2023 potranno essere estinti attraverso una rateizzazione su 9 anni con 54 rate bimestrali, con un interesse al 3%. Per le locazioni turistiche, resta la cedolare al 21% per il primo immobile, mentre sale al 26% sul secondo e dal terzo scatta l’attività di impresa.
Alcuni dei nodi sono rimasti sospesi e saranno al centro del dibattito politico nei prossimi mesi. Resta un capitolo aperto, quello delle pensioni con la richiesta della Lega di sterilizzare l’innalzamento dell’età pensionabile che scatta dal 2027. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha detto che «si vedrà nel 2026» e ha ricordato che l’aumento di un mese nel 2027 e di due mesi nel 2028 dell’età pensionabile, laddove ci sarebbe stato un innalzamento automatico di tre mesi dal 2027, ha richiesto come «copertura oltre un miliardo». La legge di Bilancio, inoltre, fa saltare la possibilità di andare in pensione di vecchiaia anticipatamente cumulando la rendita della previdenza complementare. Altro cantiere aperto sempre da parte della Lega per il dopo manovra, è il ritorno alla flat tax incrementale e a quella per i giovani under 30 e under 35. Forza Italia invece punta a irrobustire il sostegno ai ceti medi e ad allargare la base dell’Irpef almeno a 60.000.
Nel 2026 il governo potrà valersi dell’ottava rata del Pnrr, pari a 12,8 miliardi di euro, inviata dalla Commissione europea a seguito della valutazione positiva sul raggiungimento di 32 obiettivi. Inoltre, è stata inoltrata anche la richiesta di pagamento della nona e penultima rata, anch’essa pari a 12,8 miliardi di euro. «L’Italia si conferma capofila in Europa nell’attuazione del Pnrr, sia per numero di obiettivi raggiunti sia per importo ricevuto, che con l’ottava rata sale a 153,2 miliardi di euro, pari al 79% della dotazione totale, a fronte della media europea del 60%», ha affermato il premier Meloni.
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L'imam della comunità islamica di Torino, Mohamed Shanin (Ansa)
- Nuova sberla dei giudici al governo. Shahin, che elogiava le stragi del 7 ottobre, resterà in Italia malgrado il decreto di espulsione del Viminale. La Corte di Caltanissetta si appella alla richiesta d’asilo del predicatore, coinvolto nello scandalo dei fondi ad Hamas.
- Mohammad Hannoun rilascia solo dichiarazioni spontanee. Sandro Gozi: Schlein chiarisca i suoi legami.
Lo speciale contiene due articoli.
La decisione della Corte d’appello di Caltanissetta rappresenta un nuovo stop per il governo sul terreno della sicurezza e dell’immigrazione. I giudici hanno infatti confermato che l’imam torinese Mohamed Shahin, in quanto richiedente asilo, può restare sul territorio italiano in attesa che la sua domanda di protezione internazionale venga esaminata. Una pronuncia che non cancella formalmente il decreto di espulsione firmato dal ministero dell’Interno, ma che ne sospende l’efficacia, impedendone l’esecuzione fino alla conclusione della procedura. Si tratta di una conferma di quanto già stabilito in primo grado dal tribunale di Caltanissetta, contro cui l’Avvocatura dello Stato aveva presentato ricorso. Anche in appello, tuttavia, la linea dell’esecutivo si è scontrata con la valutazione dei giudici, che hanno ritenuto legittima la permanenza di Shahin in Italia in virtù della richiesta di asilo presentata dopo l’arresto. Un esito che, sul piano politico, viene letto come l’ennesimo schiaffo al Viminale, impegnato da mesi a difendere un provvedimento adottato esclusivamente per ragioni di sicurezza nazionale.
