2019-11-04
Banche. Alla fine ci guadagnano sempre loro
La spesa per un conto sale del 10%. Rincarano canoni online e surroghe mutui. E con i bancomat... E se l'Arbitro le condanna a pagare non lo stanno nemmeno a sentire. Dal 2009 in via Nazionale esiste un organismo per dirimere le controversie. Ma gli istituti di credito spesso non rispettano le sue decisioni e non versano il dovuto. E nessuna autorità può obbligarle a farlo. Lo speciale contiene due articoli. Zitte zitte, senza sollevare scandali e clamori, le banche hanno ricominciato a strizzare le tasche dei correntisti. Non che avessero mai sospeso l'attività di spremitura, ma durante la stagione di Mario Draghi alla Banca centrale europea era una manovra troppo sporca aumentare le spese mentre Francoforte azzerava i tassi d'interesse. Ora i tassi restano sottozero e le banche cercano di convincerci che tenere soldi sul conto corrente è un lusso che si paga. Unicredit colpirà con tassi negativi i paperoni con liquidità superiore ai 100.000 euro. Ma le banche hanno già ripreso da tempo a torchiare anche chi non raggiunge capitali simili con la scusa delle «spese di sistema», cioè i costi sostenuti per il fondo Atlante istituito per salvare gli istituti sull'orlo del crac. Oneri scaricati sulla clientela. L'anno scorso l'aumento delle commissioni sui conti correnti ha avuto un netto rialzo. Lo ammette la stessa Banca d'Italia, che ogni anno pubblica un'indagine specifica. Il dossier pubblicato poche settimane fa, riferito al 2018, mostra che la spesa per gestire un conto bancario è cresciuta in media di 7,5 euro in 12 mesi portando la spesa media annua a 86,9 euro (+10% circa): in realtà, una famiglia media può arrivare a spendere anche 145 euro per la tenuta del conto più il bollo. Bankitalia riconosce che «si tratta di una netta accelerazione rispetto al precedente biennio». In quel periodo, infatti, i costi erano saliti complessivamente di 2,9 euro: 1,1 euro nel 2016 e 1,8 euro nel 2017. In precedenza, era accaduto tutt'altro. Nel 2015 le spese di gestione erano calate di 5,8 euro e nel 2013 di 6,9 euro. Nel 2016 è dunque avvenuta un'inversione a «U», con ritocchi all'insù dei costi che l'anno scorso si sono trasformati in un'impennata. Le voci che più hanno inciso sono quelle del canone base e dei canoni per utilizzare le varie carte di pagamento: bancomat, carte di debito e carte di credito. Il che fa capire chi saranno le prime a guadagnare quando entrerà a regime la stretta sul contante: il costo di una carta di credito può arrivare a toccare i 168 euro annui più gli eventuali interessi per i rimborsi a rate. C'è un modo per evitare queste mini stangate, almeno in parte? Certo: aprire un conto corrente online. L'indagine di Bankitalia parla chiaro: se un conto normale costa in un anno quasi 87 euro, per i conti online si precipita a 15,5 euro. E non si registrano variazioni apprezzabili: nel 2017 il costo annuo era pari a 15,3 euro. I tempi però stanno cambiando anche qui. CheBanca!, l'istituto online di Mediobanca, dal 1° gennaio triplicherà il canone per i clienti a bassa operatività: da 12 a 36 euro annui. Probabile che altre banche seguiranno l'esempio. Le cifre dell'online restano inferiori a quelle dei conti tradizionali. Ma le banche sanno che una buona fetta della clientela non ama troppo il «fai da te». Molti chiedono un consulente, non si fidano della sicurezza delle connessioni Internet casalinghe, hanno paura di sbagliare premendo qualche tasto. Oppure, semplicemente, non hanno un computer o uno smartphone su cui operare. Sono per lo più persone anziane, abitudinarie, non troppo «smart». Le categorie più deboli della clientela bancaria. Ed è soprattutto su di loro, i fedelissimi dello sportello, che si abbatte la scure dei rincari sulle commissioni. Perché, oltre che le spese per la tenuta del conto, questi correntisti devono pagare anche ogni operazione effettuata agli sportelli: prelievi, versamenti, bonifici, assegni, saldo delle bollette, invio degli estratti conto. Qualche istituto fa pagare anche i bancomat di ultima generazione, quelli contactless, più evoluti delle tessere che vanno strisciate. Aumentati anche gli interessi sui fidi, sui prestiti e sulle commissioni sullo scoperto: i tassi passivi si attestano in media sul 14%. Ma occhio soprattutto alle commissioni su bonifici eseguiti da un operatore allo sportello e sugli assegni da incassare: la settimana scorsa è stato segnalato all'Adusbef (associazione di tutela dei consumatori nel settore bancario e finanziario) il caso di un correntista