- Dopo la terza dose, a Vladimiro Zarbo si bloccarono gambe e braccia. Poi smise di vedere. Ma il Ssn ancora non riconosce la patologia.
- I pazienti pediatrici che assumono antidepressivi o similari sono raddoppiati dal 2020. Lo psichiatra Perna: «In quella fase la socialità è centrale. Il lockdown gliel’ha tolta».
Lo speciale contiene due articoli.
Il nostro Sistema sanitario nazionale continua a non voler riconoscere, anche nei casi più conclamati, cure ad hoc per le malattie correlate al vaccino anti Covid che stanno colpendo soprattutto chi si è sottoposto a più dosi. Stiamo parlando di tutta una serie di patologie croniche che spesso hanno reso o stanno rendendo tanti di questi danneggiati invalidi. Nelle linee guida che regolano le prestazioni terapeutiche con il ticket, questo tipo di patologie «post vaccinali» non esistono, nonostante vi siano, nella letteratura scientifica internazionale, almeno «un migliaio di studi peer-review (cioè pubblicati dopo revisioni e approvazioni di più scienziati, ndr) che certificano una correlazione temporale, causale, o con-causale, tra le vaccinazioni anti Covid in ripetute dosi e la manifestazione clinica di patologie croniche su base infiammatoria, anche di tipo autoimmunitario», come spiega Ciro Isidoro, biologo e medico, professore ordinario di patologia e immunologia generale presso il dipartimento di scienze della salute dell’Università del Piemonte orientale.
«Tra gli studi pubblicati, alcuni certificano la riattivazione di virus latenti che possono creare patologie che coinvolgono più organi», aggiunge Isidoro, informandoci dunque sulle prove scientifiche raccolte in questi cinque anni riguardo a quegli effetti nocivi per la salute a lungo termine dei cosiddetti vaccini anti Covid di nuova generazione di cui ci avvisò, nel 2020, il virologo premio Nobel per la medicina Luc Montagnier. Cassandra di questa tragedia collettiva che ha distrutto la vita a persone come Vladimiro Zarbo, cinquantatreenne di Palermo, che prima del vaccino faceva decine di chilometri al giorno di marcia per tenersi in forma e ora sta in sedia a rotelle.
Nel gennaio 2022, a tre settimane dalla terza dose di Pfizer, a Vladimiro Zarbo nel giro di 24 ore prima si sono paralizzate le gambe, poi le braccia. Qualche ora dopo ha perso totalmente la vista, che ora ha in parte recuperato. Resta tuttora impossibilitato a camminare, tranne che qualche passo in casa per andare al bagno. «Fin dall’inizio, tre, quattro medici specialisti neurologi che mi hanno visitato», racconta Vladimiro, «negli ospedali dove sono stato ricoverato, sia al Cervello che al Villa Sofia di Palermo, mi hanno detto a voce che era stata colpa del vaccino contro il Covid, e la cosa mi aveva sorpreso perché io avevo fatto il vaccino perché pensavo, così, di essere tutelato. Ho subito capito che i medici non sapevano che cosa fare: andavano a tentoni prescrivendomi esami, ma nessuno indagava sulla causa più probabile di quello che mi stava capitando, e questo a detta loro».
È stato così sottoposto a terapie che curavano solo i sintomi, senza tener conto della probabile causa. D’altra parte, nessuno di quei medici che davano la colpa al vaccino si è preso poi la briga di segnalare la sospetta correlazione alla farmacovigilanza dell’Aifa, e l’uomo per farlo ha dovuto rivolgersi a un’associazione. Fatto sta che ora, dopo tre anni di sofferenze, Zarbo ha avuto una diagnosi ufficiale: «Mielomeningoencefalopatia post vaccinale», certificata da parte di due neurologi ospedalieri, uno di Villa Sofia di Palermo e l’altro del Vesta di Milano. Ciononostante, i protocolli di cura del Servizio sanitario nazionale continuano a non voler riconoscere questa sua malattia «post vaccinale»: all’uomo infatti è stata rifiutata di recente, dal Cup di Palermo, una ricetta del suo medico di base che gli ha prescritto, su indicazione di uno specialista affinché non peggiori, una terapia di purificazione del sangue con la diagnosi di «intossicazione da farmaco». Il medico di base ha inteso, per intossicazione da farmaco, un’intossicazione dal vaccino anti Covid, ma questa per il nostro Sistema sanitario nazionale non esiste.
