Lorenzo Mariani (Ansa)
L’ad di Mbda Italia Lorenzo Mariani: «Investire nella difesa porta sicurezza ma anche benessere, i nostri fornitori sono all’80% pmi tricolori. In cinque anni abbiamo raddoppiato i dipendenti».
Lorenzo Mariani è l’amministratore delegato di Mbda Italia, con sede principale a Roma, impegnata nella progettazione e realizzazione di sistemi missilistici con applicazioni terresti, aeree e navali. L’azienda è parte integrante della joint venture europea Mbda. Il numero di addetti, raddoppiato negli ultimi cinque anni, sta per raggiungere circa 3.000 unità. L’eccellenza tecnologica e la collaborazione con le università ne fanno una realtà strategica non solo per il settore della sicurezza e della difesa, ma anche per sistema economico nazionale.
Ingegner Mariani, ci sintetizza le tappe salienti del suo percorso professionale?
«Sono approdato nell’allora Alenia Difesa grazie alla mia tesi di laurea, un po’ come succede anche oggi ai tanti ragazzi che chiedono di laurearsi con noi. Da quel momento - erano i primi anni Novanta - ho ricoperto numerosi ruoli, dapprima più tecnici, poi con responsabilità crescenti, come nella jv Alenia Marconi Systems, fino a responsabilità manageriali sempre più rilevanti. In particolare, negli anni più recenti, in Leonardo sono stato prima direttore commerciale e ad di Leonardo International, poi condirettore generale e responsabile operazioni e sviluppo business del gruppo. In Mbda ho avuto il piacere di essere stato responsabile dei prodotti già nel 2002 e l’onore di essere, da aprile 2025, amministratore delegato di Mbda Italia e responsabile vendite e business development di Mbda gruppo».
Può schematizzarci i principali parametri economici di Mbda Italia e di Mbda gruppo?
«Siamo in una fase di grande incremento di produzione, legata anche agli attuali scenari geopolitici che ci richiedono maggiori volumi in tempi più rapidi. Mbda, in Italia, è un’azienda da oltre 1 miliardo di euro di ricavi, in ulteriore crescita, con ordinativi ad oggi superiori ai 2 miliardi annui e un portafoglio ordini che si avvicina agli 8 miliardi. Rispetto a meno di cinque anni fa le dimensioni complessive di Mbda Italia sono raddoppiate. Nel quinquennio abbiamo quasi raddoppiato anche il numero dei dipendenti e ora veleggiamo verso i 3.000 e più nei prossimi anni. Ciò si colloca anche nel contesto della crescita di Mbda gruppo che, nel 2024, ha raggiunto un portafoglio record di oltre 37 miliardi e ordini pari a circa 14 miliardi, con un numero di dipendenti ancora in crescita che al momento si attesta attorno ai 19.000 addetti, distribuiti nei cinque Paesi della joint venture, Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Spagna. Questa è la dimostrazione più evidente che la cooperazione è vincente da tutti i punti di vista, anche da quello dei parametri finanziari, sui quali c’è molta attenzione da parte dei nostri azionisti».
Quali sono le tipologie di prodotti realizzati?
«Mbda è un leader europeo per la difesa e la sicurezza e fornisce alle Forze armate sistemi complessi. L’innovazione tecnologica è una nostra impronta distintiva. Nel nostro settore essere all’avanguardia tecnologica significa garantire alle Forze armate l’operatività più efficace per la sicurezza di persone, assetti, territori. Perseguiamo questa missione progettando, sviluppando e realizzando sistemi per la difesa aerea, per la protezione dei contingenti, a supporto del campo di battaglia, fino ai sistemi per le operazioni di difesa navale. Si tratta di un’azienda con un ruolo chiave per la sicurezza e la protezione degli Stati. Si tenga conto che esistono applicazioni, come l’aria-aria, dove si fornisce al cliente il solo missile, e altre, invece, dove assieme al missile si consegna al cliente un vero e proprio sistema, costituito da lanciatore e unità di comando e controllo del lancio, inclusivo del radar per il tracciamento del bersaglio. Si parla, in tal caso, di sistemi di difesa aerea per applicazioni sia navali sia terrestri».
