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2025-10-30
L’islam conquista oratori e cimiteri
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Se serviva una prova ulteriore di quanto sia molle il ventre molle del nostro Paese, quando si parla di islam, è bene sapere che nei cimiteri pubblici di tutta Italia, dove la sepoltura è diventata un lusso e anche i prezzi dei loculi sono proibitivi, stanno nascendo, sempre più numerose, le aree riservate alla sepoltura esclusiva dei musulmani. Una sorta di «aree Vip», dove sono garantite metrature adeguate, accesso riservato e, soprattutto, una separazione netta da chi musulmano non è. Non importa se dal Piemonte alla Sicilia lo spazio per inumare i nostri morti sta diventando un problema. Se i fedeli dell’islam ritengono che seppellire i parenti lontano dagli infedeli sia un «sacrosanto diritto», chi dice di no «è un razzista». Perciò, mentre quasi il 40% degli italiani - per risparmiare centimetri - sceglie la cremazione dei propri cari, il numero delle zone esclusive continua a salire, nelle città come nei paesini.
Foggia, Albenga, Acqui Terme, Terni, Belluno, sono alcuni dei Comuni che, solo negli ultimi mesi si sono dedicati alla questione. L’Ucoii pubblica un elenco ufficiale di 760 cimiteri islamici, ma il censimento è fermo al 2013 e, considerato che l’impennata di questo trend risale all’epoca Covid, ad oggi il numero è, certamente, più alto.
In ogni caso l’impegno è gravoso e non si tratta di trovare qualche metro qua e là. Gli spazi esclusivi devono essere «completamente dedicati», «chiaramente segnalati», abbastanza grandi da permettere la sepoltura delle salme con il capo rivolto verso La Mecca e, comunque, tali da garantire ai numerosi visitatori di raccogliersi in preghiera quando occorre. Accettata, invece, l’idea di utilizzare le bare a protezione dei resti. Fatto per nulla scontato, considerato che il rito musulmano, se applicato alla lettera, prevederebbe la sepoltura del corpo a contatto con la terra, avvolto in un telo bianco.
Il caso più recente è quello di Bovolone, 16.000 abitanti in provincia di Verona. Il sindaco, Orfeo Pozzani, ha deciso di dedicare un’intera nuova ala del cimitero cittadino alla sepoltura delle persone di «fede non cattolica». Nei fatti «uno spazio che sarà appannaggio degli islamici», ha protestato Matteo Pressi, candidato consigliere regionale per la Lega in Veneto, sottolineando come «le risorse pubbliche dovrebbero essere destinate a priorità più importanti». Tuttavia, a chiederlo è stata la comunità musulmana e secondo il sindaco «l’amministrazione non può rifiutarsi poiché c’è una norma nazionale al riguardo».
Ma davvero esiste un obbligo per i Comuni? Il riferimento è il decreto 285 del 1990, che all’articolo 100 spiega: «I piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico» e «alle comunità straniere può essere data dal sindaco in concessione un’area adeguata nel cimitero». «Possono» e «può», recita il testo e, dunque, non esiste alcun obbligo.
La facoltà di scelta è lasciata in capo ai sindaci, ma siccome l’islam non ha sottoscritto intese con lo Stato italiano né esiste una norma che definisca gli estremi della questione, molti primi cittadini - senza distinzione di colore politico - finiscono per adeguarsi alle richieste delle comunità islamiche locali.
A Lecco, per esempio, di queste aree riservate ne sta nascendo una piuttosto importante: alcune centinaia di metri quadrati nel cimitero del quartiere Castello «per garantire l’inumazione individuale dei defunti» e «il corretto orientamento della salma», caratteristiche «non conciliabili con l’organizzazione ordinaria dei cimiteri cittadini», dove prevale la razionalizzazione degli spazi. L’area riservata, in questo caso, sarà costruita e finanziata interamente dall’associazione Eden - gestita da un referente della comunità islamica locale - che pare aver stabilito con l’amministrazione anche un protocollo operativo per la gestione.
