2025-11-08
Denuncia i bivacchi degli immigrati. Attivista francese arrestato per odio
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.Il filmato è stato girato martedì a Segré, la sua città e mostra Gannat che gira per strada nei pressi di un supermercato: «Sono nella città dove sono cresciuto, 10.000 abitanti. Ogni notte, vedi rifugiati afghani in giro, sempre da Leclerc a comprare cibo, senza fare assolutamente nulla. Benvenuti nella campagna francese!», dice Gannat guardando in camera. Il video è stato pubblicato con la seguente didascalia: «Stufo di vivere con i cugini talebani in mezzo al nulla». Ebbene, soprattutto per via di quest’ultimo commento, Gannat è stato arrestato e ha trascorso circa un giorno in custodia. «È stato oltrepassato un limite nella censura. La Procura di Angers sta seriamente minando la poca fiducia che possiamo ancora legittimamente aspettarci dal sistema giudiziario», ha dichiarato indignato Mathieu Sassi, avvocato di Gannat.Ieri Gannat è stato portato di fronte a un giudice e formalmente accusato di incitamento all’odio razziale: il suo processo si terrà all’inizio di maggio. A sostegno dell’attivista, padre di tre figli, è stata lanciata una raccolta fondi che ieri aveva già accumulato circa 6.000 euro. «Nel video Gannat non usa toni particolarmente offensivi», ci dice Damien Rieu, noto influencer francese vicino a Marion Marechal. «Il video è disponibile online, si può vedere. È un video che non crea davvero alcun problema. Dice solo: ci sono degli afghani, non fanno niente tutto il giorno, sono migranti irregolari. Tutto qui. Fa un commento molto fattuale. Non c’è odio, non c’è aggressività. Non capiamo davvero cosa stia succedendo e siamo molto preoccupati. Aspettiamo di sapere cosa dirà il tribunale. Ma se oggi si può essere arrestati solo per aver detto: qui ci sono afghani che occupano la strada, è davvero un segnale spaventoso». Sembra incredibile ma Gannat è stato arrestato per un video di pochi secondi, in cui per altro non invita a compiere alcuna violenza e non fa alcun commento razzista. «Sì, arrestato per un semplice video», dice Damien Rieu. «Possiamo capire che la legge e la giustizia si interessino a chi tiene discorsi aggressivi, d’odio o incita alla violenza. Ma qui non è il caso. Se guardate il video, lui fa solo una constatazione e quindi si supera un nuovo limite. Questo è qualcosa che finora abbiamo visto solo in Gran Bretagna, dove c’è una repressione molto feroce della libertà d’espressione sui temi d’immigrazione, con l’accusa di crimini d’odio, termine vago che ora può includere qualsiasi critica all’immigrazione. Finora era un fenomeno britannico spaventoso, ma che non aveva attraversato la Manica. E qui dobbiamo assolutamente reagire in modo molto fermo e rapido affinché questo non accada anche in Francia».Già: nel Regno Unito ormai è quasi una prassi quella di essere svegliati dalla polizia se si pubblica sulla Rete qualche post considerato «scorretto». Altrove non era ancora accaduto, ma il caso dell’attivista francese è particolarmente grave proprio per via del contenuto innocuo del suo libro. Giustamente in Italia ci si indigna se un giornalista come Gabriele Nunziati si vede interrompere il rapporto di collaborazione da Bruxelles con l’agenzia Nova per una domanda su Gaza posta a Paula Pinha, portavoce della Commissione Ue. A maggior ragione si dovrebbe provare orrore per quanto accaduto a Gannat, che è stato arrestato e trattenuto come avveniva ai dissidenti ai tempi dell’Unione sovietica. Sicuramente meno grave ma comunque irritante e indicativa dei tempi in cui viviamo è invece la vicenda che coinvolge Sydney Sweeney, celeberrima attrice e modella statunitense protagonista mesi fa di una grottesca guerra culturale. American Eagle l’ha ingaggiata per una pubblicità di pantaloni basata su un gioco di parole tra jeans e genes (geni). Lo slogan, per farla breve, diceva che la ragazza ha dei buoni calzoni e pure dei buoni geni. Apriti cielo: essendo la Sweeney bianca, ecco che lo spot è stato accusato di esser ferocemente razzista. Nei giorni scorsi la Sweeney è stata intervista per Gq da Katherine Stoeffel e il risultato è stato... suggestivo. «Quando mi siedo con lei a Los Angeles questo settembre, sono passate circa otto settimane da quando American Eagle ha dichiarato, a nome di Sydney Sweeney, che ha dei bei jeans e dei buoni geni», ha scritto la Stoeffel. «Il che significa che sono passate circa otto settimane meno un’ora da quando è diventato chiaro che la campagna pubblicitaria - una sintesi kitsch della bellezza di Sweeney abbinata a un messaggio proveniente direttamente dal laboratorio dove si inventano agenti patogeni da guerra culturale - sarebbe stata un argomento su cui gli americani si sarebbero urlati addosso vicenda per almeno un paio di mesi». La giornalista del noto magazine patinato ha da subito esibito un filo di spocchia liberal, ma il meglio di sé lo ha offerto quando ha cercato di far dire qualcosa di politicamente corretto alla Sweeney sulla pubblicità della discordia. «C’è qualcosa che vuoi dire sullo spot in sé?», ha scritto Stoeffel. «La critica al contenuto era fondamentalmente che, forse proprio in questo clima politico, i bianchi non dovrebbero scherzare sulla superiorità genetica». Risposta pacata e perfetta: «Penso che quando avrò un problema di cui voglio parlare, la gente mi ascolterà». La versione video dell’intervista è ancora più chiara: l’intervistatrice cerca con tutta evidenza di far dire all’attrice qualcosa di «antirazzista», insiste a volerle «dare l’opportunità» di fare dichiarazioni riguardo allo spot. Ma la Sweeney non si smuove e di fatto la gela. Da una parte, dunque, si può gioire del fatto che appaiano finalmente celebrità non totalmente genuflesse all’ortodossia liberal. Dall’altra però si nota che l’atteggiamento dei media più istituzionali è sempre e drammaticamente lo stesso: la retorica woke detta ancora legge e ci vuole una tempra d’acciaio per tenere la barra dritta.Resta una amara certezza: le cose vanno peggio in Europa. A Hollywood per una frase storta si rischia la carriera, qui ormai si finisce in carcere.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Giancarlo Giorgetti (Ansa)