In Italia dove sono ubicati i siti produttivi di Mbda?
«In Italia siamo presenti a Roma, con oltre 1.500 addetti, al Fusaro (Bacoli, provincia di Napoli, ndr), dove siamo oltre 700, mentre a La Spezia, che comprende anche l’insediamento di Aulla (Massa Carrara, ndr) - un centro di riferimento per l’integrazione pirica missilistica in Italia - lavorano circa 300 addetti. Stiamo peraltro espandendo la nostra presenza in Campania con un insediamento anche a Pomigliano, dove concentreremo le attività relative ai lanciatori presso un’area di Leonardo, che ci ha messo a disposizione degli spazi anche a Torino dove abbiamo recentemente avviato attività legate ai laser e al programma GCap. Nello specifico, Roma, oltre ad essere la sede del management, è il sito dove insiste il centro di produzione e di integrazione software e dove svolgiamo le attività sistemistiche e di simulazione. Il Fusaro è il nostro sito di produzione; è la “casa del seeker”, l’occhio tecnologico di un sistema missilistico, in pratica un piccolo radar che guida il missile sul bersaglio. Si tratta di un centro di eccellenza a livello europeo per i radome ceramici, realizzati, a oggi, in oltre 10.000 esemplari per quasi tutti i missili prodotti dal gruppo Mbda. La Spezia è invece “la casa dei missili anti-nave”, un centro di sviluppo e integrazione dedicato a questa tipologia di sistemi».
In quali aree geografiche si realizza l’export?
«Quasi in tutto il mondo. Abbiamo, infatti, oltre 90 clienti al mondo e oltre la metà dei nostri ordini viene acquisita al di fuori dei nostri mercati domestici».
Che peso riveste la tecnologia italiana sui vostri prodotti?
«Considerando l’ecosistema della nostra supply chain, al 70% si parla di tecnologia made in Italy per i prodotti specificamente italiani, come i missili antinave Teseo, e Marte, o come Fulgur, il nuovo sistema per la difesa a cortissimo raggio che stiamo sviluppando per l’esercito italiano, così come le loitering munition italiane per la nostra Difesa. La nostra produzione è dunque di grande valore per tutta la catena produttiva presente in Italia. Lavoriamo soprattutto con pmi italiane, che sono più dell’80% del numero complessivo di fornitori, ma anche con centri di ricerca, università e start-up italiane».
Quali sono le figure professionali prevalenti in Mbda?
«In Mbda c’è una forte prevalenza d’ingegneri con specializzazioni di vario tipo, informatici, elettronici, meccanici, delle telecomunicazioni, dell’automazione, nonché fisici e matematici. Di base abbiamo un grande numero di laureati in discipline Stem, quantificabile in oltre il 60% del totale, cui oggi si dedicano anche tante donne. Non a caso, ad esempio, il nostro capo dell’ingegneria è una donna (ing. Stefania Sperandei, nd.). Essendo un’azienda complessa, abbiamo anche diversi profili dedicati alle funzioni di staff come amministrazione, personale e gestione degli stabilimenti».
Molto interessante è l’impegno di Mbda nel raccordo con istituti tecnico-scientifici e facoltà universitarie.
«La nostra azienda si fonda letteralmente sulle materie Stem, in particolare ingegneristiche. Riteniamo fondamentale uno stretto coordinamento con gli Its e le università per promuovere l’interesse verso le materie Stem. Siamo ben felici di avere tanti laureandi che ci scelgono per le loro tesi. A oggi, le università italiane producono laureati con un’elevata preparazione, che possono essere inseriti in tempi rapidi nelle nostre strutture d’ingegneria e produzione. Ovviamente la fase di addestramento, teorica e “on the job”, dura sempre alcuni mesi».
Ci parla delle vostre collaborazioni con atenei e centri di ricerca italiani?
