Un Centro di assistenza fiscale (Ansa)
Buco da oltre 5 milioni di euro per la srl siciliana della Cgil: ha accumulato debiti con Agenzia delle entrate, Inps e privati. Stasera a «Lo Stato delle cose» di Giletti (Rai 3) le incredibili risposte del presidente Giuseppe La Loggia.
Undici creditori (di cui il principale è l’Agenzia delle entrate, che vanta ben otto crediti), un passivo da oltre 5 milioni di euro, una liquidazione giudiziale aperta nel 2023 dal tribunale di Catania «nella contumacia» della società.
È l’incredibile storia della Società di servizi Cgil Sicilia srl, nata per organizzare sul territorio siciliano i servizi dei Caf, l’assistenza fiscale, controllata dalla Cgil Sicilia e da una serie di Camere del lavoro del sindacato sparse sul territorio dell’isola, che la trasmissione di Rai 3 Lo Stato delle cose, condotta da Massimo Giletti, racconterà nella puntata in onda stasera alle 21.30.
Nel servizio, realizzato dall’inviato Alessio Lasta, una frase, pronunciata dal commercialista Giannicola Rocca, già presidente della commissione crisi e risanamento di impresa dell’Ordine dei commercialisti di Milano, riassume meglio di tutte la situazione della società controllata dal sindacato guidato da Maurizio Landini. Chiamato dalla trasmissione ad analizzare i bilanci, Rocca ha riassunto così lo stato dei conti della Società di servizi Cgil Sicilia srl: «Se posso sintetizzare, questa è una società che si è finanziata non versando i contributi».
Come detto, il principale creditore della Società di servizi Cgil Sicilia è l’Agenzia delle entrate, che vanta pendenze per circa 3.350.000 euro per mancato versamento di contributi di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia, superstiti e infortuni sul lavoro, ovverosia tutta la parte contributiva e assistenziale che la società deve versare obbligatoriamente per legge a Inps e Agenzia delle entrate per la tutela dei lavoratori. Altri 377.000 euro riguardano crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e contributi degli enti locali non versati. Gli altri creditori sono l’Istituto di case popolari di Enna e due privati, un professionista e un dipendente a tempo determinato.
Secondo quanto ricostruito nel servizio, quest’ultimo, un ex addetto alle pratiche del Caf, deve ricevere 150.000 euro. Per l’ex presidente del consiglio d’amministrazione della società, Giuseppe La Loggia, oggi a capo dell’Inca (Istituto nazionale confederale di assistenza) della Sicilia, però è tutto a posto. Anche se di fronte alle domande dell’inviato Alessio Lasta, che gli chiedeva conto del motivo per cui la società non abbia pagato contributi Inps e Inail ai lavoratori e non abbia versato l’Iva, il sindacalista ha manifestato un notevole nervosismo. I due si incontrano in un centro congressi di Aci Castello, vicino a Catania.
L’occasione è un’assemblea della Cgil siciliana, alla quale partecipa anche il segretario nazionale Landini. L’inviato e La Loggia si sono già conosciuti in occasione di un precedente servizio della trasmissione che, a quanto pare, il sindacalista non ha gradito, tanto che inizialmente cerca di allontanare il giornalista in maniera sbrigativa: «Sei stato stronzo a fare quello che hai fatto, eravamo rimasti che ci dovevamo vedere e tu hai mandato il servizio», dice a Lasta davanti alla telecamera. E quando il giornalista gli fa notare che ci sono più di 3 milioni di debiti per i contributi non versati, il sindacalista risponde sprezzante: «E qual è il problema?». E alla domanda «Lei era presidente del consiglio di amministrazione, questa società è fallita», risponde con una frase che ha quasi dell’incredibile: «Come tante società falliscono in Italia, quindi qual è problema? L’amministravo? Mi assumo le mie responsabilità».
Che, a quanto pare, non sono un ostacolo al ruolo di responsabile regionale dell’Inca in Sicilia, sul cui sito, ironia della sorte, si può leggere la frase: «L’Inca tutela e promuove i diritti riconosciuti a tutte le persone dalle disposizioni normative e contrattuali - italiane, comunitarie e internazionali - riguardanti il lavoro, la salute, la cittadinanza, l’assistenza sociale ed economica, la previdenza pubblica e complementare».
E anche per Landini, la situazione della Società di servizi Cgil Sicilia non sembra essere un grosso problema. «Sono state fatte delle cose non buone, non a caso si è intervenuti, stiamo gestendo la liquidazione». Una risposta che sembra non tenere a mente che a gestire la liquidazione, su richiesta della Procura di Catania, accolta dal tribunale, è un liquidatore giudiziario.
Per Landini, però, «il problema adesso non è guardare se ci sono stai degli errori, il problema è se chi ha visto gli errori si è assunto la responsabilità di intervenire». Ma alla domanda sull’opportunità che La Loggia sia a capo dell’Inca, il segretario confederale replica: «Qui, localmente, noi stiamo gestendo tutto il rapporto con il tribunale, stiamo facendo tutto quello che c’è da fare. Noi stiamo mettendo a posto tutte le cose».
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Ansa
Il sindacato rosso dei metalmeccanici chiede «perdono» alla città per il caos durante lo sciopero all’ex Ilva. Neanche mezza parola per i colleghi picchiati e finiti in ospedale.
