I droni russi che spiavano Leonardo nel Varesotto non erano russi. E non erano nemmeno droni. Lo ha chiarito l’inchiesta della Procura di Milano, che indagava da marzo sui presunti sorvoli registrati a Vergiate, sulla sede dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nei pressi della quale si trova la divisione elicotteri del colosso italiano della Difesa. Il Corriere della Sera, ieri, ha spiegato che l’allerta era scattata per una interferenza tra «il software lettone del sistema portatile di sicurezza cinese» e «la sporadica attività (nella villetta di una famigliola di Ispra) di un amplificatore di segnale Gsm comprato su Amazon dal papà perché in casa il cellulare non prendeva bene».
In un battibaleno, si è sgretolata l’inquietante spy story dalla Russia con amore: i tentativi di spionaggio erano, in realtà, un pasticciaccio elettronico. I pm hanno chiesto l’archiviazione. E il quotidiano di via Solferino ha relegato la notizia in un trafiletto. Al contrario, quando un apparecchio acquistato sul Web e un programma sino-lituano hanno generato una sfilza di falsi allarmi, i media, a titolo unificato, denunciavano l’ennesima incursione dei velivoli di Vladimir Putin.
Come lo scorso settembre a Copenaghen e Oslo, quando gli scali delle due capitali erano stati chiusi dopo l’avvistamento di «droni di grandi dimensioni». Passato qualche giorno, il ministro della Difesa danese è stato costretto a rettificare: nessuna prova che Mosca fosse coinvolta; gli apparecchi non erano arrivati «da una lunga distanza», anzi, erano stati lanciati «localmente». Il capo della diplomazia norvegese, intanto, escludeva «collegamenti» tra gli episodi capitati nei due Paesi scandinavi.
Non c’era la «mano russa» (per citare l’Ansa) nemmeno nell’incidente di tre mesi fa in Polonia, nella regione di Lublino. A sfondare il tetto di un’abitazione nel villaggio di Wyryki-Wola, per fortuna senza provocare vittime, era stato un aria-aria difettoso, scagliato da un F-16 decollato per abbattere i droni russi penetrati nello spazio aereo di Varsavia. Con ogni probabilità, erano stati dirottati dai meccanismi di difesa ucraini. «Tutto indica che si sia trattato di un missile partito da un nostro caccia», aveva dichiarato il coordinatore degli 007 polacchi, Tomasz Siemoniak. Il razzo farlocco costava 850.000 euro. Leggere i resoconti della stampa non ha prezzo. Il Sole24Ore, ad esempio, enfatizzava il monito di Sergio Mattarella: «Ci si muove su un crinale dal quale si può scivolare in un baratro di violenza incontrollato». Il capo dello Stato, evocando lo «scoppio della prima guerra mondiale, nel luglio 1914», parlava di un episodio «gravissimo». Ma sarebbe stato difficile invocare l’articolo 5 della Nato, sulla mutua assistenza bellica in caso di attacco, visto che l’attacco era un auto-attacco.
La Polonia era già stata teatro di un tragico equivoco. A novembre 2022, un ordigno, lì per lì identificato come russo, era caduto nel paesino di Przewodow, uccidendo due persone. «Mosca sotto accusa», segnalava Repubblica. Anche quella volta, però, la firma non era dello zar: «L’indagine condotta dalla Procura polacca», comunicò mesi dopo il ministro della Giustizia, «ha portato all’emissione di un parere che indica categoricamente che quel missile era ucraino». Ma «di produzione sovietica o russa», eh.
Per collegare il Cremlino all’esplosione del Nord Stream, a settembre 2022, era stata sufficiente la presenza, riportata ad esempio dal Messaggero, di «navi russe» nella zona dei gasdotti. I tedeschi, poi, avrebbero scoperto che in verità la «mano» era ucraina. Secondo lo Spiegel, uno dei presunti sabotatori, Serhij Kuznietzov, arrestato mentre si trovava a Rimini, al momento dell’attentato era in servizio in un’unità speciale dell’esercito di Kiev. Quasi quasi, toccava invocarlo davvero, l’articolo 5.
Pericolose interferenze, oltre che mettere in agitazione i siti di Leonardo in Lombardia, a inizio settembre hanno trasformato in un incubo un volo di Ursula von der Leyen, atterrato a Sofia con un’ora di ritardo. «Hacker manomettono il Gps dell’aereo», raccontava il Sole. I pirati informatici, naturalmente, battevano bandiera moscovita: «I russi mandano in tilt il Gps del volo di Von der Leyen», annunciava l’Ansa. Pure il Corriere riferiva, senza tema di smentita, di «interferenze dei russi». Peccato che le autorità bulgare avessero smentito: il jet, confermava in Parlamento il premier, non aveva subito «né interferenze né disturbi prolungati». Alla fine, la Commissione Ue stessa ha dovuto precisare di non aver «mai detto» che si fosse trattato di «un attacco rivolto «espressamente» contro la presidente. Autocrate che vai, trasporti che trovi: col Duce, i treni arrivavano in orario; con Putin, i voli atterrano in ritardo. O sconfinano in Estonia per 12 minuti, finendo intercettati dagli F-35 italiani; o si «avvicinano» alla Lettonia e vengono agganciati dai caccia ungheresi.
Adesso che la polizia tedesca ha censito oltre 1.000 incursioni di droni nel 2025, alla lista mancava solo un blitz della fanteria. Finalmente, la settimana scorsa, tre soldati russi in uniforme hanno attraversato il confine estone e sono rimasti in territorio Nato «per mezz’ora». L’invasione è cominciata. All’armi!