«Per Mbda le collaborazioni con atenei e centri di ricerca sono un grande valore. Crediamo nell’innovazione e nella ricerca “aperta”. Tanti filoni di ricerca sono accelerati grazie a solidi accordi quadro con varie università in tutta Italia. Gli accordi riguardano soprattutto l’esplorazione di tecnologie emergenti per investire su quelle più promettenti e diventano incubatori di tecnologie attraverso contratti di ricerca e dottorati. Ci consentono di definire obiettivi di tesi di laurea attraverso le quali i laureandi possono avvicinarsi al tema complesso e affascinante dei sistemi missilistici ed essere poi dei nuovi possibili colleghi».
In un’intervista per La Verità del 16 dicembre 2024, l’ing. Giuseppe Cossiga, presidente di Mbda Italia e di Aiad, l’associazione delle imprese che realizzano prodotti per aerospazio, difesa e sicurezza, ha sottolineato che, lungi dalla veicolazione da parte di certa stampa di stereotipi negativi nei confronti delle aziende che producono sistemi d’arma, esse sono invece “uno degli strumenti a disposizione di un Paese democratico per garantire la sicurezza dei cittadini nell’ambito di un sistema legislativamente controllato”».
«Concordo pienamente con l’ing. Cossiga. Un sistema di difesa efficace e completo è un’assicurazione per i nostri valori, la nostra sicurezza e protezione. Un Paese non può farne a meno e noi siamo fieri, con i nostri sistemi, di poter garantire alle nostre Forze armate la migliore operatività, a garanzia della protezione e sicurezza del nostro Paese. Del resto è dimostrato che la sicurezza ha un effetto diretto sul benessere economico di un Paese».
Com’è la vita quotidiana di un top manager del suo livello?
«Densa, coinvolgente, a tratti divertente, sicuramente appassionante e senza soluzione di continuità…».
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Sara Kelany
La deputata di Fdi Sara Kelany: «Rimpatri in aumento, Starmer ci ha chiesto come abbiamo fatto. A febbraio ripartono i centri in Albania».
Fun-zio-ne-ran-no. Un anno fa qui ad Atreju Giorgia Meloni parlava in questi termini dei centri in Albania. Un anno è passato. E siamo sempre qui ad Atreju con Sara Kelany che in Fdi si occupa di sicurezza e interni.
Funzionano i centri?
«Stanno cambiando cose. In meglio. Oggi sono Cpr ordinari. Il nostro obiettivo era ed è quello di renderli centri per l’espletamento delle procedure accelerate di frontiera. Sentenze ideologizzate di alcuni giudici italiani hanno incagliato la dinamica. Col pretesto dei Paesi sicuri. Sottolineo che nessuna delle ordinanze emesse ha trattato la posizione dei singoli migranti rispetto al loro diritto di ottenere protezione. Stabilivano che non è lo Stato che può individuare i Paesi sicuri. Ma può esserlo un giudice. Ritenevano che Egitto e Bangladesh non fossero Paesi sicuri».
Lo sono?
«Premesso che sono anche egiziana, ora in Europa la situazione si è finalmente ribaltata. Optando per accelerare sul Patto per la migrazione e l’asilo. Nel Consiglio dei ministri dell’Interno si è approvato un regolamento. Si è fatta una lista dei Paesi sicuri e, guarda caso, sono ricompresi Egitto e Bangladesh. L’Ue dà ragione alle politiche migratorie del governo Meloni, quindi quando entrerà in vigore questo regolamento i centri potranno ritornare pienamente in attività».
Tempistiche?
«Verosimilmente tra gennaio e febbraio il Parlamento Ue dovrà esprimersi. I regolamenti sono direttamente applicabili dagli Stati membri, non abbiamo bisogno di fare direttive di recepimento».
La parola remigrazione rimane un tema. E il 2023 rimane «annus horribilis» in termini di sbarchi.
