2025-07-27
Cause per danni climatici. La Cassazione legalizza estorsioni green alle aziende
Il verdetto sull’Eni costringerà le imprese non solo a conformarsi alle leggi (giusto), ma pure a schermirsi da azioni giudiziarie confuse, con esiti potenzialmente onerosi.Presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione È stata data notizia, sulla Verità del 23 luglio scorso, della recentissima sentenza n. 20381/2025 con la quale la Corte di Cassazione ha dato via libera all’azione promossa da alcune associazioni ambientaliste, oltre che da un certo numero di privati cittadini, nei confronti dell’Eni, del ministero dell’Economia e delle finanze e della Cassa depositi e prestiti, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al preteso inadempimento degli obblighi previsti dalle convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito, ai fini della lotta ai mutamenti climatici di ritenuta origine antropica. Ciò non significa, naturalmente - come è stato pure precisato dalla Verità - che quell’azione sia da ritenere, a priori, fondata, ma soltanto che essa può essere promossa davanti agli organi della giurisdizione ordinaria (nella specie, in Tribunale civile di Roma) che poi decideranno nel merito. Ma qual è la decisione che, in concreto, ci si potrebbe aspettare? Per rispondere a tale domanda occorre rifarsi alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 9 aprile 2024, espressamente richiamata in quella della Cassazione, con la quale la Svizzera venne condannata al pagamento di una «equa riparazione» in favore di un’associazione ambientalista che, avendo promosso anch’essa un’azione risarcitoria nei confronti delle autorità di quel Paese, se l’era vista dichiarare inammissibile. Alla luce di tale pronuncia è, quindi, prevedibile che il Tribunale di Roma, se e in quanto ritenesse sussistenti le asserite inadempienze addebitate agli enti citati in giudizio, condannerebbe questi ultimi al risarcimento dei danni, solo e necessariamente non patrimoniali, a favore delle associazioni ambientaliste. Ciò sulla scorta, del resto, dei numerosi precedenti giurisprudenziali che, a fronte di violazioni, da parte di enti pubblici o di privati, di norme in materia, ad esempio, di ambiente, sicurezza sul lavoro, diritti umani e altro, hanno riconosciuto la risarcibilità dei danni non patrimoniali che ne sarebbero derivati all’«immagine» o alla «reputazione» di organismi associativi della più varia natura, anche non ufficialmente riconosciuti, che avevano come loro fine statutario la salvaguardia dei beni, materiali e immateriali, a tutela dei quali quelle norme erano state poste. Tale indirizzo giurisprudenziale è, però, il frutto di un radicale stravolgimento di principi giuridici che, fino a non molti decenni or sono, erano considerati del tutto pacifici. Si è cominciato con l’affermare che il tuttora vigente articolo 2059 del Codice civile, secondo il quale il danno non patrimoniale (detto anche, comunemente, «danno morale», pur non essendo, i due concetti, del tutto coincidenti) è risarcibile «solo nei casi determinati dalla legge», andava interpretato nel senso che, anche in mancanza di una espressa previsione di legge, la risarcibilità fosse riconoscibile quando si lamentasse un danno derivante dalla lesione di diritti che trovassero il loro fondamento nella Costituzione, alla sola condizione che esso fosse di una certa consistenza. Con il che si apriva la strada ad un pressoché totale arbitrio da parte di ogni singolo giudice, dal momento che, a parte l’inesistenza di criteri oggettivi sulla base dei quali stabilire quale debba essere quella consistenza, ben difficilmente, nell’ ordinamento italiano, possono configurarsi diritti che, direttamente o indirettamente, non siano riconducibili a norme o principi presenti nella Costituzione. Si è, in tal modo, sostanzialmente vanificata la summenzionata norma di legge giungendosi ad ammettere, ad esempio, la risarcibilità, come danno non patrimoniale, di quello derivante da «vacanza rovinata» (Cass. n. 26142/2023) o da un grave ritardo ferroviario accompagnato da mancata assistenza ai passeggeri (Cass. n. 28244/2023). Ulteriore, fondamentale passaggio è stato poi quello che ha portato al superamento del tradizionale principio secondo cui il danno non patrimoniale, in quanto costituente compenso della sofferenza fisica o psichica derivante dall’avvenuta lesione di un proprio diritto (il cosiddetto praetium doloris), potesse essere riconosciuto soltanto in favore di una persona fisica, dal momento che, ovviamente, essa sola può avvertire quella sofferenza. E si è, quindi, riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale anche in favore di persone giuridiche e organismi associativi in genere, purché adeguatamente rappresentativi e radicati sul territorio, sostituendosi alla impossibile condizione della sofferenza fisica o psichica quella consistente nel presunto scadimento, per effetto dell’altrui condotta lesiva delle finalità da essi perseguite, della loro considerazione nella pubblica opinione. Non dovrebbe essere difficile rendersi conto di come, in tal modo, la magistratura abbia grandemente ampliato la sfera dei propri poteri, portandola a comprendere anche quello di individuare, a sua insindacabile discrezione, tanto i fatti cui attribuire rilevanza ai fini risarcitori quanto i soggetti cui il risarcimento vada destinato. Il che si traduce in un pesante, preventivo condizionamento di quanti, uomini politici, pubblici amministratori, manager di grandi imprese, si vedono costretti, nel compiere le loro scelte, a preoccuparsi non solo (come sarebbe ovvio) che le stesse siano presumibilmente conformi a legge ma anche che non siano comunque tali da dar luogo al pericolo di azioni giudiziarie dal cui esito, difficilmente prevedibile, possano loro derivare obblighi risarcitori, non di rado assai gravosi. E si traduce anche nella possibilità offerta agli organismi associativi in favore dei quali vengono disposti i risarcimenti, di realizzare quelle che, a ben vedere, altro non possono essere ritenute, il più delle volte, se non una sorta di estorsioni legalizzate, essendo ben difficile che la pretesa lesione della loro immagine o reputazione possa fondarsi su prove che non siano, in realtà, altro che mere e gratuite presunzioni, come tali del tutto prive di valore. Per porre rimedio a tutto ciò altro, in teoria, non vi sarebbe da fare se non imporre il ritorno all’osservanza degli originali e tradizionali principi in materia di danno non patrimoniale, emanando un’apposita legge e avendo altresì cura di adottare, nel contempo, le altre possibili iniziative (si veda, per quanto valga, il precedente articolo a firma di chi scrive sulla Verità del 5 luglio scorso) volte a ricondurre anche la Corte costituzionale entro i limiti propri della sua funzione, onde impedire che quella legge, alla prima occasione utile, venga dichiarata, con un qualsiasi pretesto, incostituzionale. Ma dove trovare la determinazione e il coraggio che, a tal fine, sarebbero necessari?
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