«L’Italia merita un vero piano industriale per le telecomunicazioni: lo sviluppo digitale non può essere interrotto o rallentato». A dirlo alla Verità è Maurizio Sedita, Chief Commercial Officer di Wind Tre. «Il settore delle tlc - prosegue – è diventato un’infrastruttura critica per la competitività del Paese, ma allo stesso tempo rimane tra i meno compresi e tutelati. La nostra è un’industria energivora, strategica e abilitante. Merita più attenzione e deve essere riconosciuta come tale, perché senza reti performanti non esiste innovazione digitale, né per le imprese né per la Pubblica Amministrazione. Il nostro già lo facciamo, investiamo e tanto. Anche in Europa serve un maggiore interesse verso la nostra industria».
Sedita, Wind Tre è il primo operatore italiano – e tra i primi in Europa – a lanciare il 5G Standalone. Che cosa rappresenta questo passaggio e perché è così innovativo?
«Il 5G Standalone è una rete completamente autonoma dal 4G, pensata per offrire prestazioni garantite, sicurezza avanzata e soprattutto configurabilità dinamica. Non è una semplice evoluzione tecnologica: è un’infrastruttura progettata per abilitare applicazioni critiche, nelle quali la continuità del servizio è essenziale. Questa tecnologia ci permette di fornire alle imprese una sorta di corsia privilegiata, anche in contesti di massimo affollamento. Lo abbiamo dimostrato durante un grande evento sportivo con oltre 90.000 persone, creando una slice dedicata per la trasmissione video live in alta definizione. Il nostro vantaggio competitivo nasce da un network tra i più capillari in Italia, con oltre 21.000 siti».
Perché il 5G Stand alone è strategico per il Paese?
«Perché è la piattaforma abilitante di servizi essenziali per la sanità, la sicurezza, la logistica, l’industria 4.0, i trasporti e la Pubblica Amministrazione. L’Italia ha bisogno di infrastrutture digitali affidabili e moderne. In un contesto europeo che fatica a competere sul digitale, il 5G Stand Alone permette al Paese di fare un salto in avanti e di rendere accessibili tecnologie avanzate anche alle pmi, che sono la vera ossatura del nostro sistema produttivo. Wind Tre vuole essere un abilitatore della competitività nazionale, mettendo a disposizione infrastrutture performanti e soluzioni concrete».
Quali settori beneficeranno maggiormente del 5G Stand alone?
«Chiunque abbia bisogno di continuità, sicurezza, bassa latenza e configurabilità. Penso in particolare all’industria, con robotica, automazione e sensoristica. E poi logistica, con monitoraggio in real time e ottimizzazione degli hub. Sanità, con telemedicina avanzata e gestione digitale delle strutture. Porti e trasporti, dove la comunicazione mission critical è fondamentale. Broadcast, con trasmissioni live ad altissima qualità. Il 5G è la rete che permette di far funzionare tutto questo con garanzie e non più “al meglio delle possibilità”».
Quali sono le caratteristiche distintive del 5G Stand Alone per imprese e Pa?
«Tre in particolare. Prestazioni garantite: ovvero bassa latenza, continuità del servizio, sicurezza end-to-end. Poi Network slicing: possiamo creare porzioni virtuali della rete dedicate a singoli clienti o applicazioni, anche temporanee. Infine Mobile Private Network virtuali: reti private digitali per sanità, industria, logistica, porti, sicurezza. Queste soluzioni sono scalabili, senza oneri gestionali per le imprese, con un livello di sicurezza molto elevato e con protezione dei dati».
Quanto è estesa oggi la vostra copertura 5G Stand Alone?
«La rete 5G Stand Alone copre già l’80% della popolazione italiana, e cresce ogni mese. Gli investimenti continui – circa 800 milioni di euro l’anno – ci permettono di offrire un’infrastruttura tra le più moderne e affidabili del Paese».
Negli ultimi anni Wind Tre ha vissuto una trasformazione profonda. Qual è la vostra nuova visione strategica?
«Dopo la fusione del 2017 tra Wind e H3G eravamo un operatore principalmente consumer, focalizzato sulla connettività mobile e fissa. Oggi siamo un’azienda completamente diversa. Abbiamo investito nella rete, potenziandola grazie anche all’acquisizione di OpNet, siamo entrati nei mercati dell'energia e delle assicurazioni, abbiamo lanciato servizi di protezione e videosorveglianza con il nuovo “Casa e negozio protetti” powered by Protecta, e soprattutto abbiamo accelerato sul B2B: ICT, cybersecurity, cloud e data center. Negli ultimi 3-4 anni siamo cresciuti al doppio della velocità del mercato. Questo è stato possibile perché abbiamo scelto una strategia basata sull’ascolto e sulla vicinanza ai clienti, che chiamiamo #OPEN».
Cosa rappresenta il concept #OPEN per Wind Tre?
«#OPEN non è uno slogan: è un metodo di lavoro. Significa essere aperti all’ascolto, capire i bisogni delle imprese prima di proporre soluzioni, evitare di offrire servizi inutili o sovradimensionati. La prova più concreta è che molte aziende hanno scelto di raccontare questa visione con noi: nello spot “La porta del futuro è OPEN” sono protagonisti proprio i nostri clienti».
