2025-10-30
L’islam conquista oratori e cimiteri
Crescono le aree di sepoltura «esclusive». E la Chiesa di Milano invita gli oratori ad accettare animatori di fede maomettana.E adesso in università arriva la prima moschea per studenti. L’iniziativa nell’ateneo pubblico di Catanzaro. La Lega: «Precedente pericoloso».Lo speciale contiene due articoli.Se serviva una prova ulteriore di quanto sia molle il ventre molle del nostro Paese, quando si parla di islam, è bene sapere che nei cimiteri pubblici di tutta Italia, dove la sepoltura è diventata un lusso e anche i prezzi dei loculi sono proibitivi, stanno nascendo, sempre più numerose, le aree riservate alla sepoltura esclusiva dei musulmani. Una sorta di «aree Vip», dove sono garantite metrature adeguate, accesso riservato e, soprattutto, una separazione netta da chi musulmano non è. Non importa se dal Piemonte alla Sicilia lo spazio per inumare i nostri morti sta diventando un problema. Se i fedeli dell’islam ritengono che seppellire i parenti lontano dagli infedeli sia un «sacrosanto diritto», chi dice di no «è un razzista». Perciò, mentre quasi il 40% degli italiani - per risparmiare centimetri - sceglie la cremazione dei propri cari, il numero delle zone esclusive continua a salire, nelle città come nei paesini.Foggia, Albenga, Acqui Terme, Terni, Belluno, sono alcuni dei Comuni che, solo negli ultimi mesi si sono dedicati alla questione. L’Ucoii pubblica un elenco ufficiale di 760 cimiteri islamici, ma il censimento è fermo al 2013 e, considerato che l’impennata di questo trend risale all’epoca Covid, ad oggi il numero è, certamente, più alto.In ogni caso l’impegno è gravoso e non si tratta di trovare qualche metro qua e là. Gli spazi esclusivi devono essere «completamente dedicati», «chiaramente segnalati», abbastanza grandi da permettere la sepoltura delle salme con il capo rivolto verso La Mecca e, comunque, tali da garantire ai numerosi visitatori di raccogliersi in preghiera quando occorre. Accettata, invece, l’idea di utilizzare le bare a protezione dei resti. Fatto per nulla scontato, considerato che il rito musulmano, se applicato alla lettera, prevederebbe la sepoltura del corpo a contatto con la terra, avvolto in un telo bianco.Il caso più recente è quello di Bovolone, 16.000 abitanti in provincia di Verona. Il sindaco, Orfeo Pozzani, ha deciso di dedicare un’intera nuova ala del cimitero cittadino alla sepoltura delle persone di «fede non cattolica». Nei fatti «uno spazio che sarà appannaggio degli islamici», ha protestato Matteo Pressi, candidato consigliere regionale per la Lega in Veneto, sottolineando come «le risorse pubbliche dovrebbero essere destinate a priorità più importanti». Tuttavia, a chiederlo è stata la comunità musulmana e secondo il sindaco «l’amministrazione non può rifiutarsi poiché c’è una norma nazionale al riguardo».Ma davvero esiste un obbligo per i Comuni? Il riferimento è il decreto 285 del 1990, che all’articolo 100 spiega: «I piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico» e «alle comunità straniere può essere data dal sindaco in concessione un’area adeguata nel cimitero». «Possono» e «può», recita il testo e, dunque, non esiste alcun obbligo. La facoltà di scelta è lasciata in capo ai sindaci, ma siccome l’islam non ha sottoscritto intese con lo Stato italiano né esiste una norma che definisca gli estremi della questione, molti primi cittadini - senza distinzione di colore politico - finiscono per adeguarsi alle richieste delle comunità islamiche locali.A Lecco, per esempio, di queste aree riservate ne sta nascendo una piuttosto importante: alcune centinaia di metri quadrati nel cimitero del quartiere Castello «per garantire l’inumazione individuale dei defunti» e «il corretto orientamento della salma», caratteristiche «non conciliabili con l’organizzazione ordinaria dei cimiteri cittadini», dove prevale la razionalizzazione degli spazi. L’area riservata, in questo caso, sarà costruita e finanziata interamente dall’associazione Eden - gestita da un referente della comunità islamica locale - che pare aver stabilito con l’amministrazione anche un protocollo operativo per la gestione.Su questa falsa riga Bergamo, nel 2019, aveva stipulato una convenzione con il Centro Culturale Islamico locale che, oltre a beneficiare dell’area esclusiva, aveva preteso (e ottenuto) di essere riconosciuto ufficialmente dal Comune come «ente certificatore» degli aspiranti seppellendi, in modo da poter ammettere o vietare, a piacimento, l’accesso in quell’area a seconda del grado di islamizzazione dei defunti. A seguito del ricorso di alcune famiglie musulmane, la clausola è poi stata dichiarata illegittima dal Tar di Brescia.Ma se la legge italiana non prevede obblighi, cosa dice il Corano a proposito delle sepolture?La cremazione è certamente proibita ma, come riportato in un articolo di Carlo De Angelo, ricercatore dell’Università di Napoli, mentre le interpretazioni