La Cgil si scusa con Genova per i disagi creati ma non con i colleghi sindacalisti della Uil che hanno mandato in ospedale. In una nota diretta a tutta la cittadinanza genovese, Fim Cisl e Fiom Cgil, come lavoratori dell’ex Ilva di Cornigliano e metalmeccanici di tutta Genova, confermano di «sapere bene che sono stati i giorni difficili per tutti, a partire da noi. Sette giorni di sciopero con blocchi della viabilità, cortei e manifestazioni. Sappiamo di aver creato molti disagi in città e ce ne dispiace. Abbiamo messo alla prova la pazienza di molti. Ma non potevamo fare altrimenti».
Cinque giorni di sciopero con la città bloccata dai sindacalisti. «È stata, però, una mobilitazione di lotta necessaria, non solo per la difesa di più di 1.000 posti di lavoro ma anche per tutta Genova. Abbiamo strappato un’importante continuità produttiva per lo stabilimento di Cornigliano, almeno fino a febbraio Cornigliano non chiude e con esso continua a vivere la città e il quartiere». Lancio di fumogeni e uova contro gli agenti, mezzi di lavoro contro le reti di protezione, stazione di Brignole occupata oltre agli insulti sessiti al premier Giorgia Meloni per la Cgil sono stati «disagi», non certo una guerriglia urbana molto vicina a una rivolta sociale.
Inoltre, nessun accenno alle polemiche e alla degenerazione scaturita venerdì scorso quando una parte della Fiom e alcuni esponenti politici hanno indetto uno sciopero territoriale a cui la Uilm non ha aderito. «Noi partecipiamo agli scioperi proclamati dalle organizzazioni sindacali legittimate, non da partiti politici o da singoli esponenti», aveva spiegato il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, riferendosi alla proclamazione attribuita all’ex dirigente Fiom, Franco Grondona. Comunque, pur non partecipando all’assemblea dei lavoratori delegati e sindacalisti, si erano avvicinati ai cancelli dello stabilimento e lì «sono stati presi a calci e pugni da individui con la felpa Fiom. Un’azione premeditata di Lotta continua», aveva commentato Antonio Apa, segretario generale della Uil Liguria. «Un attacco squadrista», aveva rincarato la dose il segretario generale della Uil Liguria, Riccardo Serri.
A rimetterci, il segretario generale della Uilm Genova, Luigi Pinasco, raggiunto da alcuni cazzotti e da una testata, mentre il segretario organizzativo Claudio Cabras aveva ricevuto colpi al petto e a una gamba. Entrambi, finiti al pronto soccorso, hanno poi presentato denuncia in questura. E benché il leader nazionale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, abbia parlato di «episodio squadrista che rischia di portare a derive vicine al terrorismo», dai colleghi di Cgil e Cisl non è arrivata alcuna condanna. Anzi, in una nota congiunta del leader Maurizio Landini e del segretario generale della Fiom, Michele De Palma, si legge: «Il forte clima di tensione al presidio sindacale non può essere in alcun modo strumentalizzato né, tanto meno, irresponsabilmente associato al terrorismo. La Fiom e la Cgil si sono sempre battuti contro il terrorismo e per affermare la democrazia, anche a costo della perdita della vita come accaduto proprio all’ex Ilva di Genova al nostro delegato Guido Rossa. Restiamo impegnati a ripristinare un clima di confronto costruttivo e di rispetto delle differenze per dare una positiva soluzione alla vertenza ex Ilva, in sintonia con le legittime aspettative di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori rese manifeste dallo sciopero dei metalmeccanici tenutosi a Genova».
Quasi fosse responsabilità dei sindacalisti Uil, il segretario Landini ha minimizzato l’episodio così come continua a non voler vedere il distacco con la Uil, prima sempre al fianco della Cgil per scioperare e, soprattutto, attaccare il governo. Un fatto grave che non ha meritato parole di solidarietà. Fim e Fiom si scusano con i genovesi per i pesanti disagi provocati per la loro mobilitazione sul futuro dell’ex Ilva ligure ben sapendo che nell’ex Ilva di Taranto è proprio la Uilm il primo sindacato.
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La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
Gli autori della scritta sul lungomare di Marina di Pietrasanta, pubblicata da Donzelli (Fdi), si richiamano alle Brigate rosse. Solidarietà al premier e al suo partito da Lega, Fi, Noi Moderati e diversi ministri. Silenzio lungo e imbarazzante di Pd, Avs e M5s.
«Spara a Giorgia». Accanto, una stella a cinque punte, firmata con la sigla Br. Un messaggio diretto al premier Giorgia Meloni, sintetico e brutale, scritto su un muro del lungomare di Marina di Pietrasanta. A rilanciare la foto sui social ci ha pensato il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, il deputato Giovanni Donzelli, che denuncia con forza il gesto «firma dell’estremismo comunista delle brigate rosse». «Solidarietà a Giorgia», aggiunge: «Il linguaggio di odio di certa sinistra fa guadagnare qualche ospitata televisiva e molti like, ma rischia di fomentare i facinorosi e far ripiombare l’Italia in un clima che non vorremo mai più rivivere. Giorgia non si farà intimidire. Non ci fermeremo».
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
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