Su questa falsa riga Bergamo, nel 2019, aveva stipulato una convenzione con il Centro Culturale Islamico locale che, oltre a beneficiare dell’area esclusiva, aveva preteso (e ottenuto) di essere riconosciuto ufficialmente dal Comune come «ente certificatore» degli aspiranti seppellendi, in modo da poter ammettere o vietare, a piacimento, l’accesso in quell’area a seconda del grado di islamizzazione dei defunti. A seguito del ricorso di alcune famiglie musulmane, la clausola è poi stata dichiarata illegittima dal Tar di Brescia.
Ma se la legge italiana non prevede obblighi, cosa dice il Corano a proposito delle sepolture?
La cremazione è certamente proibita ma, come riportato in un articolo di Carlo De Angelo, ricercatore dell’Università di Napoli, mentre le interpretazioni più stringenti della Fatāwā vietano «il seppellimento dei musulmani nei cimiteri non islamici», il Consiglio Europeo per le Fatāwā e le Ricerche (Ecfr), che dal 1997 si occupa di calare nella realtà i dettami dell’Islam, sostiene che possono «essere seppelliti ovunque, anche in uno spazio comune in un cimitero non islamico». Quindi anche le comunità musulmane possono scegliere cosa pretendere. A proposito di scelte: pochi giorni fa la Chiesa di Milano ha pubblicato un vademecum dal titolo «L’oratorio come luogo di incontro interreligioso». Il documento prende atto che «numerose famiglie islamiche lasciano i loro figli in oratorio» e, rivolgendosi alle parrocchie, aggiunge un fondamentale precetto: «Accettare i musulmani nel ruolo di animatori» evitando di «obbligarli a partecipare a momenti propri della tradizione cristiana».
E adesso in università arriva la prima moschea per studenti
A Catanzaro, tra microscopi e camici bianchi, è arrivato il tappeto da preghiera. All’interno del Policlinico dell’Università Magna Graecia è stato inaugurato il primo spazio per il culto islamico in un ateneo pubblico italiano. Un luogo, spiegano dal rettorato, «di raccoglimento e dialogo», ma che ha subito scatenato una polemica destinata ad andare ben oltre i confini calabresi.
L’area, realizzata all’interno dell’Edificio delle Bioscienze, sarà gestita dall’associazione Dar Assalam ODV e destinata agli studenti, al personale e ai pazienti di fede musulmana. Potrà ospitare le cinque preghiere quotidiane, il sermone del venerdì e le principali festività islamiche, l’Eid al-Fitr e l’Eid al-Adha. Un gesto che, secondo il rettore Giovanni Cuda, «nasce da un bisogno reale e profondamente sentito all’interno dell’università» e risponde «al principio costituzionale della libertà religiosa». Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti rappresentanti dell’associazione islamica, dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, dell’Amministrazione comunale e della Polizia di Stato. Tutto, almeno in apparenza, nel segno del dialogo interreligioso.
Ma il segnale ha diviso. E non poco. Il deputato leghista Rossano Sasso, capogruppo in Commissione Cultura alla Camera, ha annunciato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Università Anna Maria Bernini, definendo l’iniziativa «un pericoloso passo verso l’islamizzazione della società». «L’università», ha dichiarato, «destina metri quadrati al sermone del venerdì dell’imam e alle sue cinque preghiere quotidiane anziché migliorare l’offerta formativa e offrire maggiori servizi agli studenti italiani».
Il punto, per Sasso, non è solo logistico ma culturale. «Davvero siamo disposti», ha aggiunto, «a cedere la nostra identità, in un ambiente simbolo di libertà, sviluppo e ricerca, per dare spazio a una religione che in molti suoi aspetti contrasta con i nostri principi?». Una domanda che pesa, e che risuona in un’Italia dove la parola «integrazione» rischia spesso di tradursi in «rinuncia».
