
A volte la trovata geniale ce l’abbiamo talmente davanti agli occhi che non riusciamo a vederla. Chissà che cosa s’inventerà stavolta Luca Medici, in arte Checco Zalone, che a cinque anni da Tolo Tolo in cui si era auto diretto, torna al cinema con la regia del fedele Gennaro Nunziante (cinque film su sei in coppia)? Invece, a volte non serve lambiccarsi il cervello, basta guardarsi attorno per vedere chi sono gli adulti, o presunti tali, di oggi. E chi sono i ragazzi e che cosa cercano davvero.
Realizzato da Indiana production con Medusa, in collaborazione con Mzl e Netflix e con il contributo degli investimenti del ministero della Cultura, Buen camino esce il 25 dicembre in mille copie, destinate ad aumentare dopo la prima settimana di programmazione. Rispetto a Tolo Tolo che s’infilava nella difficile tematica dell’immigrazione stentando a trovare una chiave originale (pur sempre 48 milioni al botteghino), Buen camino è incentrato sul rapporto tra un padre e una figlia che, d’istinto, potrebbe risultare «una cosa un po’ ruffiana», ammette Checco. In realtà, è una storia semplice che tocca temi complessi con leggerezza, facendo ridere tra scorrettezze e le iperboli classiche della coppia Zalone-Nunziante. L’attesa è notevole, anche dopo le accuse di Pietro Valsecchi, ex produttore del comico pugliese, intervistato qualche giorno fa dal Corriere della Sera: «Luca era diventato ossessivo… voleva essere accettato dall’intellighenzia di sinistra, che non l’aveva mai capito». Che cosa replica? «Gli voglio bene», è la lapidaria risposta.
Mentre nella megavilla in Sardegna, tra piramidi faraoniche e piscine hollywoodiane fervono i preparativi per la festa dei 50 anni di Eugenio Zalone, ignorante produttore brianzolo di divani, si scopre che l’unica figlia Cristal (Letizia Arnò), così in omaggio alle bollicine francesi, è scomparsa, ribelle alla ricchezza e alla vacuità strabordanti. È l’ex moglie (una Martina Colombari con lunghi capelli grigi) a strappare il padre dallo yacht e dalle sinuosità della nuova fiamma venticinquenne, costringendolo alla ricerca dell’adolescente. Niente di più improbabile. Il papà, tutto tatuaggi e carte di credito, non sa nulla della ragazzina ma, per vincere la sfida con il compagno dell’ex moglie, un regista palestinese («l’unico che occupa territori fuori dal Medio Oriente, gaza mia»), si attrezza all’impresa impossibile. La dritta giusta arriva dall’amica del cuore di Cristal e così eccolo pedinarla su una delle sue tante Ferrari nel Cammino di Santiago de Compostela. Determinata a proseguire la sua ricerca di autenticità, l’adolescente trascina il padre recalcitrante su sentieri assolati e dentro spartani ostelli. Ottocento chilometri a piedi, tra scomodità e imprevisti. In realtà, l’imprevisto più grande è il cambiamento delle persone.
Buen camino è una storia leggera e profonda, disseminata di battute che strappano risate improvvise e che potrà piacere anche a sinistra per la critica alla ricchezza più ostentata e kitsch.
Un film «famigliare», lo definisce Zalone. E con qualche cenno biografico, ammette, citando le sue figlie adolescenti «che passano la vita sul cellulare e sui social». «Siamo partiti dalla definizione del personaggio di Checco», racconta Nunziante. «È un ricco, è dio ma non alla ricerca di Dio, perché la ricchezza si sostituisce a Dio. Così, il luogo più stridente per lui è il Cammino di Santiago. Un posto religioso, ma non solo, e non di moda perché dopo la pandemia il Cammino è calato molto».
La storia scaturisce dal contrasto fra il personaggio di Checco e la ricerca della figlia. «Cristal si ribella alla ricchezza. Quello che manda in tilt noi adulti è quando i nostri ragazzi rifiutano quello che siamo. Allora ci accorgiamo che quello che possediamo non serve a nulla», ragiona il regista. La questione della paternità è centrale. «Da tempo riflettiamo sulla società senza padri. Il primo motivo è che non sappiamo più chi è l’uomo, di conseguenza non possiamo sapere chi è il padre. Il personaggio di Checco è partito che era già padre ma non lo sapeva e torna che lo è. Diventa quello che è ma non sapeva di essere. Questo è il nostro cinema. Se l’uomo rimane lo stesso fino alla fine, siamo nel cinema americano. I finali del cinema europeo cercano di andare incontro all’uomo e di aiutarlo a crescere».
Zalone è curioso della reazione del pubblico giovane: «Un po’ mi spaventa. Mia figlia non l’ho mai vista attenta a un contenuto che dura più di 40 secondi e questo è un film tradizionale, di 90 minuti». Qualcuno lo stuzzica sulle battute scorrette come quella su Gaza. «Credo che anziché lamentarsi del politicamente corretto, la risposta migliore sia essere scorretti con intelligenza». Interessante anche sapere che rapporto hanno Zalone e Nunziante con la spiritualità. «A 17 anni non vivevo questa ricerca. Volevo fare il pianista, ma poi è emerso il comico. Ho sentito tanti racconti, chissà, un giorno non escludo di farlo sul serio questo Cammino, negli ostelli», ipotizza il comico. «Non so se spiritualità sia la parola giusta, ma sì, avevo la percezione che la vita non finisse nella vita», argomenta Nunziante. «Se perde la dimensione metafisica l’uomo impoverisce. Si finisce a parlare del sociale e il sociale ha rotto le scatole. Veniamo da decenni di derisione della condizione cristiana in una società in cui l’elemento prevalente è stato il marxismo. Mi piace misurarmi con l’ignoto, il comico fa questo e la commedia non dà risposte. Nel dubbio si cresce e davanti a un dubbio la commedia ne crea un altro. Chi fornisce risposte rasenta la volgarità».