Qual è oggi il posizionamento di Wind Tre nel mercato B2B?
«Il mercato italiano è molto frammentato: poche grandi aziende e una miriade di pmi e micro-imprese. È qui che vogliamo fare la differenza. Oggi non siamo più un operatore telco tradizionale: siamo un partner tecnologico in grado di offrire connettività, cloud, sicurezza, data center, soluzioni verticali per sanità, media, industria e Pa».
Gli investimenti tecnologici costano, così come le frequenze. Quali sono i temi cruciali nel dialogo con il governo e le istituzioni?
«Il settore telco è fondamentale per l’intero sistema Paese, ma deve essere sostenuto in modo adeguato. Il costo delle frequenze è enorme: in Italia abbiamo pagato il prezzo unitario più elevato in Europa – tra 6 e 7 miliardi in totale con una maxi-rata finale nel 2022 – e oggi è in corso un confronto per il rinnovo delle licenze nel 2029. Servono regole chiare per non compromettere la capacità di investimento delle aziende. Siamo un’azienda energivora, come tutte le grandi infrastrutture, e proprio per questo il settore merita attenzione e riconoscimento. Con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy abbiamo fatto un primo importante passo avanti sull’innalzamento dei limiti elettromagnetici: passare da 6 a 15 volt per metro è stato un primo step significativo per migliorare la copertura indoor e favorire lo sviluppo del 5G, mantenendo il controllo sulle emissioni. Ma serve un passo ulteriore: un piano industriale nazionale per le telecomunicazioni. Lo sviluppo digitale dell’Italia non può essere lasciato all’improvvisazione».
Anche perché ci sono posti di lavoro in ballo… Qual è l’impatto di Wind Tre sul territorio in termini economici e occupazionali?
«Wind Tre conta 7.000 dipendenti diretti e genera lavoro indiretto per decine di migliaia di persone. La nostra presenza commerciale è capillare: 750 negozi in franchising, 4.000 punti vendita, una rete di agenzie con quasi 2.000 professionisti nel B2B».
Lep. Sembra il fratello del Lem lunare. In realtà è qualcosa di molto terreno. Serve per attuare l’autonomia differenziata ma soprattutto per dare a tutta Italia un minimo sindacale di servizi pubblici. Lep sta per Livelli essenziali di prestazione. Attualmente, senza autonomia, gli ospedali non garantiscono la stessa efficienza da Nord a Sud. Peggio: in alcune regioni meridionali non c’è neppure il servizio mensa a scuola. Non parliamo della Rsa o degli asili nido... ci sono e non ci sono. Ecco, con i Lep queste mancanze, specialmente nel Mezzogiorno, dovrebbero sparire dato che saranno fissati dei criteri di base del tipo: un asilo ogni tot abitanti, una casa di riposo ogni tot anziani. Stiamo semplificando ma più o meno è così.
Certo, serviranno dei soldi per adeguare i servizi offerti. Ma non è detto che ne serviranno tanti, dato che spesso alcuni governatori hanno le risorse ma le spendono male o non le spendono, a differenza di altri presidenti di Regione che vedono invece arrivare nelle proprie strutture sanitarie dei pazienti provenienti proprio dalle zone dove i quattrini pubblici vengono male investiti.
Altra cosa: i Lep sono previsti nella Costituzione, quella riformata nel 2001 dal centrosinistra e confermata da un referendum Nessun governo, compresi quelli progressisti, li ha mai attuati. L’unico che da tre anni ci prova, nonostante raccolte firme di protesta o interventi della Consulta, è l’esecutivo Meloni nella persona del ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli. Per non perdere tutta la legislatura senza produrre nulla, l’esponente leghista ha fatto inserire nella legge di Bilancio alcuni articoli che facciano partire i criteri dei Lep. Finalmente dopo 24 anni di attesa. Il Pd però vorrebbe far aspettare i cittadini del Sud altri anni. Tant’è che Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, ha minacciato «ostruzionismo a oltranza» se non verranno stralciati i Lep, a costo di andare anche in «esercizio provvisorio». Insomma, il partito di Elly Schlein è disposto a far saltare il taglio dell’Irpef pur di non rispettare una norma costituzionale, quella Carta che a sinistra venerano più del Vangelo.
Perché questa paura di una riforma? I Lep, ricorda Calderoli, servono anche per centrare un obiettivo del Pnrr, il federalismo fiscale, entro giugno 2026. Pnrr, ricordiamolo, scritto dal governo Conte 2 e modificato da quello Draghi, nei quali il Pd era forza predominante. Forse i governatori del campo largo temono di confrontarsi con la responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche?