Eppure si tratta dell’«intossicazione», genericamente parlando, che ha colpito in vari modi tante persone, provocata, «come è stato documentato scientificamente già dal 2021, dal fatto che l’Rna messaggero dei vaccini ha la capacità di entrare in circolo nell’organismo e dunque stimolare la produzione della proteina spike in tutti gli organi, non solo nel pressi del muscolo del braccio su cui veniva fatta la puntura come era stato raccontato». «Ciò ha provocato infiammazioni e disfunzioni al sistema immunitario», spiega ancora il professor Ciro Isidoro, alla luce di evidenze scientifiche che però le nostre autorità sanitarie continuano a ignorare.
Così, a gente come Vladimiro Zarbo anche le cure prescritte dal medico di base per i danni generati dal vaccino vengono negate. Non rientrano, hanno scritto dal Cup, tra le prestazioni prenotandoli con quel tipo di diagnosi. «Volevo anche aggiungere che dopo aver recuperato in parte la vista mi è rimasto tuttavia un occhio totalmente strabico come conseguenza di quello che mi è successo tre anni fa, ed è da un anno che sono in attesa per l’intervento chirurgico, per via dei tempi delle liste d’attesa», racconta ancora Vladimiro, che si è fidato dello Stato.
Boom di ragazzi sotto psicofarmaci
«Nella fascia 15‐-24 anni cresce la quota di consumo dei farmaci appartenenti all’Atc N‐-Sistema nervoso centrale, in particolar modo nelle femmine», segnala il rapporto OsMed 2024 sull’uso dei medicinali in Italia, realizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e presentato a Roma. Se in generale, nel corso del 2024, circa 4,6 milioni di bambini e adolescenti hanno ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica, pari al 50,9% della popolazione pediatrica italiana con una prevalenza leggermente superiore nei maschi rispetto alle femmine (51,9% contro 49,9%), è significativo l’aumento di antipsicotici, antidepressivi e farmaci per l’Adhd, il disturbo da deficit di attenzione con iperattività. Tra i farmaci maggiormente prescritti agli under 18, quelli per il sistema nervoso centrale occupano il quarto posto, con una prevalenza di 13,4 per 1.000 bambini e un consumo di 184,7 confezioni per 1.000 bambini, in aumento rispetto all’anno precedente (+4,1%). Un minorenne su 175 (0,57%) ne ha fatto uso nel 2024, otto anni fa la percentuale era dello 0,26%. Nella fascia 12-‐17 anni si registra un consumo di 129,1 confezioni per 1.000 e una prevalenza dell’1,17%.Il metilfenidato, utilizzato nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione, sale al ventisettesimo posto tra i farmaci a maggior consumo nella popolazione pediatrica, risalendo di ben tre posizioni rispetto al ranking osservato nel 2023. Tra i farmaci più prescritti c’è anche la sertralina, con 9,8 confezioni per 1.000 bambini, un antidepressivo autorizzato per il trattamento del disturbo ossessivo‐-compulsivo nei bambini e adolescenti di età compresa tra 6 e 17 anni. Come per il 2023, anche nel 2024 il metilfenidato, psicostimolante che migliora la disattenzione e l’iperattività aumentando la concentrazione del piccolo paziente, e il risperidone (antipsicotico atipico) e l’aripiprazolo, che aiutano in casi di iperattività, aggressività, nei comportamenti poco sociali e per trattare l’irritabilità nei pazienti con autismo, si confermano i principi attivi con gli incrementi maggiori dei consumi rispetto all’anno precedente (rispettivamente +28,8%, +14,3% e +10,4%). Per metilfenidato e risperidone, principi attivi con una prevalenza d’uso pari a 1,3 per 1.000 bambini, «si segnalano livelli di utilizzo superiori nei maschi rispetto alle femmine», si legge nel rapporto. I