2024-08-27
Fioccano i pentiti dell’economia green. Ora tocca all’atomo
Una centrale nucleare (iStock)
«Fatto» e «Repubblica» riconoscono che la svolta verde è una chimera. I tedeschi fanno i conti con lo stop al nucleare.L’ingegnere nucleare Ugo Spezia - uno dei massimi esperti di questioni energetiche - segnala un recente studio di Jan Emblemsvåg, ricercatore nella Norwegian University of Science and Technology sulla politica energetica della Germania. La Verità con Fabio Dragoni ne aveva già parlato. Val la pena tornarci su. Segnalarlo in particolare al ministro Gilberto Pichetto Fratin e, se avranno la bontà e pazienza di leggerci, agli amici di Repubblica e del Fatto Quotidiano.Questi ultimi vanno ringraziati tanto mettono di buon umore. Insuperabili nello scrivere articoli ove la dissociazione cognitiva la fa tanto da padrona da risultare comica. Cominciamo con quelli del Fatto. Dopo aver per anni osannato Giuseppe Conte per essersi inventato il Ministero della Transizione energetica, ora se la prendono con Pichetto Fratin perché il suo progetto di avere fra 5 anni oltre 4 milioni d’auto elettriche in Italia «fa a pugni con la realtà» e lo definiscono «chimera». Hanno ragione, ma per anni hanno vagheggiato obiettivi ancora più fantasiosi. E se la prendevano anche con le «resistenze culturali» del popolo italiano. Non gli viene in mente che il popolo italiano non ha opposto alcuna resistenza culturale a passare, per esempio, dal telefono fisso al cellulare. In un mare di cifre inconcludenti scrivono, quasi di sfuggita: «i tempi medi di ricarica arrivano alle 30 e passa ore per l’auto grande nel box di casa», senza che gli venga in mente che questo è il problema. Non sapendo su quale altro specchio arrampicarsi, tentano quello cinese, «il cui mercato è molto florido». Già, il 4% delle auto cinesi è elettrico.Ancora più spassosa è Repubblica, soprattutto nell’incipit degli articoli. «Di questo passo non ci salviamo, gli obiettivi di contenere il riscaldamento globale sotto 1.5 gradi - la soglia di non ritorno - non si raggiungono, dicono gli scienziati». Siccome gli «scienziati» hanno già detto che quella soglia è stata già superata (articolo su Nature), Repubblica dovrebbe trarre le conclusioni 1) visto che il punto di non ritorno è superato, inutile impensierirsi ancora; 2) visto che nulla è successo, forse quegli obiettivi erano immotivati. E invece no. Forti come la roccia continuano a scrivere quel che scrivono da 30 anni: «campanelli d’allarme», «rinvio dell’addio alla plastica», e via di questo passo. Che poi non si capisce perché ce l’hanno con la plastica, un meraviglioso materiale senza il quale la nostra vita oggi sarebbe completamente diversa. «Molto dipende dalle elezioni americane», affermazione sorprendente, posto che i combustibili fossili contribuiscono, oggi esattamente come 20 anni fa, a oltre l’80% del fabbisogno energetico mondiale. E si consolano che dopotutto l’uso del carbone non decresce «solo nel triangolo Cina, India Indonesia». Che, in una geometria non Euclidea sarà pur triangolo, ma è sempre la metà del mondo. Passato lo spasso, veniamo a noi. Tutti ricordiamo i rincari che nel triennio 2021-23 hanno colpito i prezzi del gas e dell’energia elettrica, mettendo a dura prova i bilanci delle famiglie e delle imprese in tutta Europa (e soprattutto in Italia). Incurante di tutto, la coalizione-semaforo tedesca, con i Verdi essenziali per l’equilibrio del governo, ha attuato le proprie scelte energetiche ideologiche, ponendo fuori servizio le centrali nucleari e investendo nell’ultimo decennio qualcosa come 200 miliardi per incentivare fotovoltaico ed eolico. Il risultato è che la produzione elettrica tedesca proviene per circa la metà dalle fonti rinnovabili (in prevalenza eolico e fotovoltaico) ma, dopo un ventennio da esportatrice netta di energia elettrica, nel 2023 la