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A Prato la Procura guidata da Luca Tescaroli sta fissando su una mappa i gruppi di stranieri che si fronteggiano a colpi di machete, spedizioni punitive, regolamenti di conti e tafferugli. Non sono episodi isolati, ma tasselli di «una più ampia contrapposizione tra gruppi criminali». Su questa cartina geografica i magistrati ieri hanno puntellato un altro caso: pakistani, marocchini e albanesi si sono scontrati in «una vera e propria faida urbana». Che ha prodotto quattro arresti: due marocchini di 22 e 25 anni, un pakistano di 34 e un albanese di 38, accusati di aver partecipato alle spedizioni punitive. E che sembra confermare l’esistenza di due blocchi distinti (uno pakistano e uno composto da marocchini e albanesi) in lotta per il controllo di un pezzo della città, in particolare dei quartieri in cui circolano droga e denaro.
- Nel bresciano un bengalese stupra una bambina di 10 anni. L’episodio avvenuto in un centro per rifugiati. L’uomo ha confessato. Tra rito abbreviato e circostanze a discarico, la pena rischia di essere irrisoria.
- A Pisa uno straniero violenta bimba di 6 anni. Il «protocollo rosa» è scattato dopo che la piccola ha denunciato strani comportamenti da parte dell’adulto, ritenuto persona di fiducia dalla famiglia. Sugli indumenti della vittima trovate tracce genetiche dell’indagato.
- Per i fatti di Tor Tre Teste si cerca un tunisino, forse riparato all’estero. I tre fermati hanno precedenti per spaccio. Possibile anche la presenza di un quinto uomo.
Lo speciale contiene tre articoli.
Il 20 maggio 2025 Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia ora parlamentare pentastellato, varca le porte della Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo che ricostruisce la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. E che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate. Un funambolico de Raho risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Falco e della pm Giulia Guccione. Sessantadue pagine in cui l’ex procuratore nazionale antimafia ripete sempre lo stesso schema. Che in più punti appare come uno scaricabarile in piena regola. E con una trentina di chiodi (quelli piantati con i vari «non ricordo, non avevamo questa possibilità, lo escludo») tutti nella stessa direzione: la difesa della sua estraneità. Tutti utili a puntellare ogni snodo critico emerso dall’ufficio che guidava e che, nella sua narrazione, gli è passato accanto senza mai toccarlo.