giovanissimi stanno senza dubbio pagando anche gli effetti della gestione della pandemia, manifestando un disagio che può diventare disturbo mentale (la percentuale di pazienti pediatrici sotto psicofarmaci è raddoppiata dal 2020) . «Il lockdown ha colpito tanti bambini e giovani, sono stati privati della socialità in una fase in cui invece è centrale. Noi son sappiamo quali saranno nel futuro gli effetti sulla loro salute mentale, sappiamo che il disagio giovanile c’è, è un problema serio e va affrontato dalla collettività», dichiara il professor Giampaolo Perna, psichiatra, super esperto di disturbi d’ansia, direttore dell’area salute mentale del ramo Ets della Congregazione delle Suore ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù. «Arrivare a curare questi bambini e adolescenti vuol dire che non abbiamo fatto un buon lavoro di prevenzione», puntualizza l’esperto. «I giovani devono essere al centro dell’attenzione. Si prevede che nel 2050 il picco di pazienti con disturbi d’ansia - che includono panico, fobie - possa essere addirittura tra i 15 e i 19 anni. C’è un abbassamento dell’età di esordio, i dati ci dicono che sarà un problema importante del prossimo futuro». Conclude il professore: «Questi giovani vanno gestiti beni, con la psicoterapia tendenzialmente cognitiva comportamentale o con la terapia farmacologica, ma dopo una diagnosi corretta: non vanno dati farmaci a caso. La fase diagnostica è fondamentale. L’utilizzo delle benzodiazepine e degli antipsicotici nei giovanissimi deve essere fatto con grande attenzione».
Dopo l’alert dell’Oms del 5 gennaio 2020 il nostro Paese «si sarebbe dovuto muovere verso un livello più elevato di allerta e di attenzione, predisponendosi in maniera chiara», anche cercando informazioni provenienti «dalla sorveglianza territoriale […] Il mese di febbraio si poteva utilizzare in maniera diversa». Nuove informazioni sui ritardi nel predisporre la riposta a un virus che già era entrato in Italia arrivano dall’audizione dello scorso 22 luglio del dottor Ranieri Guerra, già direttore generale aggiunto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nonché componente del Comitato tecnico scientifico (Cts). Intervento desecretato e di cui La Verità è in grado di fornire alcuni dei passaggi più rilevanti.
«Il 27 gennaio 2020 partecipo a una riunione della task force del ministero della Salute su invito del ministro (allora era Roberto Speranza, ndr) […] Raccomandai in quell’occasione al ministro anche di recuperare tutti i materiali, Dpi e mascherine disponibili in giro per il mondo, perché avevo notato, viaggiando molto purtroppo, come tedeschi e francesi si stessero già attivando in quel senso», precisa Guerra. Sappiamo invece con quanta lentezza e approssimazione ci si mosse.
Secondo evidenze scientifiche, il Sars-Cov 2 circolava già da settembre-ottobre del 2019 in Italia. «Ci sono dei reperti di biopsie, compiute ai primi di settembre a Milano da parte dell’Istituto tumori […] con delle tracce virali, ma soprattutto ci sono i prelievi che l’Istituto superiore di sanità compì su una campionatura di acque reflue a Milano, a Torino e a Bologna, a partire dalla metà di dicembre del 2019, con presenza di tracce massicce del virus già allora», rivela l’esperto.
«Avremmo dovuto realizzare un sistema di sorveglianza sulle acque reflue in tutte le Regioni, in tutti i plessi scolastici, in tutte le stazioni ferroviarie, in tutti gli aeroporti, in modo tale da intercettare in maniera tempestiva l’ingresso del virus e dare una definizione quantitativa dell’incidenza e della prevalenza del virus nella popolazione afferente», sostiene Guerra.
