Per sconfiggere la fame in Africa, l’Ue ha messo a disposizione ingenti finanziamenti: tra il 2014 e il 2020 ha firmato contratti per un valore di 17 miliardi di euro riguardanti iniziative di mitigazione della fame in tutto il mondo, a cui sono seguiti altri 6,2 miliardi di euro tra il 2021 e il 2024. Quasi metà (oltre 11 miliardi di euro) era destinata all’Africa subsahariana. Piccolo problema: da un audit della Corte dei Conti europea è emerso che «la Commissione non disponeva di una metodologia chiara e documentata per dare priorità alle regioni e alle comunità più bisognose, il che ha limitato l’efficacia degli interventi. L’impatto a lungo termine del sostegno dell’Ue ha risentito anche di carenze nell’impostazione dei progetti, di un monitoraggio insufficiente e di difficoltà nell’affrontare le cause profonde dell’insicurezza alimentare». Soprattutto, «molti aiuti non sono andati ai più bisognosi».
Sembra una barzelletta, ma è così. Ad esempio c’era un progetto che mirava «a sostenere una programmazione efficace per la sicurezza alimentare, la nutrizione e la resilienza in Etiopia. Tuttavia, la prima componente del progetto nel 2022 è stata indirizzata a distretti che all’epoca non presentavano una grave insicurezza alimentare, anziché ad aree in cui era necessaria un’azione più urgente»
In Kenya il programma AgriFi doveva offrire «ai piccoli agricoltori un sostegno globale per integrarsi nelle catene del valore agricole» e aveva come obiettivo quello di «rafforzare la capacità del settore privato a livello di contea di applicare le norme in materia di salute degli animali, sicurezza alimentare e salute delle piante. Tuttavia, la documentazione di pianificazione del progetto non specificava alcun obiettivo per i territori aridi e semiaridi. Il progetto era destinato a 13 contee nel 2019. All’epoca solo quattro di queste erano classificate come territori aridi o semiaridi».
Altre perle: due progetti «erano tesi a concedere prestiti a condizioni favorevoli ai soggetti che avevano presentato domanda nel quadro del progetto di sovvenzione 1 in Kenya e del progetto di sovvenzione 3 in Zambia. Tali prestiti erano destinati ad aiutare i piccoli agricoltori a espandere o diversificare le loro attività. Tuttavia, sono divenuti disponibili solo due anni dopo la data di inizio dei due progetti di sovvenzione. Di conseguenza, i beneficiari previsti non erano più in grado di trarne vantaggio. Pertanto, hanno finito per beneficiare dei prestiti i clienti già esistenti della banca».
La cosa grave, si legge sempre nella relazione della Corte dei Conti europea, è che «la Commissione non ha valutato sistematicamente la ragionevolezza dei costi dei progetti. Per quasi tutti i progetti inclusi nel campione della Corte, non vi erano elementi comprovanti che la Commissione o le delegazioni dell’Ue avessero analizzato il bilancio del progetto in modo dettagliato. Inoltre, la Commissione non ha comparato costi simili tra progetti differenti, né ha proceduto a calcolare il costo per beneficiario». Peggio: «La Commissione non ha effettuato controlli durante l’attuazione dei progetti per verificare la ragionevolezza dei costi». Durante le visite in loco, la Corte dei Conti «ha rilevato alcuni casi di discrepanze tra i dati contenuti nelle relazioni sullo stato di avanzamento e la situazione effettiva sul campo. Ad esempio, per il progetto 1 in Kenya, la relazione finale elenca come beneficiario un’impresa specifica. Però è emerso che il beneficiario effettivo del sostegno era un’altra azienda. Inoltre, per il progetto 6 in Kenya, la relazione sullo stato di avanzamento del progetto indicava che una diga di sabbia prevista avrebbe dovuto servire 2.000 famiglie in condizioni normali e fino a 7.000 famiglie durante i picchi di siccità». In realtà a beneficiarne direttamente sono state «200 famiglie».
Tanti soldi e zero controlli cos’hanno prodotto? Sprechi. «In Kenya gli auditor della Corte hanno visitato la sala informatica del centro di formazione agraria di Waruhiu e hanno ispezionato alcune delle attrezzature fornite tramite il progetto, tra cui 13 computer. Molti di questi non avevano un collegamento a Internet e non funzionavano». Mentre in Etiopia si è «riscontrato che una motocicletta acquistata nell’ambito del progetto era rimasta inutilizzata e che in un autocarro i pneumatici erano consumati a tal punto da non poter più assicurare una guida in sicurezza». Infine, sempre in Etiopia, alcuni beni acquistati non erano stati utilizzati. «Si trattava di due televisori a schermo piatto, un computer da tavolo e un piccolo generatore. Nell’ambito dello stesso progetto, una scuola ha ricevuto un serbatoio idrico nonostante ne avesse già uno. Infine, la popolazione locale non disponeva dei soldi per riempirlo d’acqua».