Germania è divenuta per la prima volta importatrice, coprendo il fabbisogno mancante con elettricità proveniente da Repubblica Ceca, Danimarca, Olanda, Austria, Norvegia e Svezia. I risultati di Emblemsvåg, pubblicati nell’International Journal of Sustainable Energy mostrano che l’Energiewende tedesca (e che in tedesco significa «svolta repentina» e non «transizione»), basata sulla rinuncia ideologica al nucleare e sull’incentivazione economica, altrettanto ideologica, di eolico e fotovoltaico, è costata alla Germania la botta detta. E anche di più, se si aggiungono i costi per lo smantellamento delle centrali nucleari poste fuori servizio. Per non far mancare nulla, a fronte della capacità produttiva aumentata del 111% in vent’anni, la produzione elettrica tedesca è rimasta costante, a dimostrazione che gli impianti alternativi funzionano male. Per esempio, in Germania ci vogliono 13 GW fotovoltaici per produrre 1 GW d’elettricità (in Italia ce ne vogliono «solo» 8). Tutto ciò non ha mancato di determinare un sensibile incremento dei costi di produzione elettrica tedeschi, con ulteriori conseguenze sull’economia delle famiglie e delle imprese. Il costo complessivo della svolta energetica tedesca Emblemsvag lo ha valutato quasi 700 miliardi di euro.Hanno diminuito, i tedeschi, le emissioni di CO2? Diminuzione che è l’unica ragion d’essere degli impianti a vento e a sole. Per un po’ di tempo hanno diminuito del 25%, anche se non mancano riserve sui metodi di calcolo. In ogni caso, la diminuzione si è arrestata nell’ultimo triennio, principalmente perchè con la chiusura degli impianti nucleari hanno dovuto riaprire alcune centrali a carbone, necessarie quando il sole non brilla o il vento non soffia. La regola, lo rammenti bene signor Ministro Pichetto Fratin, è: 1000 gigawatt fotovoltaici o eolici non consentono la chiusura di alcun watt convenzionale (gas, carbone o nucleare). Neanche uno.L’analisi norvegese prosegue con la valutazione di cosa sarebbe successo se, per ridurre le emissioni di CO2, la Germania avesse a) mantenuto in funzione le centrali nucleari esistenti e b) investito nella realizzazione di nuovi impianti nucleari, anziché eolici e fotovoltaici. I risultati non lasciano dubbi. Considerando i costi per l’esercizio dei vecchi impianti nucleari e la costruzione di nuovi impianti nucleari, la Germania avrebbe speso meno di 100 miliardi per mantenere in funzione le centrali nucleari che aveva nel 2002. Queste oggi avrebbero generato la stessa elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili e conseguito la stessa riduzione di emissioni della Energiewende ideologica, il tutto risparmiando 600 miliardi di euro. Con 600 miliardi impiegati poi in nuovi reattori nucleari, la Germania avrebbe veramente azzerato le emissioni di CO2 dal settore elettrico. I massimi organismi di controllo dell’economia tedesca sono ben consapevoli di quanto sta accadendo. Nel rapporto della Corte dei Conti federale sull’esercizio finanziario 2023 si legge: «Il governo tedesco investe miliardi nella protezione del clima, ma non sa quanto siano efficaci questi investimenti né se ne valga la pena. Per raggiungere la neutralità climatica, il governo federale prevede di spendere un numero a tre cifre di miliardi di euro entro il 2030 soltanto». Ma il governo tira dritto, incurante del fatto che il Paese sia in recessione ormai da quattro anni e che questa situazione influenzi negativamente l’intera economia europea. Eppure, a riconoscimento di questa brillante «performance» dell’economia tedesca e del «Green Deal» voluto da Ursula von der Leyen, costei è stata recentemente premiata, sempre con il voto determinante dei Verdi, con un nuovo mandato al vertice della Commissione Europea. Unica voce dissonante, giova ricordarlo, quella della Premier italiana Giorgia Meloni. Che Dio ce la conservi, forte e in salute.