La vicenda affonda le sue radici nello scorso novembre, quando il ministero dell’Interno aveva emesso un decreto di espulsione nei confronti dell’imam, motivandolo con la presenza di elementi ritenuti indicativi di una radicalizzazione ideologica. Al centro del dossier vi erano anche alcune dichiarazioni sulla strage compiuta dai miliziani di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023, considerate dalle autorità incompatibili con la permanenza sul territorio nazionale. In seguito al decreto, Mohamed Shahin era stato trasferito nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta, in attesa dell’esecuzione dell’espulsione. Ma già in quella fase era arrivato un primo, significativo stop per il governo: la Corte d’appello di Torino aveva infatti disposto la sua liberazione, ritenendo che non sussistessero i presupposti giuridici per il trattenimento nel Cpr. Una decisione che aveva di fatto indebolito l’impianto del provvedimento ministeriale, pur senza metterlo formalmente in discussione.
Ora, con la pronuncia della Corte d’appello di Caltanissetta, l’azione dell’esecutivo subisce un ulteriore rallentamento. I giudici non entrano nel merito del decreto di espulsione, ma ribadiscono che la presentazione di una domanda di protezione internazionale produce effetti sospensivi, imponendo allo Stato di attendere l’esito della procedura prima di procedere con l’allontanamento. Una distinzione tecnica, ma politicamente pesante, perché di fatto congela l’iniziativa del governo. Sul piano amministrativo resta aperto un altro fronte cruciale: quello relativo alla revoca del permesso di soggiorno di Shahin. Su questo aspetto dovrà pronunciarsi il Tar del Lazio nel mese di gennaio. Anche in questo caso, però, i tempi della giustizia amministrativa si sovrappongono alle esigenze di sicurezza rivendicate dal Viminale, alimentando la frizione tra poteri dello Stato.
A complicare ulteriormente il quadro è l’emersione del nome di Mohamed Shahin negli atti dell’Operazione Domino, l’inchiesta che ha portato alla scoperta di una presunta rete di raccolta e trasferimento di fondi destinati a Hamas. Nell’ordinanza firmata dal gip Silvia Carpantini viene ricostruita l’attività della cosiddetta cellula di Mohammed Hannoun, attiva anche in Italia. Tra i contatti citati compare più volte - pur senza risultare indagato - proprio l’imam di Torino. Il suo nome emerge in diverse conversazioni intercettate, talvolta con errori di battitura, ma comunque riconducibili a Shahin. Dagli atti risulta che l’imam intrattenesse rapporti diretti con uno degli arrestati, l’uomo accusato di raccogliere fondi a Torino per destinarli a Gaza. Un elemento che rafforza, sul piano politico, la convinzione dell’esecutivo di trovarsi di fronte a un profilo altamente problematico, anche in assenza di contestazioni penali formali. Non sorprende, quindi, la dura reazione di Fratelli d’Italia. La deputata Augusta Montaruli, che da tempo segue il caso, parla apertamente di una distorsione del sistema. «È incredibile - ha dichiarato - che dopo anni di permanenza in Italia emerga una richiesta di protezione internazionale solo a seguito di un decreto di espulsione. Ma ancora più incredibile è che questo strumento diventi un modo per bloccare l’allontanamento, a fronte di elementi che, al di là delle eventuali responsabilità penali, si aggiungono ad altri che già motivavano un’espulsione preventiva per ragioni di sicurezza nazionale». Il caso di Mohammed Shahin si conferma così come uno dei dossier più sensibili per il governo sul fronte dell’immigrazione e della prevenzione. Non un annullamento formale delle decisioni del Viminale, ma una serie di incredibili stop giudiziari che ne paralizzano l’efficacia, alimentando lo scontro politico e lasciando aperta una partita che, tra tribunali ordinari, giustizia amministrativa e procedure di asilo, è tutt’altro che chiusa e che mette a repentaglio la sicurezza nazionale.