«Uso più volentieri il termine “rimpatrio”. Il problema dei rimpatri è diffuso in tutta Europa. Abbiamo aumentato e stiamo aumentando del 100% l’anno i rimpatri forzosi. E abbiamo un grandissimo numero di rimpatri volontari assistiti con l’ausilio di Unhcr. Stanno alleggerendo di molto la posizione italiana. Con riferimento al 2023, i dati erano connessi a motivi esogeni. Il conflitto russo-ucraino, disordini e colpi di Stato nel Sahel, tensioni in Libia e Tunisia. Nel 2024, a seguito anche delle politiche di questo governo, che si basano sui controlli delle frontiere, sulla lotta ai trafficanti e sulla esternalizzazione della gestione dei flussi migratori irregolari in partnership coi Paesi terzi, segnatamente Albania, abbiamo registrato un meno 57% di sbarchi sul territorio nazionale. Sulla base di questi dati l’Europa ha guardato con occhi completamente diversi all’Italia e infatti si sta spostando sulle nostre politiche. Governi anche di estrazione diametralmente opposta a quella italiana ci prendono ad esempio. Vedi la Danimarca. Non parliamo di Ue ma di Europa. La Gran Bretagna è laburista. Starmer è venuto in Italia a chiedere alla Meloni: “Come hai fatto?”».
Come spiegarsi il rapporto speciale che c’è fra Italia e Albania?
«Si fonda su due basi. L’autorevolezza del nostro presidente del Consiglio e la personale empatia tra i due presidenti. Il presidente Rama è un socialista ma indipendentemente dall’estrazione politica, quando un premier è autorevole agli occhi del mondo, non può cambiare un rapporto con lo Stato solo e unicamente perché si viaggia su linee politiche differenti».
Zelensky è andato a Londra e ha incontrato Macron, Starmer e Merz. Dopodiché è venuto a Roma. Quei tre non sono stati in grado di dargli delle garanzie e lui è venuto a chiederle a Giorgia Meloni?
«Per l’Ucraina l’Italia è un partner fondamentale nella risoluzione del conflitto. Siamo sempre stati al suo fianco. Siamo sempre stati convinti che difendere l’Ucraina fosse una questione anche di principio, per la difesa di principi democratici europei. Kyev è vittima di un’orrida guerra di aggressione da parte della Russia. L’Italia, oltre ad avere questo tipo di approccio nei confronti dell’Ucraina, è anche una delle nazioni con il miglior rapporto gli Stati Uniti. Non ci dobbiamo dimenticare che gli Usa sono fondamentali affinché si arrivi a una risoluzione. Ed è ineliminabile l'apporto di Donald Trump in questa faccenda, così come lo è stato e lo sarà nelle questioni mediorientali. Giorgia Meloni è il leader, tra questi che mi hai menzionato, più forte e più stabile in Europa. Macron, Starmer e Merz sono più deboli. La loro debolezza interna si riflette anche in politica estera».
Il documento pubblicato sul sito della Casa Bianca è motivo di imbarazzo o di orgoglio per voi?
«Non è né motivo di imbarazzo né motivo di orgoglio. È una fotografia. Naturalmente la grammatica politica degli Stati Uniti non è la nostra. Noi non possiamo guardare la politica statunitense con i nostri occhi. Non siamo abituati ai loro toni. Ciò non significa che noi non dobbiamo continuare a conservare un rapporto privilegiato. Saldamente ancorato all’Occidente. Perché io mi chiedo e chiedo alle sinistre italiane: l’alternativa qual è? La Cina? Noi non vogliamo avere come alternativa la Cina. Finché ci saremo noi al governo».
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Elly Schlein e Stefano Bonaccini (Ansa)
L’assemblea dem non incorona Schlein come candidata premier Gori si fa portavoce dei riformisti: «Il Green deal va ripensato».