che si è sentito chiedere 9,9 euro per cambiare un assegno da 100 euro intestato «a me medesimo». E l'addetto non gli ha nemmeno rilasciato la contabile giustificativa. Banca Intesa, la maggiore in Italia, dal 1° agosto ha applicato rincari fino a 120 euro annui a tappeto, coinvolgendo nell'operazione anche i conti Zerotondo originariamente privi di canone. L'aumento è stato calcolato in base alla giacenza media: più depositi, più paghi. È il rovescio della medaglia dei tassi negativi Unicredit. Siccome i tassi sono bassi e i costi strutturali alti, le banche cercano di rifarsi sui clienti. Intesa ha applicato alla giacenza media del 2016 una percentuale corrispondente al calo di uno dei tassi di riferimento della Bce, il Dfr (Deposit facility rate). È stato calcolato che chi ha aperto il conto prima del 2009, con una giacenza media di 10.000 euro nel 2016, subisce un aumento di 10 euro mensili, 120 all'anno. Questa è la parte dei rincari che si vede. Poi c'è il sommerso, cioè la pigiatura occulta, una serie di operazioni da cui le banche fanno di tutto per spremere soldi ai clienti. Prendiamo un proprietario di casa con un mutuo da pagare. Con i tassi ai minimi storici, è sempre più conveniente abbassare gli importi delle rate trasferendo il prestito con un'operazione di surroga, che al cliente non costa nulla. Ne siamo sicuri? Per prima cosa, la nuova banca per accendere il mutuo chiede di aprire un nuovo conto, sul quale fa pagare le spese di gestione. Poi fa capire che sarebbe meglio aggiungere una polizza assicurativa perché di questi tempi non si sa mai e comunque ciò facilita la concessione del mutuo a tasso sottozero. E se il cliente non ha la liquidità per assicurarsi, nessun problema: la banca gli viene generosamente incontro con un prestito personale a tasso di favore. Alla fine, si tira una riga, si sommano le varie voci (rata, polizza, commissioni), si constata che il totale è inferiore alla rata attuale e il cliente firma tutto giulivo. Intanto la nuova banca ha aperto un nuovo conto, fatto un'assicurazione, concesso un prestito personale e intascato interessi e commissioni varie. Tempo 6 mesi e si può star certi che scatterà un ritocchino al canone mensile del conto. La banca ci guadagna sempre. Altre stangate si sono abbattute su quanti hanno contratto mutui in valuta estera, soprattutto in franchi svizzeri. «La banca non ha mai evidenziato il rischio legato al cambio», spiega Sheila Meneghetti, vicepresidente di Tuconfin, associazione di tutela dei risparmiatori, lei stessa intestataria di un mutuo con Barclays raddoppiato in pochi mesi. «Altre banche che avevano offerto prodotti analoghi, come Ubi, hanno cercato di andare incontro ai clienti. Ma Barclays è un istituto inglese e va dritto in tribunale, nonostante le numerose sentenze anche in altri Paesi europei che hanno dichiarato nulli i rincari dovuti al cambio. Barclays ha piazzato a tappeto questi prestiti quando il franco svizzero era a picco e poi ha aumentato i tassi per coprirsi dal rischio del cambio». Che è stato scaricato sugli ignari mutuatari. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/banche-alla-fine-ci-guadagnano-sempre-loro-2641206657.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-se-larbitro-le-condanna-a-pagare-non-lo-stanno-nemmeno-a-sentire" data-post-id="2641206657" data-published-at="1757978904" data-use-pagination="False"> E se l’Arbitro le condanna a pagare non lo stanno nemmeno a sentire «Rigore è quando arbitro fischia», diceva il buon Vujadin Boskov. Esiste però un giudice di gara che quando fischia, sempre per usare la metafora calcistica, alcuni giocatori si voltano dall'altra parte. Stiamo parlando dell'Arbitro bancario finanziario (Abf), lo strumento nato nel 2009 per la risoluzione stragiudiziale delle controversie tra i clienti e le banche e gli intermediari finanziari. Nel 2018 i ricorsi presentati sono stati 27.041, in calo dell'11,8% rispetto all'anno precedente. Viceversa, si è assistito a un aumento delle decisioni non rispettate da parte intermediari coinvolti: 261 contro le 233 del 2017 (+20,3%). Gli istituti che non rispettano le decisioni dell'Abf, nel gergo tecnico, vengono definiti «intermediari inadempienti». Forse potranno sembrare pochi casi (stiamo parlando dello 0,8% del totale), ma dietro a ognuna queste pratiche c'è un consumatore (o in casi più rari una piccola impresa) che lamenta di aver subito violazioni contrattuali e reclama la restituzione di somme indebitamente versate. Si va dalle semplici dispute contrattuali, al rimborso di