Il rettore Cuda respinge le accuse. In una nota ha ribadito che lo spazio «non è utilizzato per attività didattiche, è di piccole dimensioni e non comporta alcuna spesa aggiuntiva per l’ateneo». Al contrario, sostiene, «rappresenta un gesto di inclusione, di pace e di rispetto reciproco». L’obiettivo, ha spiegato, è quello di «offrire un punto di raccoglimento per chi ne sente il bisogno, in coerenza con la vocazione culturale e pluralista dell’università».
La decisione arriva in un momento delicato, in cui la convivenza tra culture e religioni diverse si misura ogni giorno con tensioni e contraddizioni. In nome dell’inclusione, il rischio è di trasformare la neutralità dello Stato in un terreno di conquista identitaria. E se da un lato c’è chi parla di «dialogo», dall’altro cresce il timore che si stia scivolando verso una progressiva normalizzazione di simboli e rituali religiosi all’interno di spazi pubblici. La domanda, a questo punto, è politica ma anche culturale: dove finisce il diritto alla libertà religiosa e dove inizia la necessità di difendere l’identità di un Paese fondato su radici, valori e tradizioni che non possono essere cancellati in nome del relativismo?
Catanzaro diventa così un laboratorio del nuovo equilibrio tra fede e istituzioni, tra diritti individuali e tenuta collettiva. Un piccolo spazio di preghiera, certo. Ma anche un grande interrogativo per l’Italia di oggi: quella che, mentre invoca il dialogo, sembra dimenticare che il rispetto non può mai tradursi in sottomissione.
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Crescono le aree di sepoltura «esclusive». E la Chiesa di Milano invita gli oratori ad accettare animatori di fede maomettana.E adesso in università arriva la prima moschea per studenti. L’iniziativa nell’ateneo pubblico di Catanzaro. La Lega: «Precedente pericoloso».Lo speciale contiene due articoli.Se serviva una prova ulteriore di quanto sia molle il ventre molle del nostro Paese, quando si parla di islam, è bene sapere che nei cimiteri pubblici di tutta Italia, dove la sepoltura è diventata un lusso e anche i prezzi dei loculi sono proibitivi, stanno nascendo, sempre più numerose, le aree riservate alla sepoltura esclusiva dei musulmani. Una sorta di «aree Vip», dove sono garantite metrature adeguate, accesso riservato e, soprattutto, una separazione netta da chi musulmano non è. Non importa se dal Piemonte alla Sicilia lo spazio per inumare i nostri morti sta diventando un problema. Se i fedeli dell’islam ritengono che seppellire i parenti lontano dagli infedeli sia un «sacrosanto diritto», chi dice di no «è un razzista». Perciò, mentre quasi il 40% degli italiani - per risparmiare centimetri - sceglie la cremazione dei propri cari, il numero delle zone esclusive continua a salire, nelle città come nei paesini.Foggia, Albenga, Acqui Terme, Terni, Belluno, sono alcuni dei Comuni che, solo negli ultimi mesi si sono dedicati alla questione. L’Ucoii pubblica un elenco ufficiale di 760 cimiteri islamici, ma il censimento è fermo al 2013 e, considerato che l’impennata di questo trend risale all’epoca Covid, ad oggi il numero è, certamente, più alto.In ogni caso l’impegno è gravoso e non si tratta di trovare qualche metro qua e là. Gli spazi esclusivi devono essere «completamente dedicati», «chiaramente segnalati», abbastanza grandi da permettere la sepoltura delle salme con il capo rivolto verso La Mecca e, comunque, tali da garantire ai numerosi visitatori di raccogliersi in preghiera quando occorre. Accettata, invece, l’idea di utilizzare le bare a protezione dei resti. Fatto per nulla scontato, considerato che il rito musulmano, se applicato alla lettera, prevederebbe la sepoltura del corpo a contatto con la terra, avvolto in un telo bianco.Il