2025-03-12
Colpo di scena sul delitto di Garlasco. C’è un altro sospettato oltre a Stasi
Si tratta di Andrea Sempio, all’epoca dei fatti diciannovenne amico del fratello della vittima: sotto le unghie di Chiara ci sarebbe il suo Dna. Aveva già ricevuto un avviso di garanzia ma la sua posizione fu archiviata. Quella di Garlasco è una storia che sembrava chiusa. L’unico protagonista, per 18 anni, è stato Alberto Stasi, condannato a 16 anni di carcere e finito nell’istituto di pena di Bollate. Colpevole, secondo la giustizia, di aver ucciso Chiara Poggi nella famosa villetta della tranquilla Garlasco. Ma solo dopo un secondo processo d’appello (prima del verdetto decisivo, nel 2015, il procuratore generale alzò le mani sostenendo di non essere «in grado di stabilire se Stasi è colpevole o innocente») e non senza qualche ombra rimasta impigliata tra le pieghe delle indagini e delle sentenze. Una di queste ora è riemersa in modo prepotente: Andrea Sempio (19 anni all’epoca dell’omicidio, oggi 37), amico del fratello di Chiara, è di nuovo indagato per il delitto. Per concorso nel delitto, per la precisione. Con ignoti. O, forse, con Stasi. Un avviso di garanzia è stato notificato a Sempio nei giorni scorsi e oggi, su disposizione del giudice per le indagini preliminari di Pavia, verrà sottoposto all’esame coatto del Dna e dovrà presentarsi nei laboratori del Raggruppamento scientifico dei carabinieri di Milano con il suo difensore, l’avvocato Massimo Lovati. «Sono allibito e sconvolto, mi sono messo in ferie», fa sapere Sempio attraverso il suo difensore. Una nuova verifica sul materiale genetico avrebbe riacceso i sospetti su di lui. E in questo caso, forse per la prima volta, la difesa di Stasi e la Procura di Pavia, che dai tempi del procuratore Mario Venditti si è trasformata (ora è guidata da Fabio Napoleone), sembrano d’accordo su un punto: servono nuove indagini. Scientifiche, per cominciare. Dopo un lavoro durato circa 30 mesi, i difensori di Stasi, gli avvocati Antonio De Renzis e Giada Bocellari, con una consulenza affidata al genetista tedesco Lutz Roewer e al professore Ugo Ricci, ritengono di aver «rivalutato in modo accurato» le analisi già fatte in prima battuta dai colleghi Angelo e Fabio Giarda, che nel 2016 puntarono proprio su Sempio. Sotto le unghie di Chiara c’era del materiale genetico non compatibile con quello di Stasi. Ma all’epoca il genetista Francesco De Stefano, su incarico degli inquirenti, ritenne di trovarsi davanti a un possibile reperto contaminato. E il procedimento su Sempio, dopo soli tre mesi, finì in archivio con questa valutazione: «Il materiale genetico estratto dai reperti ungueali della vittima non è idoneo a effettuare nessun confronto». Ora, però, la difesa di Stasi parla di una traccia di Dna «straleggibile». Le nuove tecnologie nel campo della genetica avrebbero aperto una strada. Che sembra aver convinto la Procura di Pavia. Il Dna di Sempio fu rubato da una bottiglietta d’acqua e da una tazzina di caffè che aveva maneggiato. E siccome ora si è rifiutato di sottoporsi all’esame salivare, il gip glielo ha imposto. Ma c’è un altro scoglio da superare: il movente. Nella richiesta di archiviazione del 2017 il pm sostenne che anche immaginando un’infatuazione non corrisposta di Sempio per Chiara, era difficile che il risentimento potesse trasformarsi in un atto di violenza così brutale. E poi Sempio aveva fornito un alibi, consegnando lo scontrino di un parcheggio di Vigevano della mattina del delitto. Pare che il ticket, però, non contenesse la targa dell’auto. E nessuno si chiese, inoltre, perché il ragazzo avesse conservato per tutto quel tempo lo scontrino. Certo, le scarpe di Sempio, numero 44, non sono compatibili con le impronte trovate sulla scena del crimine, numero 42 e compatibili invece con quelle di Stasi. La Procura infatti indaga per omicidio in concorso. E c’è un altro elemento che posiziona più di una persona sulla scena del crimine. I consulenti dei difensori di Stasi ritennero che il corpo di Chiara «dopo l’aggressione» fosse stato «spostato da almeno due persone». Sarebbe stato possibile evincerlo «attraverso un esame delle tracce di sangue sul pavimento, sugli stipiti e sulle pareti». Sempio fu ascoltato due volte dai carabinieri. La prima la mattina del 18 agosto, ovvero cinque giorni dopo il delitto, poco prima dei funerali di Chiara. E una seconda volta il 4 ottobre, per alcune telefonate fatte dal suo cellulare a casa Poggi. Tutte chiamate brevissime, rispettivamente di dieci, due e 21 secondi. Ma se per la prima chiamata è verosimile che Sempio abbia parlato con Marco, la seconda e la terza si collocano in un momento in cui il fratello di Chiara e i genitori erano già partiti per le vacanze in Trentino, il 5 agosto. Un legame tra Chiara e Sempio, però, non è mai stato dimostrato. Anzi, Marco aveva escluso categoricamente che l’amico potesse nutrire un interesse per sua sorella. E infatti, secondo la Procura, solo in questa prospettiva, scrisse il pm nella richiesta di archiviazione per Sempio, «si spiega la circostanza per la quale Chiara, ragazza riservata, apre la porta con abbigliamento intimo». Sono quelle due chiamate ad ammantare di mistero la circostanza. Infine, c’è un altro aspetto mai chiarito completamente. Un operaio, Marco Moschitta, che stava controllando una centrale dell’acqua, si presentò spontaneamente in Procura e raccontò che la mattina del delitto vide in via Pavia (nelle vicinanze della villetta Poggi) una bicicletta che «andava leggermente a zig zag, come se il conducente avesse qualcosa di ingombrante nella mano destra»: un «piedistallo da camino grigio con in testa una pigna». In sella, raccontò il testimone, c’era una ragazza bionda con gli occhiali da sole e scarpe bianche. Poi dice chiaramente: «È la cugina di Chiara Poggi». Lo stesso testimone, però, dopo un’ora ritratta. Il suo verbale viene chiuso e riaperto. E in coda al testo fa aggiungere: «Non sono sicuro di quello che ho detto, chiedo scusa. Mi sono inventato tutto perché sono uno stupido». E a quel punto per gli inquirenti quello spunto investigativo diventa «inconsistente». Oltre che inutilizzabile. L’ultimo colpo di scena è questo: c’è una intercettazione telefonica dell’operaio con suo padre nella quale il ragazzo conferma di nuovo quello che aveva raccontato: «La verità». Ora, di nuovo, tutta da dimostrare. E se ciò diventasse impossibile, ci troveremmo di fronte a un incredibile spot per chi vuole la separazione delle carriere tra giudice e pm.