L’Italia all’Onu zittisce la Albanese. Progressisti felici per le bombe su Gaza

Dal piedistallo della sua sempre citata «esperienza», la relatrice speciale dell’Onu, Francesca Albanese, ha sparato a zero contro 63 Stati, accusandoli di essere complici del «genocidio» a Gaza. Non l’ha detto in qualche trasmissione televisiva ma in un report di 24 pagine. Con l’Italia che viene nominata per dieci volte, ha accusato soprattutto i Paesi occidentali di aver supportato Israele a livello diplomatico, militare, economico e umanitario, attuando quindi «un crimine collettivo». Tra le accuse, si legge: «Attraverso azioni illegali e omissioni deliberate, troppi Stati hanno danneggiato, fondato e protetto l’apartheid militarizzata di Israele, consentendo alla sua impresa coloniale di metastatizzare in genocidio, il crimine supremo contro il popolo della Palestina».
A rispondere per le rime, sostenendo che si tratti di un rapporto «privo di credibilità e imparzialità», è l’ambasciatore italiano all’Onu, Maurizio Massari, che ha commentato: «Come Italia, non ne siamo sorpresi. Il contenuto del dossier eccede palesemente il mandato specifico del relatore speciale, che non include indagini su presunte violazioni commesse da altri Stati o entità, né giudizi sulla cooperazione tra Paesi terzi e la Corte penale internazionale», ha spiegato Massari. Anche l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon, è intervenuto in merito, sostenendo che Albanese sia «una strega malvagia».
Martedì Albanese, vessillo di una certa sinistra italiana, non è potuta di certo mancare dal palinsesto televisivo, offrendo le sue osservazioni sulla tregua di Gaza dopo il raid israeliano dell’altro ieri. Con il solito atteggiamento da «ve l’avevo detto», al programma di La7 DiMartedì, ha commentato: «Non ho creduto neanche per un momento che si sarebbe addivenuti a un cessate il fuoco, tanto meno di pace, visti i presupposti». E sembrava che non vedesse l’ora che accadesse ciò, visto che ha poi dichiarato: «Si è visto finalmente, come sostenevamo in tanti da tempo, che gli ostaggi non c’entravano nulla e bisogna fermare Israele». Anche alcuni quotidiani italiani sembrava che stessero aspettando al varco qualche bombarda, per dare contro al cessate il fuoco «made in Trump», bollandolo quantomeno come poco credibile. La Stampa, per esempio, ha commentato con toni di fatalismo quanto successo martedì, con la ripresa dei raid israeliani, parlando di «un piano inclinato che porta al disastro», di una «tregua infranta che nessuno dei due avversari ha mai voluto».
Da più parti, dai protagonisti del conflitto ai mediatori, è stato comunicato che la tregua a Gaza non è in discussione. A confermarlo è stato il presidente americano, Donald Trump, e poco dopo, l’esercito israeliano ha annunciato il ripristino del cessate il fuoco. I bombardamenti condotti da Israele, dopo il bluff di Hamas sulla consegna del corpo di un ostaggio e il fuoco aperto contro i soldati israeliani a Rafah, non hanno mai preoccupato gli Stati Uniti. Il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, per primo aveva affermato che si trattava di «scaramucce». E a bordo dell’Air force one, la reazione del presidente americano non ha lasciato intravedere alcuna frustrazione: ha, infatti, rassicurato che «nulla metterà a rischio» il cessate il fuoco. Prendendo le parti di Israele nell’attacco condotto su Gaza, ha commentato che Gerusalemme ha il diritto di «reagire» visto che è stato «ucciso un saldato israeliano». D’altronde, secondo Ynet, il tycoon, informato preventivamente sul raid dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, aveva dato il via libera per «una risposta mirata».
L’Idf, dopo l’annuncio dello stop ai bombardamenti, tramite un comunicato ha reso noto che sono stati colpiti «oltre 30 terroristi che ricoprivano posizioni di comando all’interno delle organizzazioni terroristiche operanti nella Striscia di Gaza», di cui cinque responsabili del massacro del 7 ottobre. L’esercito ha, poi, confermato quanto detto da Trump: un soldato israeliano, Yonah Efraim Feldbaum, è stato ucciso martedì «in un attacco condotto da terroristi palestinesi» a Rafah. Secondo l’indagine condotta dall’Idf, Hamas, oltre a utilizzare i lanciarazzi, ha sparato contro le forze armate di stanza nel quartiere di Jenina. Il gruppo terroristico, dall’altra parte, ha respinto le accuse, sostenendo di voler rispettare il cessate il fuoco. E se all’appello mancano ancora 13 corpi degli ostaggi israeliani, Hamas, nei prossimi giorni, dovrebbe consegnare altre quattro salme. Ieri pomeriggio l’Idf ha annunciato di aver effettuato, nel Nord della Striscia, «un attacco mirato» contro un deposito di armi con lo scopo di «eliminare una minaccia terroristica».
Nel frattempo, il ministero della Sanità di Gaza ha rivelato che, negli ultimi bombardamenti israeliani, sono state uccise 104 persone, tra cui 46 bambini. Il bilancio dei morti ha sollevato critiche e preoccupazioni da parte di diversi Paesi. La Germania, tramite il ministro degli Esteri, Johann Wadephul, ha esortato Israele a mostrare «moderazione militare» nella Striscia. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, ha affermato che la tregua «è minacciata». Chi ha intravisto in Hamas il colpevole della violazione della tregua è il Qatar. Vero è che il premier, Mohammed Bin Abdulrahman Al Thani, ha puntato il dito contro Israele per le condizioni dei detenuti palestinesi, «maltrattati e torturati» nelle carceri israeliane. Però, Al Thani, riconoscendo l’attacco a Rafah contro i soldati israeliani, ha detto che «si tratta fondamentalmente di una violazione da parte della parte palestinese». Sul fronte del piano di pace, ha ribadito che Doha sta proseguendo il suo lavoro da mediatore per spingere Hamas a disarmarsi. Dunque, per Al Thani «le parti principali, entrambe, stanno riconoscendo che il cessate il fuoco dovrebbe essere mantenuto».






