2025-11-08
Macché pro ricchi. La riforma fiscale premia il ceto medio
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.Su tutto questo abbiamo visto innescarsi una polemica politica, culminata con la proclamazione dell’ennesimo sciopero nazionale deciso dalla Cgil che conferma, da parte delle opposizioni, una totale disattenzione e, in alcuni casi, una avversione nei confronti del ceto medio. Certamente un reddito da 100.000 euro restituisce l’idea di guadagni di tutto rispetto ma non si può considerare, come viene fatto in modo polemico, il percettore di questo reddito come un ricco che bisogna far piangere (qualcuno ricorderà il vecchio slogan di Rifondazione comunista).Anche le autorevoli valutazioni della Banca d’Italia e dell’Upb vanno, quindi, lette nell’analisi complessa che hanno presentato e non limitandosi a scegliere quegli aspetti utili alla polemica politica. Ad esempio, secondo la relazione di Bankitalia «al di là di questa manovra di bilancio, si può stimare che gli interventi disposti nel periodo 2022-2025 abbiano più che compensato, nel complesso, l’impatto negativo esercitato sui redditi delle famiglie dal drenaggio fiscale». Così come l’Ufficio parlamentare di bilancio sottolinea sullo stesso tema come dal 2021 il fiscal drag (il fenomeno in base al quale l’inflazione e la crescita dei redditi nominali fanno aumentare la pressione fiscale sui redditi) è stato più che compensato per i redditi da lavoro tra i 10.000 e i 32.000 euro. Bankitalia segnala che, tra la fine del 2019 e il secondo trimestre del 2023, le retribuzioni orarie nel settore privato non agricolo si sono ridotte di 10 punti percentuali per poi risalire di circa 3 punti dal 2023 al secondo trimestre di quest’anno.Quindi, ammonisce l’istituto di via Nazionale, una perdita di potere d’acquisto c’è stata ma la soluzione non deve essere a carico dello Stato. «È improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare soprattutto quando la redditività delle imprese può consentire che ciò avvenga attraverso la contrattazione», si legge nell’analisi della manovra. «La crescita dei salari reali non può che essere sostenuta da un sistema di relazioni industriali ben funzionante e da un rilancio della produttività del lavoro che si è ridotta di oltre un punto percentuale dalla fine del 2019». Certamente una sottolineatura che rappresenta un richiamo fortissimo alla responsabilità delle parti sociali e in particolare a chi non partecipa al rinnovo dei contratti e si esercita in ripetuti scioperi che certo non fanno gli interessi del Paese e dei lavoratori.A conferma della necessità di una lettura dinamica e non staticamente fotografica di una sola legge di bilancio, va considerato quello che dice l’Ufficio parlamentare di bilancio. Ovvero che «per i lavoratori dipendenti, gli interventi degli scorsi anni hanno prodotto benefici prevalentemente concentrati nelle fasce di reddito basse e medie con una incidenza sul reddito che supera i 6 punti percentuali per i redditi più bassi. La riforma del 2026, concentrata sulle fasce medio alte e alte, opera in modo complementare, riducendo il divario nelle fasce dove gli interventi precedenti avevano prodotto effetti più contenuti». Dunque, in termini di incidenza sul reddito, «il profilo complessivo rimane caratterizzato da riduzioni più elevate nelle fasce basse e medie mentre l’impatto decresce progressivamente all’aumentare del reddito». Dal punto di vista concreto, come si evince dalle tabelle della relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, se i contribuenti sotto i 50.000 euro sono meno favoriti, è altrettanto vero che, in percentuale sul reddito, il risparmio è più significativo. Così i cosiddetti ricchi fino a 200.000 euro di reddito vedranno una variazione del loro reddito disponibile anche inferiore all’1%.Ad esempio, per 40.000 euro c’è una variazione del reddito disponibile del 4% mentre per 80.000 euro, l’incidenza sul reddito scende attorno al 2%. Con la riduzione dal 35 al 33% dell’aliquota per i redditi compresi tra i 28.000 e i 50.000 euro, si stima che saranno oltre 9 milioni i contribuenti compresi tra i 28.000 e i 200.000 euro che beneficeranno di questa riduzione. Oltre il tetto dei 200.000 euro, dove si collocano i veri benestanti, la legge di Bilancio interviene escludendoli dal beneficio, con la diminuzione delle detrazioni.Un conto è leggere la manovra dal punto di vista tecnico, altro è leggerla con la suggestione del «tassa e spendi» che viene dai risultati newyorkesi. Qui nelle condizioni date, gran parte delle critiche si traducono in un attacco al ceto medio.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Giancarlo Giorgetti (Ansa)