caso più recente è quello di Bovolone, 16.000 abitanti in provincia di Verona. Il sindaco, Orfeo Pozzani, ha deciso di dedicare un’intera nuova ala del cimitero cittadino alla sepoltura delle persone di «fede non cattolica». Nei fatti «uno spazio che sarà appannaggio degli islamici», ha protestato Matteo Pressi, candidato consigliere regionale per la Lega in Veneto, sottolineando come «le risorse pubbliche dovrebbero essere destinate a priorità più importanti». Tuttavia, a chiederlo è stata la comunità musulmana e secondo il sindaco «l’amministrazione non può rifiutarsi poiché c’è una norma nazionale al riguardo».Ma davvero esiste un obbligo per i Comuni? Il riferimento è il decreto 285 del 1990, che all’articolo 100 spiega: «I piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico» e «alle comunità straniere può essere data dal sindaco in concessione un’area adeguata nel cimitero». «Possono» e «può», recita il testo e, dunque, non esiste alcun obbligo. La facoltà di scelta è lasciata in capo ai sindaci, ma siccome l’islam non ha sottoscritto intese con lo Stato italiano né esiste una norma che definisca gli estremi della questione, molti primi cittadini - senza distinzione di colore politico - finiscono per adeguarsi alle richieste delle comunità islamiche locali.A Lecco, per esempio, di queste aree riservate ne sta nascendo una piuttosto importante: alcune centinaia di metri quadrati nel cimitero del quartiere Castello «per garantire l’inumazione individuale dei defunti» e «il corretto orientamento della salma», caratteristiche «non conciliabili con l’organizzazione ordinaria dei cimiteri cittadini», dove prevale la razionalizzazione degli spazi. L’area riservata, in questo caso, sarà costruita e finanziata interamente dall’associazione Eden - gestita da un referente della comunità islamica locale - che pare aver stabilito con l’amministrazione anche un protocollo operativo per la gestione.Su questa falsa riga Bergamo, nel 2019, aveva stipulato una convenzione con il Centro Culturale Islamico locale che, oltre a beneficiare dell’area esclusiva, aveva preteso (e ottenuto) di essere riconosciuto ufficialmente dal Comune come «ente certificatore» degli aspiranti seppellendi, in modo da poter ammettere o vietare, a piacimento, l’accesso in quell’area a seconda del grado di islamizzazione dei defunti. A seguito del ricorso di alcune famiglie musulmane, la clausola è poi stata dichiarata illegittima dal Tar di Brescia.Ma se la legge italiana non prevede obblighi, cosa dice il Corano a proposito delle sepolture?La cremazione è certamente proibita ma, come riportato in un articolo di Carlo De Angelo, ricercatore dell’Università di Napoli, mentre le interpretazioni più stringenti della Fatāwā vietano «il seppellimento dei musulmani nei cimiteri non islamici», il Consiglio Europeo per le Fatāwā e le Ricerche (Ecfr), che dal 1997 si occupa di calare nella realtà i dettami dell’Islam, sostiene che possono «essere seppelliti ovunque, anche in uno spazio comune in un cimitero non islamico». Quindi anche le comunità musulmane possono scegliere cosa pretendere. A proposito di scelte: pochi giorni fa la Chiesa di Milano ha pubblicato un vademecum dal titolo «L’oratorio come luogo di incontro interreligioso». Il documento prende atto che «numerose famiglie islamiche lasciano i loro figli in oratorio» e, rivolgendosi alle parrocchie, aggiunge un fondamentale precetto: «Accettare i musulmani nel ruolo di animatori» evitando di «obbligarli a partecipare a momenti propri della tradizione cristiana».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/islam-conquista-oratori-e-cimiteri-2674250074.