Il ministro leghista comunque tira dritto, forte anche della difesa di Fratelli d’Italia sui Lep nella legge di bilancio. E parallelamente martedì inizieranno le audizioni della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama sul disegno di legge di delega al governo per la determinazione dei Lep. L’ipotesi, secondo quanto emerso all’esito dell’ultima riunione, è quella di avviare il ciclo di audizioni, per poi proseguirlo a gennaio. Secondo quanto raccolto da Public Policy saranno sentiti Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e presidente del comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei Lep. E ancora: l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Anci, l’Unione delle province d’Italia, Cgil, Cisl, Uil la cassa degli infermieri d’Italia, l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo Svimez, e persino Antonino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Audizioni istituzionali, democratiche, aperte al confronto. Quello che il Pd non vuole sull’autonomia.
Meno 13% in una decina di giorni. Ecco la performance di Mps in Borsa da quando la Procura di Milano ha indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza Francesco Gaetano Caltagirone, Francesco Milleri, numero uno di Delfin, e Luigi Lovaglio, amministratore delegato del Monte, e poi perché - secondo gli inquirenti - sarebbero stati d’accordo, quindi avrebbero agito «di concerto», nell’ingresso dello stesso Caltagirone e di Delfin come soci forti di Siena (già principali azionisti di Mediobanca) grazie alla vendita del 15% detenuto dal Tesoro, ma soprattutto - sempre secondo la Procura meneghina - avrebbero «di concerto» ideato l’offerta su Piazzetta Cuccia, contando appunto su un 30-35% di adesioni in partenza, ovvero le quote di Delfin, la holding che raggruppa gli eredi di Del Vecchio, e dell’immobiliarista romano.
L’indagine ha escluso un ruolo del Tesoro, tuttavia ha permesso il sequestro di computer e cellulari, compresi quelli dei nuovi super dirigenti di Mediobanca. La tesi dei pm è questa: c’era un «concerto» per cui bisognava lanciare un’Opa obbligatoria su Mps, prima eventualmente di procedere con l’offerta su Mediobanca. L’Opa obbligatoria scatta solitamente quando un gruppo di azionisti supera una determinata soglia, cioè il 30 per cento. Non è scattata, tuttavia gli altri soci della banca senese non hanno perso niente guardando alle quotazioni di mercato. Anzi, in un anno il titolo è salito di circa il 20%. Performance che era addirittura superiore del 30% fino appunto a dieci giorni fa, quando l’indagine sul presunto «concerto» ha fatto scappare gli investitori. Vendite quotidiane e una perdita di capitalizzazione sui 3,5 miliardi. Vendite legate ai timori di possibili altri interventi della Procura.
Nessuno sa cosa possa succedere. Sembrava tutto ok, dopo il successo dell’Ops di Mps su Mediobanca che ha raggiunto l’86% delle adesioni (altro che il 35% di partenza...). Il percorso verso un nuovo assetto della finanza italiana, considerando che Piazzetta Cuccia è il primo azionista con oltre il 13% delle Generali, sembrava delineato. Entro marzo c’era da presentare il piano alla Bce con le linee per l’integrazione appunto con Mediobanca. Si attendono inoltre le valutazioni della Banca centrale europea sulle modifiche allo statuto per introdurre in particolare il voto di lista, in vista della rinnovo dell’intero consiglio del Monte in primavera. Tutti appuntamenti che non vanno in soffitta, ma la prospettiva cambia se i pubblici ministeri sono in banca. La Bce cosa dirà? L’Ue che giudizio esprimerà?
Su questo e non solo è stato sentito Lovaglio ieri dal cda di Mps. Il manager che ha salvato un istituto quasi spacciato, dopo tre aumenti di capitale e una maxi iniezione di denaro pubblico (7 miliardi di euro), trasformandolo addirittura in un «bomber» della finanza italiana, ha relazionato i consiglieri sulle prossime tappe. Lui, indagato per «concorso esterno in ipotesi di concerto». Dopo un lungo pomeriggio alla fine il consiglio di amministrazione, «a esito di approfondita istruttoria, ha rinnovato all’unanimità piena fiducia all’amministratore delegato», si legge in una nota, «confermando i requisiti di correttezza relativi agli esponenti bancari». E in merito al processo di aggregazione di Mps con Mediobanca, il cda «sottolinea che l’attività dei gruppi di lavoro, che coinvolgono le risorse professionali di entrambe le banche, prosegue a pieno regime, con l’obiettivo di realizzare in tempi brevi le sinergie industriali e di accelerare la crescita e la creazione di valore».
Il mercato chiedeva d’altronde chiarezza, compreso sulla governance, anche perché la politica - nella fattispecie il Pd che aveva invece guidato verso il crac la stessa banca del Palio - pretende spiegazioni pure dal titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Vogliamo vederci chiaro e non molleremo la presa finché il ministro non verrà in Parlamento a spiegare per filo e per segno la posizione e il ruolo del governo. Abbiamo depositato in Senato due interrogazioni», ha annunciato il responsabile Economia della segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani.
Intanto Mediobanca ha firmato la liquidazione di Alberto Nagel, già amministratore delegato, e Francesco Saverio Vinci, ex direttore generale: 5 milioni a testa. Soldi che si aggiungono alle decine di milioni di bonus già incassati dallo stesso Nagel, senza dimenticare infine che fino al 2032 riceverà circa 18 milioni aggiuntivi.