commissioni non dovute in seguito all'estinzione di un finanziamento, fino a questioni decisamente più complesse come la conversione dei mutui stipulati in valuta straniera. L'Arbitro bancario e finanziario permette ai cittadini che ritengono di aver subito un torto dalle banche e dagli intermediari finanziari di fare ricorso senza passare da avvocati e tribunali, e ciò rende questo ente uno «strumento alternativo, più rapido e meno costoso rispetto alla giustizia ordinaria». Presentare un'istanza è semplice ed economico: nel 2018 l'Abf ha attivato un portale dal quale è possibile gestire le richieste in autonomia, e presentare un ricorso richiede il versamento di soli 20 euro. Nella fattispecie, le tipologie di richieste che si possono inoltrare sono due: il riconoscimento di una somma fino a un importo di 100.000 euro, e l'accertamento di diritti, obblighi e facoltà come, per esempio, il diritto a ricevere la documentazione di trasparenza oppure ottenere la cancellazione di un'ipoteca. Una volta spedito, il ricorso viene indirizzato al Collegio territoriale di competenza (7 in tutta Italia, composti da 5 membri di cui 3 designati da Banca d'Italia), il quale ha 270 giorni di tempo per formulare una risposta. L'Abf non può deliberare, invece, in materia di investimenti (come le controversie sulle azioni o le obbligazioni), nel caso in cui i beni e servizi siano diversi da quelli bancari e finanziari, e se la richiesta è già stata sottoposta all'Autorità giudiziaria. L'Arbitro rappresenta dunque uno strumento molto utile per tutti i consumatori. Peccato però che, sebbene nella stragrande maggioranza dei casi le decisioni dell'Abf vengano effettivamente rispettate dagli intermediari, esse non siano vincolanti come le sentenze del giudice ordinario. Ciò fa sì che, a discapito delle possibili ricadute reputazionali, una manciata di istituti se ne infischino di quanto disposto dall'Arbitro, e proseguano indisturbati per la loro strada. Inoltre, l'Abf può pronunciarsi solo se il rapporto è stato instaurato dopo il 1° gennaio 2009, fattore che limite ulteriormente il suo campo d'azione. L'inadempienza ha luogo se si avvera una di queste tre condizioni: l'intermediario non esegue (o esegue solo in parte) la prestazione imposta dalla decisione dell'Abf; se non rimborsa ai clienti il contributo spese di 20 euro; se non versa alla Banca d'Italia il contributo spese di 200 euro. Da un'elaborazione effettuata dalla Verità in base ai dati disponibili sul sito dell'Abf (per dirla tutta un po' difficili da rintracciare, se non si sa esattamente dove cercare), è emerso che dal 2011 a oggi il totale dei ricorsi senza seguito è stato 841 per 67 intermediari. Oltre 8 inadempimenti su 10 sono a carico di soli 5 intermediari. Quasi metà delle inadempienze (401) riguardano il 2018, mentre nell'anno in corso - sebbene la tendenza sia in diminuzione - si sono registrati, a oggi, già 174 casi. Le tematiche oggetto di ricorso sono le più svariate. Numerose le controversie inevase che riguardano la restituzione delle commissioni e degli oneri non maturati pagati in occasione della stipula di un contratto di cessione del quinto. Il dato non deve sorprendere, dal momento che il 64% dei ricorsi presentati all'Abf rappresenta proprio questa tipologia di prodotto. Un capitolo a parte lo meritano invece i mutui in euro indicizzati al franco svizzero emessi da Barclays, che rappresenta il secondo intermediario inadempiente in Italia. Contratti che l'associazione dei consumatori Tuconfin, rappresentata dalla presidente Franca Berno e dalla vicepresidente Sheila Meneghetti, definisce «ingannevoli e fumosi». Sono ben 9.978 le famiglie che hanno sottoscritto questo prodotto, nel quale non era presente alcun accenno alla rivalutazione né al tasso di cambio. Solo una clausola che, in caso di estinzione anticipata, prevedeva la conversione del capitale restituito e degli eventuali interessi arretrati dovuti in franchi svizzeri. Un cavillo che ha comportato aumenti fino al 35% del capitale in caso di chiusura, scoraggiando molte famiglie dalla scelta di rinegoziare i propri contratti. Nel frattempo, Barclays ha cessato le proprie attività in Italia e decine di ricorsi esaminati dall'Abf giacciono inevasi, mentre le famiglie sono con l'acqua alla gola nel tentativo di rispettare le scadenze del mutuo. Ma la battaglia di Tuconfin non si ferma: «Non avremo pace finché la giustizia italiana non decreterà nulli quei mutui».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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