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-adesso-in-universita-arriva-la-prima-moschea-per-studenti" data-post-id="2674250074" data-published-at="1761827391" data-use-pagination="False"> E adesso in università arriva la prima moschea per studenti A Catanzaro, tra microscopi e camici bianchi, è arrivato il tappeto da preghiera. All’interno del Policlinico dell’Università Magna Graecia è stato inaugurato il primo spazio per il culto islamico in un ateneo pubblico italiano. Un luogo, spiegano dal rettorato, «di raccoglimento e dialogo», ma che ha subito scatenato una polemica destinata ad andare ben oltre i confini calabresi.L’area, realizzata all’interno dell’Edificio delle Bioscienze, sarà gestita dall’associazione Dar Assalam ODV e destinata agli studenti, al personale e ai pazienti di fede musulmana. Potrà ospitare le cinque preghiere quotidiane, il sermone del venerdì e le principali festività islamiche, l’Eid al-Fitr e l’Eid al-Adha. Un gesto che, secondo il rettore Giovanni Cuda, «nasce da un bisogno reale e profondamente sentito all’interno dell’università» e risponde «al principio costituzionale della libertà religiosa». Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti rappresentanti dell’associazione islamica, dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, dell’Amministrazione comunale e della Polizia di Stato. Tutto, almeno in apparenza, nel segno del dialogo interreligioso.Ma il segnale ha diviso. E non poco. Il deputato leghista Rossano Sasso, capogruppo in Commissione Cultura alla Camera, ha annunciato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Università Anna Maria Bernini, definendo l’iniziativa «un pericoloso passo verso l’islamizzazione della società». «L’università», ha dichiarato, «destina metri quadrati al sermone del venerdì dell’imam e alle sue cinque preghiere quotidiane anziché migliorare l’offerta formativa e offrire maggiori servizi agli studenti italiani».Il punto, per Sasso, non è solo logistico ma culturale. «Davvero siamo disposti», ha aggiunto, «a cedere la nostra identità, in un ambiente simbolo di libertà, sviluppo e ricerca, per dare spazio a una religione che in molti suoi aspetti contrasta con i nostri principi?». Una domanda che pesa, e che risuona in un’Italia dove la parola «integrazione» rischia spesso di tradursi in «rinuncia».Il rettore Cuda respinge le accuse. In una nota ha ribadito che lo spazio «non è utilizzato per attività didattiche, è di piccole dimensioni e non comporta alcuna spesa aggiuntiva per l’ateneo». Al contrario, sostiene, «rappresenta un gesto di inclusione, di pace e di rispetto reciproco». L’obiettivo, ha spiegato, è quello di «offrire un punto di raccoglimento per chi ne sente il bisogno, in coerenza con la vocazione culturale e pluralista dell’università».La decisione arriva in un momento delicato, in cui la convivenza tra culture e religioni diverse si misura ogni giorno con tensioni e contraddizioni. In nome dell’inclusione, il rischio è di trasformare la neutralità dello Stato in un terreno di conquista identitaria. E se da un lato c’è chi parla di «dialogo», dall’altro cresce il timore che si stia scivolando verso una progressiva normalizzazione di simboli e rituali religiosi all’interno di spazi pubblici. La domanda, a questo punto, è politica ma anche culturale: dove finisce il diritto alla libertà religiosa e dove inizia la necessità di difendere l’identità di un Paese fondato su radici, valori e tradizioni che non possono essere cancellati in nome del relativismo?Catanzaro diventa così un laboratorio del nuovo equilibrio tra fede e istituzioni, tra diritti individuali e tenuta collettiva. Un piccolo spazio di preghiera, certo. Ma anche un grande interrogativo per l’Italia di oggi: quella che, mentre invoca il dialogo, sembra dimenticare che il rispetto non può mai tradursi in sottomissione.