più stringenti della Fatāwā vietano «il seppellimento dei musulmani nei cimiteri non islamici», il Consiglio Europeo per le Fatāwā e le Ricerche (Ecfr), che dal 1997 si occupa di calare nella realtà i dettami dell’Islam, sostiene che possono «essere seppelliti ovunque, anche in uno spazio comune in un cimitero non islamico». Quindi anche le comunità musulmane possono scegliere cosa pretendere. A proposito di scelte: pochi giorni fa la Chiesa di Milano ha pubblicato un vademecum dal titolo «L’oratorio come luogo di incontro interreligioso». Il documento prende atto che «numerose famiglie islamiche lasciano i loro figli in oratorio» e, rivolgendosi alle parrocchie, aggiunge un fondamentale precetto: «Accettare i musulmani nel ruolo di animatori» evitando di «obbligarli a partecipare a momenti propri della tradizione cristiana».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/islam-conquista-oratori-e-cimiteri-2674250074.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-adesso-in-universita-arriva-la-prima-moschea-per-studenti" data-post-id="2674250074" data-published-at="1761827391" data-use-pagination="False"> E adesso in università arriva la prima moschea per studenti A Catanzaro, tra microscopi e camici bianchi, è arrivato il tappeto da preghiera. All’interno del Policlinico dell’Università Magna Graecia è stato inaugurato il primo spazio per il culto islamico in un ateneo pubblico italiano. Un luogo, spiegano dal rettorato, «di raccoglimento e dialogo», ma che ha subito scatenato una polemica destinata ad andare ben oltre i confini calabresi.L’area, realizzata all’interno dell’Edificio delle Bioscienze, sarà gestita dall’associazione Dar Assalam ODV e destinata agli studenti, al personale e ai pazienti di fede musulmana. Potrà ospitare le cinque preghiere quotidiane, il sermone del venerdì e le principali festività islamiche, l’Eid al-Fitr e l’Eid al-Adha. Un gesto che, secondo il rettore Giovanni Cuda, «nasce da un bisogno reale e profondamente sentito all’interno dell’università» e risponde «al principio costituzionale della libertà religiosa». Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti rappresentanti dell’associazione islamica, dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, dell’Amministrazione comunale e della Polizia di Stato. Tutto, almeno in apparenza, nel segno del dialogo interreligioso.Ma il segnale ha diviso. E non poco. Il deputato leghista Rossano Sasso, capogruppo in Commissione Cultura alla Camera, ha annunciato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Università Anna Maria Bernini, definendo l’iniziativa «un pericoloso passo verso l’islamizzazione della società». «L’università», ha dichiarato, «destina metri quadrati al sermone del venerdì dell’imam e alle sue cinque preghiere quotidiane anziché migliorare l’offerta formativa e offrire maggiori servizi agli studenti italiani».Il punto, per Sasso, non è solo logistico ma culturale. «Davvero siamo disposti», ha aggiunto, «a cedere la nostra identità, in un ambiente simbolo di libertà, sviluppo e ricerca, per dare spazio a una religione che in molti suoi aspetti contrasta con i nostri principi?». Una domanda che pesa, e che risuona in un’Italia dove la parola «integrazione» rischia spesso di tradursi in «rinuncia».Il rettore Cuda respinge le accuse. In una nota ha ribadito che lo spazio «non è utilizzato per attività didattiche, è di piccole dimensioni e non comporta alcuna spesa aggiuntiva per l’ateneo». Al contrario, sostiene, «rappresenta un gesto di inclusione, di pace e di rispetto reciproco». L’obiettivo, ha spiegato, è quello di «offrire un punto di raccoglimento per chi ne sente il bisogno, in coerenza con la vocazione culturale e pluralista dell’università».La decisione arriva in un momento delicato, in cui la convivenza tra culture e religioni diverse si misura ogni giorno con tensioni e contraddizioni. In nome dell’inclusione, il rischio è di trasformare la neutralità dello Stato in un terreno di conquista identitaria. E se da un lato c’è chi parla di «dialogo», dall’altro cresce il timore che si stia scivolando verso una progressiva normalizzazione di simboli e rituali religiosi all’interno di spazi pubblici. La domanda, a questo punto, è politica ma anche culturale: dove finisce il diritto alla libertà religiosa e dove inizia la necessità di difendere l’identità di un Paese fondato su radici, valori e tradizioni che non possono essere cancellati in nome del relativismo?Catanzaro diventa così un laboratorio del nuovo equilibrio tra fede e istituzioni, tra diritti individuali e tenuta collettiva. Un piccolo spazio di preghiera, certo. Ma anche un grande interrogativo per l’Italia di oggi: quella che, mentre invoca il dialogo, sembra dimenticare che il rispetto non può mai tradursi in sottomissione.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
Continua a leggereRiduci
Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)