Hannoun non risponde alle domande. A sinistra presentano il conto a Elly
La notte di Mohammad Hannoun nel carcere di Marassi ha già una scadenza. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha deciso che il carcere genovese non è il posto giusto per un uomo accusato di terrorismo. E così, a breve, l’architetto palestinese di 63 anni, indicato dagli inquirenti come figura apicale della cellula italiana di Hamas, verrà trasferito. A Ferrara o ad Alessandria, entrambe strutture dotate di sezioni ad «alta sorveglianza», quelle riservate ai detenuti accusati di terrorismo o eversione. Sezioni speciali. Sorveglianza rafforzata. Isolamento più rigido. «Si tratta di una decisione amministrativa che non dipende né dalla giudice né dalla Procura», spiegano i suoi difensori, Fabio Sommovigo ed Emanuele Tambuscio. Hannoun, dal momento dell’arresto, è stato posto in isolamento. Sabato le manette, poi Marassi. E ieri mattina alle 9 in punto l’interrogatorio di garanzia davanti al gip che l’ha privato della libertà: Silvia Carpanini. E la scelta dell’indagato è stata netta. Hannoun si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Gli abbiamo consigliato noi di avvalersi», spiegano ancora i legali, «perché non ha avuto modo ancora di leggere gli atti». Ma non è stato un muro totale. Perché Hannoun, pur senza rispondere alle domande, ha rilasciato dichiarazioni spontanee. Ha parlato per circa mezz’ora. Ha rivendicato la sua storia, la sua attività di raccolta fondi «per iniziative precise di beneficenza a favore del popolo palestinese in tutte le sedi, cioè Gaza, la Cisgiordania e i campi profughi, attività che ha cominciato a svolgere negli anni Novanta». Hannoun ha confermato la finalità umanitaria del suo agire e ha provato a smontare la pietra angolare dell’accusa: ha negato con forza di avere finanziato direttamente o indirettamente Hamas. Poi ha spiegato come funzionava la raccolta fondi e la loro distribuzione prima e dopo il 7 ottobre 2023. Da una parte l’accusa, che parla di oltre 7 milioni di euro transitati attraverso associazioni benefiche fondate e guidate da Hannoun, soldi che secondo gli investigatori avrebbero alimentato Hamas. Dall’altra la versione dell’indagato, che insiste su un’attività di beneficenza cominciata 30 anni fa, su canali, modalità e contesti che, a suo dire, nulla avrebbero a che fare con il finanziamento del terrorismo. I suoi avvocati valutano i prossimi passi, ovvero «se presentare una qualche istanza di attenuazione della misura o se proporre ricorso al tribunale del Riesame». Sulla vicenda piove da sinistra una bomba su Pd. A lanciarla è l’ex dem Sandro Gozi, eurodeputato dei centristi di Renew Europe (ma è stato eletto con il partito di Emmanuel Macron) e segretario generale del Partito democratico europeo, in relazione alle manifestazioni pro Pal: «La sinistra deve fare i conti con una realtà scomoda. C’è imbarazzo, legato a una sottovalutazione e a un’ingenuità, da parte dei propri leader. Questo mix deve essere subito superato da Elly Schlein, altrimenti non puoi guidare il Pd». La ramanzina di Gozi prosegue: «Parliamo di posizioni politiche molto nette, come quelle di chi ha definito Hamas un movimento di resistenza o che ha detto che si possono uccidere tranquillamente gli ebrei, che non potevano essere mescolate con l’entusiasmo di tanti giovani e non che, in buona fede, hanno partecipato alle iniziative pro Pal. Movimenti interi sono stati strumentalizzati». L’eurodeputato ha poi criticato duramente anche il comportamento di alcuni amministratori locali dem: «Quei sindaci, che sono andati a quelle manifestazioni, sono stati davvero degli sprovveduti a dare, poi la cittadinanza onoraria a un personaggio come la Albanese». Il riferimento è a Francesca Albanese, la giurista relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. «Anche Bonelli (Angelo, portavoce di Alleanza dei Verdi e Sinistra, ndr), dopo le ultime rivelazioni, ha dovuto scaricarla».
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