Piero Cipollone (Ansa)
Come spiega il politico europeo i «soldi verranno recuperati attraverso quello che è il signoraggio all’euro digitale». Invece «per quanto riguarda sistema bancario e gli altri fornitori di servizi di pagamento, la stima è che possa essere fra i quattro e sei miliardi di euro per quattro anni», ricorda Cipollone. «Tenete conto che, rispetto a quello che spendono le banche per i sistemi It, questa è una cifra minima. Parliamo di circa il 3,5% di quello che spendono le banche annualmente per implementare i loro sistemi. Quindi non è un costo». Inoltre, aggiunge, «va detto che le banche saranno compensate» con una remunerazione molto simile a come quando si fa «una transazione normale con carta».
Cipollone ha anche descritto una sequenza temporale condizionata dall’iter legislativo europeo e dalla necessità di predisporre un’infrastruttura operativa completa prima di qualunque emissione. «Se per la fine del 2026 avremo in piedi la legislazione a quel punto pensiamo di essere in grado di costruire tutta la macchina entro la prima metà del 2027 e quindi, a settembre del 27, di cominciare una fase di sperimentazione, il “Pilot”. Per poi partire con il lancio effettivo nel 2029».
Per l’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia, l’euro digitale è particolarmente importante per l’Europa «perché via via che si espande lo spazio digitale dei pagamenti, su questo spazio la presenza di operatori europei è quasi nulla». Insomma, «più si espande lo spazio dei pagamenti digitali, più la nostra dipendenza da pochi e importanti operatori stranieri diventa più profonda», ricorda Cipollone. «Le parole chiave sono “pochi” e “non europei”, perché pochi richiama il concetto di scarsa concorrenza, stranieri non europei richiama il concetto di dipendenza strategica da altri operatori. Noi non abbiamo nulla contro operatori stranieri che lavorino nell’area dell’euro. Il problema è che noi vorremmo che l’area dell’euro avesse una sua infrastruttura autonoma, indipendente, che non dipenda dalle decisioni degli altri».
Cipollone ribadisce poi la posizione della Bce sul contante: resta centrale perché «estremamente semplice da usare», quindi inclusivo, utilizzabile ovunque e «sicuro» perché «senza alcun rischio associato». Il problema, però, è che nell’economia sempre più digitale il contante diventa meno spendibile: «Sta diventando sempre meno utilizzabile nell’economia». Da qui l’argomento «di mandato»: se manca un equivalente del contante online, si toglie ai cittadini la possibilità di usare moneta di banca centrale nello spazio digitale; «è come discriminare contro la moneta pubblica». Quindi la Bce deve «estendere una specie di contante digitale» con funzioni analoghe al contante, ma adatto ai pagamenti digitali.
Il politico ieri ad Atreju ha anche parlato di metallo giallo ricordando che le riserve auree delle banche centrali sono cresciute fino a circa 36.000 tonnellate. Come ha spiegato l’esperto, queste riserve «hanno un fondamento storico importante» perché, quando c’era la convertibilità, «servivano come riserva rispetto alle banconote». Oggi, con le monete a corso legale, «la credibilità del valore della moneta è affidata a quella della Banca centrale nell’essere capace di controllare i prezzi», ma «una eco di questa convertibilità è rimasta»: oro e valute restano riserve di valore contro rischi rilevanti.
Come ha spiegato, le Banche centrali comprano oro soprattutto come difesa «contro l’inflazione» e contro «i rischi nei mercati finanziari», e perché «le riserve sono una garanzia della capacità del Paese di far fronte a possibili shock esterni». Per questi motivi, «l’oro è tornato di moda».
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L’argento è ai massimi storici a oltre 60 dollari l’oncia superando i fasti del 1979 o del 2011. Oltre 45 anni fa l’inflazione fuori controllo, la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan spinsero il prezzo dell’oro a triplicare, mentre l’argento salì addirittura di sette volte. Dopo quel picco, entrambi i metalli entrarono in una lunga fase di declino, interrotta solo dalla sequenza di crisi finanziarie iniziata con il crollo del mercato immobiliare statunitense nel 2007, proseguita con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e culminata nella crisi del debito europeo tra il 2010 e il 2012. In quel periodo l’oro raddoppiò, mentre l’argento quasi quadruplicò.
