2025-11-08
Giorgetti svela la verità sul Pnrr. È una tassa con il 3% di interessi
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.Sono debiti che diventano 117 miliardi tenendo conto anche dei prestiti del fondo Sure per la cassa integrazione durante la pandemia e concorrono al totale del debito pubblico che a fine agosto era pari a 3.082 miliardi. Quindi poco meno del 4% dello stock complessivo.E già questo ci deve far riflettere. Uno Stato che si presenta sui mercati obbligazionari tutti i mesi con emissioni lorde mediamente pari a circa 50 miliardi e nel 2024 e 2023 ha rispettivamente eseguito emissioni lorde per 532 miliardi (361 miliardi titoli a medio-lungo termine e 171 miliardi Bot) e 516 miliardi (360 a medio lungo e 156 Bot, si è visto costretto a indebitarsi con la Commissione per una somma tutto sommato irrilevante: 105 miliardi sono spiccioli rispetto alle emissioni del quadriennio 2022-2025.Nulla che non avrebbe potuto essere agevolmente incassato dal Mef senza necessità di mettere in piedi un mostro burocratico che ha praticamente ingessato e assorbito dal 2021 qualsiasi attività di programmazione di investimenti. C’era solo il Pnrr e gli obiettivi e traguardi semestrali da conseguire, altrimenti da Bruxelles non sarebbero arrivati quei quattro spiccioli di cui sopra.Questi numeri sgombrano il campo dal primo argomento portato a sostegno della necessità di indebitarsi con Bruxelles anziché con i mercati, cioè la (inesistente) incapacità dell’Italia di attrarre investitori.Resta il tema del presunto minor costo del debito Ue nei confronti dei titoli pubblici. E qui le parole di Giorgetti accendono un faro importante per far comprendere che questa convenienza appare inesistente. Infatti quel «poco sopra al 3%» di cui parla Giorgetti non sappiamo se è riferito al costo medio per interessi dell’intero stock di 105 miliardi o è il tasso che si applica all’ultima rata ricevuta.In entrambi i casi non sembra proprio che la Repubblica italiana abbia fatto un buon affare. Il costo medio all’emissione negli anni dal 2021 al 2024 è stato rispettivamente pari al 0,10%, 1,71%, 3,76%, 3,40%.Sappiamo anche la Commissione ha emesso titoli su scadenze brevi, medie e lunghe a partire dalla seconda metà del 2020 per complessivi 930 miliardi, di cui 730 miliardi tuttora in circolazione. Le prime emissioni del 2020/2021 sono avvenute addirittura a tassi negativi. Allora com’è possibile che la Commissione oggi «ribalti» all’Italia e, possiamo immaginare, ai pochi altri Paesi malcapitati come la Grecia, un tasso «poco oltre il 3%».C’è da approfondire e non poco perché probabilmente abbiamo sbagliato «banca». Infatti si prospettano diversi casi. C’è da dire subito che indebitandoci con la Commissione ci siamo privati della possibilità di adottare una strategia di tasso. Cioè di emettere titoli ed indebitarci a tassi molto bassi, incorporando correttamente una prospettiva di rialzo dei tassi. Una scelta che sembrava doverosa almeno fino alla metà del 2022 e che abbiamo appaltato ad altri. La Commissione - niente affatto esperta di un mercato in cui l’Italia è tra i primi emittenti al mondo - ha fatto scelta di durata e scadenza del tutto discutibili. Tra cui quella di emettere una discreta quota di Bills (titoli a breve) che hanno un senso per la gestione della Tesoreria di uno Stato sovrano, ma molto meno per la Commissione. Perché quest’ultima aveva e ha il solo obiettivo di raccogliere denaro «una tantum» e prestarlo agli Stati membri su scadenze medio- lunghe. L’Italia comincerà a rimborsare quei miliardi nel 2028 e terminerà nel 2058.Quelle emissioni a breve, al momento della scadenza, sono purtroppo state rinnovate a tassi via via crescenti, perdendo quindi la magnifica opportunità dei tassi bassi durata fino alla metà del 2022.Ma il danno, o almeno l’oggetto d’indagine, non si ferma qui. Poiché comunque la Commissione ha eseguito numerose emissioni a tassi negativi o molto bassi, ci si aspetterebbe che trasferisse integralmente il beneficio agli Stati membri, ovviamente caricato di spese e commissioni.Ma se siamo già ben oltre il 3%, ancora una volta, dov’è il beneficio dei tassi bassi del biennio 20220-2021? Ci rifiutiamo di credere che la Commissione stia rivestendo i panni del banchiere «furbo» che ha raccolto denaro a tassi fissi e bassi su scadenze medio- lunghe e stia prestando denaro agli Stati membri a tasso variabile, portando a casa un consistente margine di interesse.La Commissione avrebbe dovuto impostare le proprie emissioni - come ha fatto il Mef - su una durata media molto lunga, proprio per beneficiare il più possibile di quei tassi così bassi e far sì, anche in ipotesi di rialzo dei tassi, che la trasmissione del maggior costo all’intero stock fosse molto lenta.Ma, ancora una volta, quel «poco sopra il 3%» di cui ha parlato Giorgetti sembra indicare tutt’altra storia.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)