Suggerimento, gratis, per i talk televisivi: si sottopongano Elly Schlein e i dirigenti del Pd, tipo l’economista Francesco Boccia, al test della michetta. Ieri la segretaria che sperava di cambiare lo statuto – tentativo fallito – per farsi incoronare candidata unica alla presidenza del Consiglio e che sta tentando di rinviare il congresso (cade a marzo 2027 e se per caso lo perdesse non riuscirebbe neppure ad avvicinarsi a Palazzo Chigi), se n’è uscita con una battuta alimentare: «Meloni festeggia l’Unesco, ma il frigo degli italiani è sempre più vuoto, la sua calcolatrice è rotta: vada nei supermercati e guardi quanto sono aumentati i prezzi». Chissà se Elly Schlein sa quanto costa il pane al chilo e un etto di mandorle. Lei è vegetariana e chiederle del prosciutto sarebbe indelicato.
L’assemblea del Pd, convocata ieri a Roma in concomitanza con Atreju per non lasciare troppo spazio a Giorgia Meloni, ha ricordato, se ancora ce ne fosse bisogno, che per i dem vale tutto. Ma soprattutto ha lasciato in sospeso le polemiche interne: congelate perché si doveva tentare di offuscare la comunicazione Fdi. La Schlein ha evitato qualsiasi voto e qualsiasi argomento divisivo. Ha fatto un po’ di propaganda e nulla più. Così vale che Stefano Bonaccini, dopo averne dette di ogni contro la segretaria annunci che la sua corrente Energia popolare rientra in maggioranza e porti solidarietà ai giornalisti del gruppo Gedi così come l’hanno data alle vittime ebree di Bondi Beach. A Repubblica e alla Stampa al massimo cambiano padrone, in Australia gli amici di Hamas, non così distanti dai pro Pal e da Francesca Albanese a cui i sindaci Pd consegnano le chiavi delle città, hanno ammazzato. Ma è brutto dirlo nel giorno in cui Elly Schlein s’ingegna a sfidare Giorgia Meloni su tutto. «Anche tanti di coloro che hanno votato per questa destra capiscono che non ha fatto nulla per la crescita; Arianna Meloni ci ha detto che loro priorità sono il premierato e la legge elettorale perché hanno paura di perdere». La Schlein si sente già al governo e annuncia: «Metteremo 3 miliardi in più sulla sanità, faremo il salario minimo a 9 euro, abbatteremo il prezzo dell’energia scollegandolo da quello del gas». Il fatto è che per battere «queste destre che delegittimano l’Onu, il diritto internazionale e facendo i vassalli non difendono l’interesse nazionale» ci vogliono i voti. Elly Schlein azzarda: «I voti assoluti della nostra coalizione e di quella del governo sono sostanzialmente pari ma siamo il primo partito con i voti reali, non nei sondaggi, nei voti veri». A essersi rotta deve essere la sua calcolatrice, non quella della Meloni.
Comunque la prospettiva – anche se Giuseppe Conte proprio da Atreju le ha fatto sapere che i 5 stelle non sono alleati col Pd – è «confrontiamoci anche aspramente, ma costruiamo l’alternativa: è tempo che l’Italia ricominci a sognare e a sperare». Così da gennaio lei parte per un tour programmatico. Doveva andare in giro a parlare del Pd, ma meglio dare addosso alla Meoni che fare i conti con i suoi. Che ieri hanno disertato la direzione nazionale che ha solo votato la relazione della segretaria (225 voti a favore e 36 astenuti) per evitare di palesare le fratture che invece ci sono. L’ala dura dei riformisti ha scelto di rinviare il confronto salvo Giorgio Gori, eurodeputato ex sindaco di Bergamo che all’assemblea ha scandito: «Il Pd ha perso la fiducia, sia della maggioranza degli operai, ma anche degli imprenditori. La sinistra è considerata lontana dal mondo dell’impresa. Serve il riformismo concreto e coraggioso di cui parla Prodi. Il Green deal fatica a tenere insieme obiettivi ambientali e tutele sociali, dobbiamo avere il coraggio di dirlo e promuovere un nuovo e diverso Green deal», ha concluso Gori, «proporre un patto fra istituzioni, imprese e lavoro. La destra porta il Paese al declino, il Pd può presentarsi e vincere le elezioni come partito della crescita e della redistribuzione». La Schlein per ora si occupa dei supermercati, la grande distribuzione.
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