A differenza dei grandi rally del passato, l’ultimo anno non è stato caratterizzato da eventi catastrofici paragonabili. E allora perché un rally dei «preziosi»? Parte della spiegazione risiede nelle preoccupazioni degli investitori per una possibile pressione politica sulla Federal Reserve, che potrebbe tradursi in inflazione più elevata con tassi più bassi, uno scenario tradizionalmente favorevole ai metalli preziosi. Un’altra parte deriva dagli acquisti di oro da parte delle banche centrali, impegnate a ridurre la dipendenza dal dollaro. Oggi il metallo giallo rappresenta circa il 20% delle riserve ufficiali globali, superando l’euro (16%). Il congelamento delle riserve russe dopo l’invasione dell’Ucraina ha incrinato la fiducia nel dollaro come valuta di riserva, rafforzando l’attrattiva dell’oro e, per effetto di contagio, anche dell’argento.
Lo sblocco di 185 miliardi di euro di asset russi congelati sta già producendo effetti profondi sull’architettura finanziaria globale e sulla gestione delle riserve da parte delle banche centrali. Secondo Jefferies, il dibattito sulla possibile monetizzazione di queste riserve rappresenta un precedente di portata storica e costituisce uno dei principali motori dell’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, iniziata nel 2022.
Il problema è innanzitutto di fiducia. Per i mercati globali il segnale è già stato colto. Il congelamento delle riserve russe nel 2022 è stato il “trigger” - lo stimolo - che ha spinto molti Paesi, soprattutto al di fuori del G7, a interrogarsi sulla sicurezza delle proprie attività denominate in valute occidentali. La risposta è stata un accumulo senza precedenti di oro. I dati del World Gold Council mostrano che tra il terzo trimestre del 2022 e il secondo del 2025 le banche centrali hanno acquistato 3.394 tonnellate di metallo prezioso, con tre anni consecutivi oltre la soglia delle 1.000 tonnellate.
Questo movimento strutturale si è intrecciato con altri fattori macroeconomici che hanno sostenuto una spettacolare corsa dell’oro. Tra il 2024 e il 2025 i prezzi sono raddoppiati, spinti dagli acquisti ufficiali, dai tagli dei tassi della Federal Reserve, da un dollaro più debole, dai dubbi sull’indipendenza della banca centrale statunitense e dal ritorno massiccio degli investitori negli Etf.
Altro fattore scatenante di oro e argento è il debito. Quello globale sfiora ormai la soglia dei 346mila miliardi di dollari, segnala l’Institute of International Finance (IIF), che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, a fine settembre, l’indebitamento complessivo abbia raggiunto i 345,7 trilioni, pari a circa il 310% del Pil mondiale. Secondo l’IIF, «la maggior parte dell’aumento complessivo è arrivato dai mercati sviluppati, dove l’ammontare del debito ha segnato un un rapido aumento quest’anno».
Più debito e più sfiducia sulle regole finanziarie portano alla fuga però dai titoli di Stato, come emerge dai rendimenti. Quelli dei bond pubblici globali a 10 anni e oltre sono balzati al 3,9%, il livello più alto dal 2009. I rendimenti obbligazionari mondiali (gli interessi che si pagano) sono ora 5,6 volte superiori al minimo registrato durante la pandemia del 2020. Trainano il rialzo le principali economie, tra cui Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Canada, Germania e Australia. Per dire, il rendimento dei titoli di Stato tedeschi a 30 anni è salito al 3,46%, il livello più alto da luglio 2011. Quando l’argento toccò un picco.
L'era del denaro a basso costo per i governi sembra finita. Vediamo come finisce questa corsa del «silver» e del «gold».
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