Sulla effettiva competenza del Cts ha dei dubbi in quanto mancavano «un rappresentante dell’Associazione italiana di epidemiologia e uno statistico competente […] questa è una carenza seria perché non garantiva il dibattito interno su quali fossero i numeri veri, quelli che ci si poteva aspettare, o i numeri che bisognava andare a investigare e identificare».
Però abbiamo scoperto che l’Oms poteva contare su un ex premier, il dem Massimo D’Alema. «Era un punto di consulenza per quanto riguardava l’evoluzione verso il G7 e il G20 per riportare all’interno del dibattito una serie di questioni che riguardavano la vaccinologia, la produzione decentrata di presidi», ha chiarito Guerra, spiegando che non era una scelta politica, «ho cercato di consultarmi praticamente con tutti». Baffino pure nelle vesti di «esperto di vaccinologia» come l’ha definito Galeazzo Bignami, capogruppo di Fdi alla Camera.
Tornando alle misure non adottate, almeno due cose erano da impostare e realizzare subito dopo l’alert. «In primo luogo, un rafforzamento della catena logistica di supply, ossia tutto quello che riguarda l’immagazzinamento di dispositivi e altro», dal momento che la segnalazione riguardava una patologia a trasmissione respiratoria. E la verifica «avrebbe dovuto riguardare la catena operativa, ossia il livello di preparazione delle Regioni e delle singole aziende sanitarie e ospedaliere», così pure «l’allerta della medicina di base, che è sempre la grande assente in tutte queste vicende».
Un’ordinanza dell’allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli prevedeva di attivare una sorveglianza epidemiologica, una sorveglianza microbiologica e una sorveglianza clinica ma quest’ultima rimase disattesa con pesanti conseguenze in quanto la mancanza dei relativi dati non permetteva di trovare una cura, o un insieme di cure utili alla guarigione.
«Non era stata fatta, perché non c’era un’unica piattaforma su cui riversare le cartelle cliniche per strutturare una sorveglianza di livello nazionale», fa sapere Guerra. «Noi proponemmo come Oms la messa a disposizione di una piattaforma per la raccolta e la sorveglianza clinica che avevamo sviluppato e che era già in utilizzo in Gran Bretagna in quel momento […] Non se ne fece nulla».
I documenti dimostrano come Brusaferro, Miozzo e Urbani non avessero letto il piano pandemico 2006 non aggiornato prima di maggio o giugno, nonostante ne avessero ricevuto una copia a febbraio del 2020 e «anche i piani regionali che derivano dal piano 2006 nessuno ha pensato di attivarli», segnala l’esperto.
Guerra parla anche di Piano nazionale di difesa che riguarda attacchi di natura biologica, nucleare, chimica e fisica: «È un piano segreto, che prevede l’attivazione delle prefetture nel caso di una emergenza o di una calamità. Non credo che sia mai stato attivato, ma mi lascia molto perplesso che nessuno ne abbia mai parlato e non sia mai stato discusso».
L’audizione è stata occasione per ricordare la vergognosa questione degli anticorpi monoclonali, offerti gratuitamente a Speranza, a Ippolito e al direttore generale dell’epoca dell’Aifa, Nicola Magrini e rifiutati. Furono acquistati mesi dopo «però non servivano a nulla, visto che la variante emersa nel gennaio 2021 non rispondeva a quel presidio». Guerra ha svelato pure l’offerta snobbata dall’Italia di un ventilatore meccanico innovativo, che il fisico italiano Cristiano Galbiati stava assemblando all’università di Princeton.
«L’offrì pro bono all’Italia data la crisi in atto. Io ho trasmesso l’intera corrispondenza per competenza (sono nove email in tutto) al direttore Borrelli e al commissario Arcuri». Nemmeno si degnarono di rispondere e «la donazione venne eseguita a favore dei Paesi in via di sviluppo».
