In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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Da gennaio in vigore il dazio sulle importazioni europee di materiali ad alta emissione di CO2 come alluminio e acciaio. Cortocircuito Bruxelles: parte dei proventi per rimborsare le aziende colpite, a patto che dimostrino sensibilità all’ambiente.
Il regolatore di Bruxelles non dorme mai. Poche ore dopo la finta retromarcia sul divieto di nuovi motori a scoppio al 2035, la Commissione europea ha annunciato ieri una revisione del suo Carbon border adjustment mechanism (Cbam), il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, il primo dazio sul carbonio al mondo.
L’obiettivo dichiarato è «rafforzare l’efficacia» della politica climatica, che già tante soddisfazioni ha dato a tutta l’Europa, ma la realtà è che il tutto si traduca in un aumento di burocrazia e costi.
Il Cbam, ora in fase preparatoria e destinato a imporre costi effettivi da gennaio 2026, era focalizzato sui materiali di base come acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti. La grande novità di ieri è l’estensione dell’ambito di applicazione a 180 prodotti a valle, ovvero beni finiti che utilizzano tali materiali in modo intensivo (soprattutto acciaio e alluminio). Tra questi non vi sono solo macchinari pesanti e componenti industriali (il 94% dei beni interessati), ma anche una piccola e significativa quota di elettrodomestici e beni per la casa. Significa che frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie importati, se non realizzati secondo i rigidi standard green dell’Ue, saranno soggetti a questa nuova maxi-tassa.
«La revisione del Cbam rispecchia in gran parte le nostre indicazioni, sia per quanto riguarda la tutela dei prodotti a valle, come elettrodomestici e macchinari, che per la lotta ai fenomeni di aggiramento e di elusione», ha detto, soddisfatto, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
Nel paradosso dell’impianto normativo che va sotto il nome di Cbam, l’intenzione di questo allargamento è di evitare che beni dell’Ue siano sostituiti da importazioni ad alta emissione di carbonio, svantaggiando doppiamente le povere aziende europee. Ma il risultato è un costo in più, tanto che ieri, magicamente, è comparso un fondo temporaneo di decarbonizzazione.
I produttori dell’Ue, infatti, devono pagare per le loro emissioni (tramite Ets), e quando esportano i loro beni in Paesi terzi quei costi di carbonio non vengono rimborsati. Il risultato è che i prodotti europei sono più costosi e rischiano di essere sostituiti da alternative più economiche e ad alta intensità di emissioni prodotte altrove.
La Commissione ha dunque istituito un fondo, finanziato per il 25% con i proventi della tassa Cbam (ovvero i soldi pagati dagli importatori e dai consumatori). Questo fondo temporaneo (attivo per il 2026 e il 2027) rimborserà una parte dei costi Ets sostenuti dai produttori europei, ma solo a condizione che dimostrino «sforzi di decarbonizzazione», qualunque cosa significhi. Insomma, il sistema Ets e il Cbam distruggono la competitività delle aziende europee sui mercati internazionali.
In pratica, Bruxelles prima impone una tassa (Ets), poi impone un dazio (Cbam) e infine utilizza i proventi del dazio per rimborsare parzialmente la prima tassa, ma solo se le aziende si allineano agli obiettivi ideologici del Green deal.
È un complesso sistema di riciclo burocratico del denaro che rende esplicita la insostenibilità economica di questa lotta senza quartiere alla CO2.
Intanto la Commissione ha rilasciato i Provisional CBAM benchmarks e default factors, con i quali si può calcolare il costo totale del Cbam per gli importatori di ferro, acciaio, alluminio, fertilizzanti e cemento. Già dal 2026 il costo aggiuntivo potrebbe superare la cifra di 12 miliardi di euro.
Il Cbam era già stato modificato due volte, con una semplificazione degli adempimenti e l’innalzamento della soglia. Ma ancora non ci siamo, stando alle reazioni dei diretti interessati. «Le soluzioni proposte sono insufficienti e non riescono ad affrontare le principali debolezze», ha affermato Axel Eggert, direttore generale di Eurofer. «Non forniscono ancora il livello di protezione contro la dispersione di carbonio e la rilocalizzazione dei posti di lavoro di cui l’acciaio europeo ha urgente bisogno».
Il presidente di Confindustria ceramica, Augusto Ciarrocchi, che ieri parlava a Sassuolo, si è espresso in maniera pesante contro il sistema Ets che sta sobbarcando di costi il settore, chiedendo di «inserire la ceramica nel Cbam, ma riformandolo per garantire protezione dal carbon leakage, il rimborso agli esportatori e per rinviare la riduzione delle quote gratuite Ets, finché non ci saranno alternative tecnologiche».
Il tema è che dal 2026 cominceranno a calare le assegnazioni di quote gratuite di emissione (-2,5% nel 2026 fino alla loro scomparsa nel 2034) e dunque i settori industriali soggetti all’Ets subiranno un aumento dei costi, anche perché nel frattempo le quote costeranno sempre di più perché ne saranno messe in circolo sempre meno. Il sistema è fatto così, poiché intende scoraggiare l’uso di gas e carbone tassandoli massicciamente.
Il protezionismo climatico inventato dagli ingegneri sociali di Bruxelles assomiglia sempre di più ad un castello di carte. Si attende il primo soffio di vento.
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Ecco #DimmiLaVerità del 18 dicembre 2025. Con il nostro Stefano Piazza facciamo il punto sul terrorismo islamico dopo la strage in Australia.
A Bruxelles c’è nervosismo: l’Italia ha smesso di dire sempre sì. Su Ucraina, fondi russi e accordo Mercosur, Roma alza la voce e rimette al centro interessi nazionali, imprese e agricoltori. Mentre l’UE spinge, l’Italia frena e negozia. Risultato? L’Italia è tornata a contare. E in Europa se ne sono accorti.