«Una vergogna», commentano Marco Lisei e Alice Buonguerrieri di Fdi, rispettivamente presidente e capogruppo in commissione d’inchiesta. «Mentre il governo Conte II spendeva ingenti somme di soldi pubblici per acquistare inutili banchi a rotelle, rifiutava offerte gratuita di strumento rivelatisi molto utile».
L’opera del medico «ha per fine l’interesse del paziente», evidenzia la Federazione nazionale medici chirurgici e odontoiatri (Fnomceo), nel commentario al primo articolo del Codice deontologico che stabilisce come «il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa».
Roberto Burioni sembra fare carta straccia di questi principi e regole. Nega la sofferenza di persone che stanno male anche in modo grave dopo la vaccinazione Covid, ostinandosi a rifiutare le conclusioni scientifiche a cui sono giunti studi internazionali con fior fiore di scienziati che nemmeno sanno chi sia il divulgatore habitué dell’acquario di Fabio Fazio.
Inoltre, calpesta il dettame deontologico di decoro e dignità della professione, perdendosi in lazzi e insulti sui social. Anche ieri, il professore si ostinava a postare su X: «Gli effetti avversi del vaccino a mRna contro il Covid (fatto salvo rarissime miocarditi quasi sempre lievi) NON ESISTONO. L’incidenza della mortalità e di qualunque malattia non è stata diversa nei vaccinati e nei non vaccinati». Burioni, dunque, dà dell’immaginario (o ciarlatano) anche al ministro della Salute, che ha promesso una commissione di studio a riguardo. Quando dichiarò «Credo che si potrebbe fare serenamente, cercando di capire la dimensione e tipologia degli effetti avversi che si sono verificati», Orazio Schillaci forse stava dando peso a questioni inesistenti? O ha capito che vanno date risposte, soluzioni a troppi danneggiati? Pazienza se la bozza della futura commissione ingiallisce in qualche cassetto di Lungotevere Ripa, ma di certo al ministero hanno smesso di negare l’evidenza come fa invece la virostar.
L’odiatore dei no vax, dei «sorci» ai quali non può più offrire un abbonamento Netflix mentre sono «agli arresti domiciliari» e non dispongono del green pass, non smette di alimentare disprezzo e rancore verso chi ha fatto scelte pagandone le conseguenze sul piano lavorativo e sociale. Il culto per il dio vaccino aizza il virologo, gli toglie credibilità. A distanza di anni va ripetendosi, incurante che l’emergenza sanitaria sia conclusa e pesino non pochi interrogativi sugli effetti delle vaccinazioni di massa.
Vittime del suo odio sono diventati i danneggiati. Imbarazzanti, nella sofferenza che il professore non riesce a spiegare. Meglio ostinarsi a dire che sono malati immaginari. Quelli morti per vaccino, avranno avuto altre patologie, che diamine. «La Terra è sferica, la benzina è infiammabile e il vaccino Covid sicurissimo. Queste tre affermazioni non sono delle mie opinioni personali, sono dei dati di fatto. Il confutarle come se fossero opinioni non le falsifica, ma dimostra la somaraggine del confutatore», posta con il consueto decoro.
Mai un dato di fatto «oggettivo» (aggettivo che ama molto), a supporto delle sue affermazioni, mai l’umiltà di ammettere un dubbio, un ripensamento alla luce di studi che spiazzano certezze approssimative. La violenza del linguaggio, il sarcasmo, l’offesa trasformano le sue «pillole di sapere» in pallettoni sparati via social. Colpiscono, rimbalzano, si perdono.
Il professore dalle scarpe tirate a specchio (le esibisce sempre) è rimasto piccato che abbiamo messo in dubbio la sua credibilità ed eleganza. «È come se io dicessi a Sinner “quel tipo con il cappellino che rimanda la pallina ad Alcaraz crede di saper giocare a tennis?”», postava ieri. «Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità».





